“Una volta, tanti e tanti anni fa, viveva in quel castello un inventore, e tra le tante cose che faceva, si racconta che diede vita ad un uomo. Un uomo con tutti gli organi: un cuore, un cervello, tutto. Beh, quasi tutto. Perché, vedi, l'inventore era molto vecchio, e morì prima di finire l'uomo da lui stesso creato. Da allora, l'uomo fu abbandonato, senza un papà, incompleto e tutto solo.” 

Inizia con queste parole il film Edward mani di forbice, del regista americano Tim Burton, uscito nelle sale cinematografiche nel 1990 e interpretato da Johnny Depp, di cui ricordiamo brevemente la trama. Protagonista della pellicola è quello che a tutti gli effetti può essere considerato una persona diversamente abile: Edward, infatti, al posto delle mani ha delle cesoie, perché il suo inventore è morto prima di poterle sostituire con delle vere e proprie mani. Dopo la morte del suo creatore-padre, il nostro eroe rimane recluso nel castello dove è stato creato fino a quando Peggy Boggs, rappresentante di cosmetici in cerca di clienti, si reca nel sinistro castello in stile gotico e lo porta nella sua casa, per farlo vivere con la sua famiglia, composta dal marito Bill, dal figlio adolescente Kevin, e dalla figlia Kim. Lo strano ospite desta subito la curiosità delle pettegole amiche di Peggy, che se lo disputano, attratte morbosamente dalla sua “diversità”, e entusiaste dei mirabili lavori che Edward è capace di fare con le sue forbici: tagliare gli alberi e i cespugli in originali forme di creature umane o di animali, tosare i cani e realizzare per le signore eleganti pettinature. Una vicina, la sensuale Joyce Monroe, tenta invano di sedurre Edward, che invece si innamora segretamente di Kim, fidanzata con Jim, un cinico figlio di ricchi, ma avari genitori, il quale subito odia Edward, perché vede in lui un potenziale rivale. Poiché le forbici di Edward aprono anche le porte, Jim decide di servirsi di lui per rubare in una stanza segreta i soldi necessari a comprarsi un camper, dove intrattenersi con la fidanzata. Kim è contraria al progetto, ma alla fine cede; però scatta l'allarme ed Edward rimane solo e prigioniero dentro l'appartamento. Ritenuto un ladro, e arrestato, viene liberato soltanto perché diversamente abile, ma ormai le sue ammiratrici si sono trasformate in nemiche, ed Edward, perseguitato, è costretto a rifugiarsi nel suo castello, dove lo raggiungono Kim e Jim, la prima per dichiarargli il suo amore, il secondo per ucciderlo.

È evidente dalla trama che il film può essere considerato un apologo sull'impossibilità di essere diversi in una società tutta di uguali.

Il film appare in primo luogo una riflessione sulla dialettica tra inclusione ed esclusione, accettazione e rifiuto. Edward è un diverso, non solo fisicamente ma anche socialmente: non conosce i codici di comportamento della società e deve imparare molte cose, come un bambino, pur sapendone fare molte altre. Le mani di forbice possono apparire come una limitazione, ma a ben vedere spesso risultano una risorsa, come nel caso della sua maestria nel tagliare siepi e capelli. La storia del film consente allo spettatore di riflettere, quindi, sul fatto che l'attribuzione di diversità sia spesso soggettiva, a seconda di come la si valuti. La parabola del protagonista, che da curiosità “aliena” si trasforma gradualmente in ospite imbarazzante e infine in presenza dichiaratamente non gradita, contro cui riversare le proprie frustrazioni e ossessioni, esemplifica bene il funzionamento del pregiudizio, che letteralmente attribuisce un giudizio sia esso positivo o negativo, conta poco – a prescindere da un reale confronto con l'altro. Lo slittamento verso il negativo traduce definitivamente il pregiudizio in discriminazione.

Tale strada non può che passare da una riflessione sull’intreccio tra mente, cervello e corpo, tra percezione fisica e costruzione dell’immaginario collettivo per aiutare il soggetto debole a costruire una propria identità e a trovare un proprio posto nel mondo.

In Edward mani di forbice, quando Peggy Boggs trova il ragazzo con le cesoie al posto delle mani, tenta di farlo accettare/integrare prima nella propria famiglia e poi nella società, ma alla fine non vi riesce per un palese rifiuto da parte di chi, ad un certo punto della storia, vede nel protagonista del film solo un “mostro”, “un alieno”, figlio, in tal senso di tutta una serie di icone dell’Immaginario Collettivo creato dalla letteratura fantastica e di fantascienza che vanno dal Frankenstein di Mary Shelley alla moderna figura del cyborg.

Il sogno dell’uomo di poter dare vita a prodotti con caratteristiche che replicano le potenzialità umane è, infatti, antico almeno quanto l’uomo stesso e ha influenzato a più riprese anche l’immaginario collettivo, il quale spesso, per riflesso, ha creato gli spunti per la prosecuzione di tale sogno. Molte icone della fantascienza hanno reso manifesto il dualismo corpo-mente che è alla base della comprensione della diversità e della disabilità.

Sono ormai molte le occasioni nella vita di tutti i giorni in cui è possibile soffermarsi a riflettere su come e quanto la tecnologia stia modificando il corpo umano e stia trasformando molte delle azioni che si eseguono quotidianamente: gli strumenti tecnologici, in uno scenario che va dai sistemi informatici alle biotecnologie, influenzano profondamente il corpo a livello psicologico, fisico, culturale. L’essere umano è coinvolto in questo processo non solo a livello sociale e di rapporti interpersonali, ma ne diviene il destinatario principale in quanto entità psicologica, fisica e biologica. È il corpo nella sua totalità ad essere al centro del rapporto tra uomo e tecnologia.

Centrale nelle storie di fantascienza è spesso la tecnologia che ha cambiato radicalmente il rapporto tra l’essere umano e la società, poiché gli strumenti tecnologici presenziano ora in quasi tutti gli ambiti dell’esistenza: dall’arte alla medicina, dai trasporti all’architettura, dall’informazione alla didattica.

La figura del cyborg, ad esempio, è stata usata come metafora dalla filosofa femminista Donna J. Haraway in suo famoso saggio dal titoloManifesto Cyborg. Donne, tecnologie e biopolitiche del corpo (1985), in cui è al contempo uomo e macchina, individuo non sessuato o situato oltre le categorie di genere, creatura sospesa tra finzione e realtà. Come sottolinea la Haraway, il […] cyborg è un organismo cibernetico, un ibrido di macchina e organismo, una creatura che appartiene tanto alla realtà sociale quanto alla finzione.

La filosofa utilizza il cyborg per indicare la nuova condizione di simbiosi con le macchine caratteristica dell’età industriale avanzata. In questo senso, il cyborg non è che la nuova versione di una figura di cui sono pieni i miti di tutti i popoli, cioè l’ibrido.

Ma se l’ibrido del mito è una figura mista fra uomo e animale, il cyborg fa entrare in gioco un nuovo partner, la macchina. Da un lato ciò conferma in qualche modo che la tecnologia è davvero diventata una seconda natura dell’uomo, e che l’ibrido corrisponde sempre a una condizione ideale di integrazione fra l’uomo e il suo ambiente; dall’altro lato c'è una differenza fondamentale fra gli ibridi del mito e il cyborg, perché, mentre l’unità fra uomo e natura di cui ci parlano centauri, fauni, arpie e chimere è collocata in un lontano passato, in una mitica età delle origini, l’integrazione cui alludono i nuovi ibridi uomo-macchina è invece ancora tutta da costruire.

Oggi, rispetto alle tecnologie del passato, è presente una caratteristica nuova: i due elementi, naturale (il corpo) e artificiale (l’oggetto tecnologico), stanno contaminandosi a vicenda. Il corpo in futuro dovrà presumibilmente imparare a convivere con organi artificiali e protesi meccaniche, con macchine in grado di ascoltarlo, toccarlo, osservarlo, esplorarlo in profondità e capaci di restituirne una visione sempre più perfetta, anche alla luce dell’Intelligenza Artificiale che sta entrando sempre più nella vita quotidiana delle società contemporanee. Non si tratta più soltanto di usare gli artefatti tecnologici, ma di accoglierli all’interno del corpo biologico. La tecnologia innanzitutto entra in relazione con il corpo quando rappresenta un’estensione delle sue capacità “naturali”, sia in senso astratto che fisico. Tutti gli oggetti di uso quotidiano, dal telecomando al telefono cellulare, rappresentano infatti dei “prolungamenti” del corpo biologico e delle sue capacità. Si possono considerare parte di questo insieme di oggetti tutti i media, i mezzi di trasporto e, più in generale, tutti gli strumenti tecnologici che sono in grado di potenziare le capacità umane di vedere, sentire, ragionare, spostarsi nello spazio.

La pretesa naturalità dell'uomo diventa sempre più quindi solo una costruzione culturale, poiché tutti siamo in qualche modo dei cyborg. L'uso di protesi, lenti a contatto, by-pass, protesi tecnologiche a braccia o schiena sono solo un esempio di come la scienza sia penetrata nel quotidiano e abbia trasformato la vita dell'uomo moderno. Il corpo diventa un territorio di sperimentazione, di manipolazione, smettendo dunque di essere inalterato e intoccabile. Se il corpo può venire trasformato e gestito, cade il mito che lo vede come sede di una naturalità opposta alla artificialità.

Come sottolinea ancora la Haraway: Le scienze della comunicazione e la biologia costruiscono oggetti di conoscenza tecnico-naturali in cui la differenza tra macchina e organismo è completamente offuscata, la mente, il corpo e lo strumento sono molto vicini.