In una delle sue osservazioni più famose, Marx scrive che se analizziamo il concetto quasi banale di merce (e perciò di valore) esso diventa una cosa imbrogliatissima, piena di sottigliezza metafisica e di capricci teologici. Da quando, nella storia del mondo, lo scambio diretto tra beni è stato sostituito da un oggetto simbolico (il denaro) che funziona da intermediario, si è creata una situazione in cui le strutture sociali si reggono sulla base di questo accordo generalizzato.
Comprare un bene per mezzo di una banconota equivale a offrire al venditore un impegno scritto, che gli garantisce di poter avere in cambio, cedendo quella banconota, un qualunque altro bene da qualunque altro venditore, purché tale bene equivalga al precedente. L’utilizzo del denaro permette cioè di effettuare scambi non sincronizzati temporalmente, e tra individui differenti.

La consapevolezza che il valore del denaro è puramente simbolico, e che la sua natura è del tutto astratta (in sé, una banconota è solo un pezzo di carta filigranata con particolari scritte e disegni) è alla base del criterio di convertibilità (totale o parziale) in oro della moneta circolante, il cosiddetto gold standard o sistema aureo, adottato un po’ da tutti i paesi nel corso del 1800, e abolito nel 1971. Attualmente gran parte degli scambi economici e finanziari avvengono per via informatica, per cui il denaro sta progressivamente perdendo la sua veste fisica in carta e metallo, per diventare una serie di bit di memoria. Il concetto di valore, e perciò di ricchezza, si trasforma man mano in qualcosa di astratto, tanto più in quanto la mole complessiva di denaro circolante non corrisponde del tutto alla quantità di beni esistente.
Questo fatto non desta preoccupazioni, dato che viene considerato normale pagare per un bene che non è stato ancora prodotto. La società (intesa come l’insieme dei gruppi sociali divisi per territorio, etnia, lingua e cultura) sembra reggersi sul denaro, mentre in realtà si regge su degli accordi. Una volta compreso che alla base di tutto ci sono delle convenzioni ben precise, non è difficile capire come sia possibile creare delle valute che sono diverse da quelle correnti, e che vengono definite “criptovalute”.
Il concetto di denaro ci permette di capire che la società si basa su un patto sociale che non può essere messo in discussione, pena la disintegrazione della società stessa. Tuttavia la tendenza predatoria degli esseri umani non è mai venuta meno, e di fatto il mondo si mantiene da sempre su un equilibrio precario tra diritto e sopraffazione. L’attitudine a mascherare o giustificare la violazione del patto deriva dalla contraddizione tra la rottura del contratto e la pretesa di usufruirne. Dopotutto, un rapinatore di banche non potrebbe poi spendere i soldi che ha portato via, se non rientrando nella convenzione che ha appena violato.
Oggigiorno ci viene mostrata in tempo reale la violazione di tutta una serie di regole di convivenza civile, che dovrebbe comportare il tracollo delle convenzioni stabilite, che tuttavia reggono. Nella concezione contrattualistica si suppone che non esista una via di mezzo tra lo stato di natura (l’homo homi lupus di Hobbes) in cui non ci sono regole, e la società civile costruita sul patto sociale. Osserviamo invece una coesistenza tra le due situazioni, una sovrapposizione quantistica in cui l’atteggiamento predatorio vive sulla pretesa che la società stia funzionando come dovrebbe. È questo lo scandalo, la scommessa, l’esibizione di potere.

Questa rappresentazione viene ostentata, non mascherata, come se un rapinatore prima estorcesse il denaro e poi andasse allo sportello per depositarlo sul proprio conto, il tutto sotto l’occhio delle telecamere e degli astanti. L’atto (o comunque il tentativo) di predazione avviene direttamente sul palcoscenico, non dietro le quinte, e la realtà delle cose viene semplicemente rovesciata, non solo nella narrazione successiva, ma persino nella descrizione in diretta di ciò che accade. Ti insulto e ti richiamo alle buone maniere, ti do un pugno e ti accuso di avermi colpito.
Lo sgomento che ne deriva è comunque inferiore a quel che ci si aspetterebbe, e ci sono molti che si limitano a prendere per buona la narrazione “alternativa”. Colpisce la somiglianza con alcune storie distopiche. In 1984 (George Orwell, 1949) si modificano le tracce scritte degli eventi: libri di storia, documenti, articoli di giornale. In Matrix (Andy e Larry Wachowski, 1999) una realtà virtuale è sovrapposta alla vera realtà. In Eye in the Sky (Philip Dick, 1957) le diverse realtà in cui si ritrovano i sette protagonisti sono prodotte dalla condivisione di una proiezione mentale di uno o l’altro dei personaggi (il fenomeno è dovuto a una disfuzione del bevatrone, un acceleratore di particelle realmente esistente, all’epoca, in California).
Che cosa dunque produce il fenomeno a cui assistiamo? Se il gioco di prestigio è un trucco visivo, magia e stregoneria sono invece nella parola. Sappiamo tutti che ormai le immagini non sempre sono reali. Quanto alle parole, esse significano solo ciò che noi crediamo vogliano dire. Il problema non è però nell’incomprensione. Si tratta piuttosto della questione di chi comanda, ma non nel senso semantico di cui parla Lewis Carroll.
Non si tratta infatti di stabilire cosa significhino le parole. Si tratta, più radicalmente, di imporre una descrizione al posto di un’altra. La realtà esiste nella descrizione che ne facciamo, innanzitutto a noi stessi, perciò se modifico la descrizione modifico la realtà. Lo scontro per il potere è uno scontro tra descrizioni diverse del reale. Tutto ciò sembra nuovo ma non lo è. Da sempre, una descrizione del reale è considerata più o meno affidabile, a seconda di quanto sia prossima alla realtà dei fatti.
L’idea che esista una dicotomia netta tra vero e falso è ingenua, perché la verità può avere delle gradazioni. Questo però non vuol dire che la verità non esista, o che una descrizione sia buona quanto qualsiasi altra. Il recente concetto di post-verità registra il dato di fatto che a molta gente non interessa la verifica della verità di un’affermazione, ma la propria accettazione acritica o il proprio rifiuto di essa. Ciò che appare inedito in tale atteggiamento è l’enorme pervasività del fenomeno. Il termine (coniato nel 1992) si è imposto negli anni Duemila in relazione a eventi che coinvolgono tentativi di manipolazione dell’opinione pubblica, quali elezioni e referendum popolari.
Il motivo per cui si pratica la disinformazione è ovviamente quello di trarne dei possibili vantaggi. Più interessante è chiedersi perché tante persone siano disposte a prendere per buone le notizie fasulle (spesso palesemente tali). Quando, dopo una votazione, le diverse parti dichiarano di aver vinto, i loro votanti sono indotti a credere che sia vero, perché a nessuno piace pensare di aver perso. Per lo stesso motivo, se chi ha perso dice che la votazione è stata truccata, i suoi votanti gli crederanno, senza preoccuparsi di chiedere prove a sostegno.

Capita anche che un candidato dichiari che, se perde, il voto sarà stato di certo truccato, ovviamente senza avere nessuna prova, dato che si tratta di un evento futuro che potrebbe non verificarsi. È certo grave che una cosa del genere venga detta, è ancora più grave che qualcuno la creda vera. A prendere questa affermazione sul serio, non si dovrebbe nemmeno votare.
Di fatto, alla narrazione falsificata del passato (praticata da sempre, ma ora applicata quasi in tempo reale) si è aggiunta non solo la descrizione falsificata del presente, ma addiritura l’anticipazione falsificata del futuro. La manipolazione dei fatti si diffonde come un virus lungo le tre dimensioni temporali. Nel racconto Diritto di voto (Franchise, if: Worlds of Science Fiction, agosto 1955) Isaac Asimov immagina (la storia si svolge negli USA del 2008) che un unico elettore (scelto dal supercomputer Multivac) possa decidere con il suo voto l’esito di un’elezione. Asimov ci offre non una previsione, ma un paradosso: la volontà collettiva che viene rappresentata ed espressa da un solo individuo. Per fortuna non siamo ancora a questo punto, ma non ci sentiamo di escludere che possa andare a finire perfino peggio, con il candidato che viene eletto con un unico voto: il suo.
*Il presente testo tratta un tema che ho già toccato in un mio precedente articolo, “La costruzione della realtà” (Delos Science Fiction, n. 256, maggio 2024).
1 commenti
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Quanto alla propaganda, la stiamo vedendo anche in questi giorni: morte alle crypto ma sì ad euro digitale, armi "di pace", venti di guerra cammuffati da atti politici, elezioni annullate (Romania) per un candidato non in linea con i dettami di Bruxelles, soldi per la guerra ma non per il sociale e/o i cittadini, eliminazione della proprietà (o quantomeno tentativo), propaganda sul green che ora che non attacca più e passa agli armamenti, controllo esteso e minuzioso su persone e su tutti i dati che compongono lo scibile che le contraddistingue.
Purtroppo è un brutto momento ma quantomeno accorgersene aiuterebbe. E la stessa propaganda che ad inizio articolo si tenta (NUOVAMENTE) di ritorcere contro chi non crede più alle fanfaronate della Von Von & CO. andrebbe un attimino rivista.
Finirla di inneggiare al "coraggioso battaglione (NEONAZISTA) Azov" e ad altre politiche iniziando a ragionare con la propria testa. Insomma, parafrasando il fantasy, è uno dei significati insiti ne "Il Signore degli Anelli". Che tutto voleva meno avere scopi politici. Ma di riflessione, quelllo sì.
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