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La porta del mio ufficio si aprì scivolando.
– Salve – dissi, alzandomi dalla sedia. – Lei dev’essere la mia cliente delle nove, vero?
Lo dissi con il tono di chi aspetta un cliente anche alle dieci e uno alle undici, ma non era così. L’intera economia marziana era in contrazione e, anche se ero l’unico investigatore privato su Marte, questo era il primo nuovo caso dopo settimane.
– Sì – rispose una voce squillante e femminile. – Mi chiamo Cassandra Wilkins.
I miei occhi corsero su e giù lungo il suo corpo. Era davvero un buon lavoro: mi domandai se fosse stata già così perfetta prima del trasferimento. La gente di solito ordinava corpi di ricambio che, almeno in generale, assomigliavano a quelli originali, ma pochi resistevano alla tentazione di migliorarsi. Gli uomini diventavano più muscolosi, le donne più sinuose, e tutti si modificavano il viso per eliminare asimmetrie, rughe e imperfezioni varie.
Per quanto mi riguarda, se e quando mi fossi fatto trasferire, mi sarei fatto eliminare le tracce di grigio nei capelli biondi e mi sarei regalato un naso nuovo, più simile a quello che avevo prima che me lo rompessero un paio di volte.
– È un piacere conoscerla, signorina Wilkins – risposi. – Io sono Alexander Lomax. Si accomodi, la prego.
Lei era minuta, non più alta di un metro e cinquanta e vestiva un tailleur di classe: gonna e camicetta grigioargento, ma niente gioielli né trucco. Con quell’aspetto così delicato, mi aspettavo che si sedesse con un fluido movimento felino, invece si lasciò praticamente cadere in modo sgraziato sulla sedia.
– Grazie – disse. – Spero che mi possa aiutare, signor Lomax. Lo spero proprio.
Anziché di sedermi, prima passai alla macchinetta del caffè a riempirmi la tazza, poi aprii la bocca per offrirne una a Cassandra, ma la richiusi prima di parlare; i trasferiti, ovviamente, non bevono.
– Allora, qual è il problema? – le chiesi, ritornando alla scrivania.
È difficile interpretare le espressioni facciali di un trasferito: di solito i lineamenti si modellano molto bene, ma i muscoli si muovono in modo un po’ rigido.
– Mio marito… oh, cielo, signor Lomax. La sola idea di dirlo ad alta voce mi sconvolge. – Abbassò lo sguardo sulle mani. – Mio marito… è scomparso.
Spalancai gli occhi, sorpreso.
Era dannatamente difficile sparire nel nulla, da queste parti: New Klondike aveva un diametro di soli tre chilometri, ed era tutta sigillata sotto una cupola.
– Quando l’ha visto per l’ultima volta?
– Tre giorni fa.
Il mio ufficio era piccolo, ma una finestra ce l’aveva. Oltre il vetro si vedeva uno degli archi di supporto che sostenevano la cupola trasparente sopra New Klondike.
Fuori dalla cupola infuriava una tempesta di sabbia e nuvole color arancio oscuravano il sole. Le luci ausiliarie inserite nell’arco compensavano un po’, ma le giornate marziane, in generale, non erano mai molto luminose. Era uno dei motivi per cui anche quelli che potevano permettersi il lusso di scegliere se restare sul pianeta o tornare sulla Terra erano restii a farlo: si diceva che, dopo anni di cieli marziani debolmente illuminati, vedere il sole provocasse fitte lancinanti agli occhi.
– Suo marito è… ehm… come lei? – indagai.
Lei annuì.
– Oh, certo. Entrambi siamo venuti fin qui in cerca di fortuna, proprio come tutti gli altri.
Scossi la testa.
– Forse non mi sono spiegato. Anche lui è un trasferito?
– Oh, mi scusi. Sì, anche lui. In verità ci siamo appena fatti trasferire.
– È una procedura costosa – sottolineai. – È possibile che se la sia data a gambe per non pagare il conto?
Cassandra scosse la testa.
– No, no. Qualche tempo fa Joshua ha trovato un paio di esemplari fossili di un certo valore. Li ha venduti e con il ricavato ha acquistato una filiale della NewYou in città. È lì che ci siamo conosciuti, il giorno in cui ho deciso di smettere di setacciare la polvere e ho cercato lavoro come commessa. Quindi, può ben capire, siamo stati entrambi trasferiti a prezzo di costo, ovviamente. – Mentre parlava si torceva le mani, nel vero senso della parola. – Oh, signor Lomax, mi aiuti, la prego! Senza il mio Joshua non so proprio come fare!
– Deve amarlo molto – dissi, osservando attentamente il suo bel viso e non per il semplice piacere di farlo; volevo valutare la sincerità della sua risposta. Dopotutto, la maggior parte delle volte, la gente scompariva da casa perché i rapporti familiari andavano male, ma i coniugi di solito erano reticenti a parlarne.
– Oh, sì! – rispose Cassandra. – Lo amo più di quanto sappia dire a parole. Joshua è un uomo davvero meraviglioso. – Mi rivolse uno sguardo implorante. – Deve aiutarmi a ritrovarlo. Deve farlo!
Io abbassai gli occhi e rimasi a fissare la tazza che tenevo in mano; dal caffè si levava un vapore leggero.
– Ha provato ad andare alla polizia?
Cassandra emise un suono che, a una prima impressione, voleva essere un grugnito: era ruvido al punto giusto, ma asciutto come la sabbia marziana.
– Sì. Quelli lì… oh, signor Lomax, detesto parlare male della gente! Mi creda, non è da me farlo, ma… be’, non posso proprio farne a meno. Quelli lì sono degli incapaci. Del tutto incapaci.
Annuii appena. Era una cosa che sentivo dire abbastanza di frequente. Infatti era soprattutto grazie all’incompetenza e all’indifferenza della polizia locale che mi guadagnavo da vivere.
– Con chi ha parlato?
– Con un… un detective, immagino. Non indossava l’uniforme. Il nome l’ho dimenticato.
– Che aspetto aveva?
– Capelli rossi e…
– È Mac – dissi. Lei mi guardò, confusa, e così dissi il suo nome per intero. – Dougal McCrae.
– McCrae, sì – confermò lei. Ebbe un tremito, e dovette accorgersi della mia reazione sorpresa perché aggiunse subito: – Mi scusi. È solo che quel tipo mi guardava in un modo che non mi piaceva affatto.
Resistetti all’impulso di lasciar correre lo sguardo lungo il suo corpo: l’avevo già fatto e ricordavo bene ciò che avevo visto. Probabilmente il suo corpo originale non era uguale a quello: ma se mi sbagliavo, di certo a quel punto si doveva essere abituata agli sguardi d’ammirazione degli uomini.
– Farò due chiacchiere con McCrae – le dissi. – Per capire a che punto sono arrivati con l’indagine. In questo modo potrò riprendere il caso da dove l’ha lasciato la polizia.
– Lo farebbe davvero? – I suoi occhi verdi parvero danzare. – Oh, grazie, signor Lomax! Lei è una brava persona… lo so!
Scrollai leggermente le spalle.
– Potrei presentarle due ex mogli e mezza dozzina di banchieri che non sarebbero d’accordo.
– Oh, no – insistette lei. – Non dica così. Lei è una brava persona. Non mi deluderà.
Che donna naif. Probabilmente pensava la stessa cosa del marito, prima che tagliasse la corda.
– Allora, che cosa mi può dire di suo marito? Joshua, vero?
– Sì, esatto. Si chiama Joshua Connor Wilkins, e la pregherei di chiamarlo sempre Joshua, mai Josh, per favore.
Io annuii. I fissati che si facevano chiamare sempre con il proprio nome completo, secondo la mia esperienza, non concludevano mai niente di buono. Forse il fatto che questo pagliaccio fosse scomparso era una cosa positiva.
– Va bene – risposi. – Vada avanti.
Non avevo bisogno di prendere appunti, ovviamente. Il computer dell’ufficio registrava tutto, e all’occorrenza avrebbe estratto in un comodo file di sommario tutte le informazioni utili per il caso.
Riflettendo per un momento, Cassandra mosse avanti e indietro il labbro inferiore sintetico, portandolo sotto i denti anteriori artificiali. Poi iniziò: – Allora, è nato a Calgary, nell’Alberta, e ha trentotto anni. Si è trasferito su Marte sette manni fa. – Un manno era un anno marziano, lungo più o meno il doppio di un anno terrestre.
– Ha una sua fotografia?
– Posso caricargliene una – disse, indicando il terminale sulla mia scrivania. – Permette?
Annuii e Cassandra si sporse per raggiungere la tastiera. Nel farlo, riuscì a rovesciare la mia tazza di caffè, versandosi il liquido bollente su una mano raffinata. Lanciò un gridolino di dolore.
Io mi alzai, afferrai un asciugamano e iniziai ad asciugare quel pasticcio.
– Mi sorprende che le faccia male – dissi. – Voglio dire, a me il caffè piace caldo, ma…
– I trasferiti sentono dolore, signor Lomax – rispose – per lo stesso motivo dei biologici. Quando sei fatto di carne e ossa, ti serve un sistema in grado di segnalare quando una parte del corpo viene danneggiata. Per quelli come noi, che si sono fatti trasferire, è la stessa cosa. È chiaro che i corpi artificiali sono molto più durevoli, però.
– Ah – commentai.
– Mi scusi – rispose lei. – Ho spiegato questa storia talmente tante volte ormai! Sa, al lavoro… Comunque, mi scusi se le ho allagato la scrivania.
Le rivolsi un gesto noncurante.
– Meno male che esistono gli uffici virtuali, eh? Non si preoccupi. – Indicai la tastiera: per fortuna neanche una goccia di caffè era colata tra i tasti. – Non doveva mostrarmi una fotografia?
– Oh, certo.
Pronunciò alcuni comandi vocali e il terminale reagì, mentre io non potevo fare a meno di chiedermi a cosa le servisse la tastiera. Ma poi vidi che la usava per digitare una lunga frase chiave.
Immaginai che non volesse pronunciarla ad alta voce in mia presenza. Mentre digitava la frase, aggrottò la fronte, cancellò alcuni caratteri e inserì una correzione.
Le frasi chiave multiparola erano facili da pronunciare, ma difficili da digitare per chi non era pratico nell’uso della tastiera, e più uno era maniaco della sicurezza, più lunga era la frase chiave che utilizzava.
Comunque, alla fine entrò in un archivio di file personali e caricò una foto di Joshua-e-mai-Josh Wilkins. L’uomo era molto diverso da quello che mi sarei aspettato, tenendo conto della bellezza della signora Wilkins. Aveva occhi grigi e sguardo gelido, capelli rasati così corti da risultare praticamente inesistenti, e bocca sottile, quasi senza labbra. In complesso, aveva un’aria da rettile.
– Questo era prima – dissi. – Che mi dice di dopo? Che aspetto ha ora che si è fatto trasferire?
– Uhm, più o meno lo stesso – rispose lei.
– Sul serio? – Se avessi avuto una bocca tirabaci come quella che avevo visto nella foto, me la sarei fatta modificare all’istante. – Ha una foto scattata dopo il trasferimento di coscienza?
– No, nessuna – rispose Cassandra. – Dopotutto, lui e io ci siamo appena fatti trasferire. Ma posso accedere alla banca dati della NewYou e mostrarle il progetto utilizzato per realizzare la sua nuova faccia. – Tornò a rivolgersi al terminale, poi digitò un’altra lunga frase chiave. In breve sul mio monitor campeggiava una versione in computer grafica della testa di Joshua.
– Ha ragione – commentai, sorpreso. – Non ha modificato nulla. Può lasciarmene una copia?
Lei annuì e, pronunciando altri comandi vocali, trasferì diversi documenti sulla memoria locale del terminale.
– Va bene – dissi. – La mia tariffa è di duecento solari all’ora.
– Accetto, accetto, ovviamente. Il denaro non è affatto un problema, signor Lomax. Voglio solo riavere Joshua con me. Per favore, mi dica che lo ritroverà.
– Lo farò – dissi, rivolgendole il sorriso più rassicurante di cui fossi capace. – Non si preoccupi. Non può essere andato lontano.
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