La fantascienza ha da tempo iniziato a rompere le barriere che la separavano dalla narrativa "alta" e dai generi più accessibili al grande pubblico. Tuttavia, la sua natura complessa, ricca di stratificazioni concettuali e tecniche narrative uniche, pone una sfida intrinseca: come si legge e si interpreta la fantascienza? Samuel Delany suggerì che la fantascienza non va definita semplicemente dai suoi topoi, come astronavi e alieni, ma dal modo in cui viene letta e compresa. Questo approccio apre una riflessione profonda sulle modalità di avvicinamento al genere, sia per i lettori che per gli autori.
Uno degli aspetti più intriganti della fantascienza è il suo modo di richiedere al lettore una partecipazione attiva nella costruzione del mondo narrativo. Questa costruzione collaborativa tra autore e lettore è uno degli elementi distintivi della fantascienza, una forma di intrattenimento intellettuale che va oltre il puro consumo passivo.
Nonostante questo, chi non ha familiarità con il genere spesso si scontra con difficoltà apparentemente insormontabili. Lettori abituati alla narrativa tradizionale possono trovare frustrante il fatto che alcuni dettagli non vengano spiegati o che la tecnologia sia presentata come una parte integrante del mondo, senza una lunga premessa o altro tipo di spiegazione. La fantascienza moderna, infatti, presuppone un linguaggio condiviso, un bagaglio culturale che si è evoluto nel corso di oltre un secolo di narrativa. Da Asimov a Le Guin, da Heinlein a Dick, gli scrittori di fantascienza hanno costruito tecniche che oggi appaiono naturali ai lettori abituali, ma possono risultare ostiche per i neofiti.
Un esempio emblematico è dato dal tentativo di interpretare gli elementi fantastici come metafore piuttosto che come realtà letterarie. Questo presunto doppio livello è spesso ciò che rende la fantascienza tanto affascinante quanto difficile da decifrare per chi è abituato a una lettura prevalentemente simbolica o allegorica.
Nel cinema, la situazione si fa ancora più complessa. La fantascienza viene ancora interpretata, talvolta, come un genere visivamente spettacolare ma narrativamente superficiale. Tuttavia, capolavori come 2001: Odissea nello spazio di Stanley Kubrick o Arrival di Denis Villeneuve dimostrano che il cinema può tradurre le complessità narrative e concettuali del genere in un linguaggio visivo potente e universale. Anche qui, però, il pubblico deve essere disposto a impegnarsi. Come nei romanzi, il worldbuilding è un elemento chiave: il regista deve suggerire, piuttosto che spiegare, creando mondi che si rivelano attraverso dettagli sparsi piuttosto che tramite un'esposizione diretta.
La crescente accettazione della fantascienza nel mondo letterario e accademico è un segno del suo potenziale di espansione. Autori come Philip K. Dick, Ursula K. Le Guin e Margaret Atwood hanno dimostrato che il genere può affrontare temi profondamente umani e universali. Tuttavia, spesso sono i testi più facilmente interpretabili attraverso una lente metaforica a guadagnare credibilità “accademica”, mentre opere più radicate nella pura costruzione di mondi rimangono marginalizzate.
Ma, come dicevamo all’inizio, la costruzione di un mondo, di una storia, di una saga, è un processo osmotico che coinvolge autore e lettore/spettatore. Alla base di questo sta non soltanto la famosa sospensione dell’incredulità ma anche la voglia di lasciarsi stupire senza troppe domande da un mondo che ci affascini e nel quale possiamo trascorrere ore di avventura.
L’esempio che mi viene in mente è quello dei giochi da consolle, e, nello specifico, Fortnite. Io non sono mai riuscito a giocarci anche dopo aver assistito a tante partite giocate da mio nipote dodicenne per il quale quel mondo con le sue regole è totalmente plausibile e naturale. Aldilà della personale imbranataggine sul controller mi sono sentito “fuori luogo”, esattamente come quando in passato ho consigliato un libro o un film di fantascienza a chi non si era mai approcciato al genere per poi sentirmi dire: “non ci ho capito niente”.
A quel punto mi è balenato il sospetto che la mia confidenza con la fantascienza e quella di mio nipote con Fortinite si basavano entrambi sull’età del primo approccio: la preadolescenza. Forse, mi sono detto, crescere insieme ad un “genere” stimola delle capacità di comprensione e decifrazione che inevitabilmente ci pongono da una parte o dall’altra della “barricata”, nel bene e/o nel male.
E allora possiamo dire che la fantascienza non è solo un genere letterario o cinematografico: è un modo di pensare, un esercizio di immaginazione che ci invita a guardare oltre i confini del possibile, a spingerci sempre un po’ più avanti, testando nuove strade da indicare a chi ci seguirà, finché ci saremo, sempre divertendoci.
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