Le più recenti teorie sul genere letterario fanno emergere che esistono sostanzialmente due approcci critici significativi, sebbene con varie distinzioni all’interno di ognuno: il primo potremmo definirlo teorico ed è di tipo classificatorio, laddove si individuano delle proprietà che la singola opera deve avere e la si assegna di diritto a questo o quel genere in base a delle specifiche caratteristiche; il secondo, invece, è di tipo storico, ossia un’opera appartiene a un dato genere perché in un dato momento gli attori principali l’hanno definita come appartenente a quel genere e tale appartenenza si è affermata nel tempo. Ma chi sono gli attori che definiscono se un romanzo appartiene a un dato genere oppure no? Gli scrittori stessi, prima di tutto, poi i lettori, gli editori, i critici e naturalmente i librai.

La fantascienza è stata permeata da sempre da una stratificazione di tematiche che hanno dato vita a diversi filoni o sottogeneri che dir si voglia. Un processo che è presente fin dagli albori della storia della science fiction. Non è questa la sede di definire e tratteggiare le caratteristiche di tutti i rivoli che hanno alimentato il genere principale, tuttavia è interessante, a nostro avviso, analizzarli da almeno due punti di vista, uno che potremmo definire concettuale e l’altro storico. Con il primo intendiamo il tentativo di sintetizzare in tre grandi aree i vari filoni della fantascienza, con un intento puramente classificatorio, mentre con il secondo si vuole dimostrare come molti generi nascano, o per meglio dire, vengano definiti e cristallizzati in un dato momento storico da parte di uno o più attori che fanno parte dell’industria che è alle spalle di un’opera di fantascienza e sono poi accettati da tutti gli altri attori.

Partiamo dal primo punto di vista, quello concettuale, provando a suddividere i sottogeneri della fantascienza in tre grossi insiemi, che potremmo chiamare sinteticamente contaminazioni, visioni, scenari.

Il primo, quello che abbiamo definito contaminazioni, è relativo al processo che vede la fantascienza mescolarsi con altri generi principali, che appartengono sia al sistema dei generi teorici di stampo aristotelico sia al sistema dei generi storici, cioè quelli formati dall’Ottocento in poi. In questo filone, ad esempio, fanno parte sottogeneri quali la commedia fantascientifica, che contamina la science fiction con uno dei generi classici della teoria dei generi, atto a suscitare il riso e che, in un’accezione più moderna, potremmo chiamare comica. Anche la fantascienza di natura satirica ha la stesa genealogia. Ricadono, poi, in questo primo insieme anche tutti quei generi che ibridano la fantascienza con altri generi che appartengono alla cultura di massa, come il western, l’horror, il fantasy, la spy-story, il giallo e tutti i generi derivati da questo filone (noir, thriller, etc.), il romance, ma anche la storia, con il filone dell’ucronia (storia alternativa). Alcuni esempi sono i romanzi di science-fantasy, oppure quelli di fanta-western, per non parlare del future-noir, il weird-fiction e così via.

Il secondo filone, che abbiamo indicato con il termine visioni, fa riferimento a quei sottogeneri che danno vita a una visione – che si può manifestare nell’ambientazione o nella trama, oppure in uno o più personaggi – che è tipica della fantascienza e che in molti casi non appartiene agli altri generi letterari. Ricadono in questa categoria i romanzi che hanno, ad esempio, una trama basata su un tema specifico, come il viaggio nel tempo, l’invasione aliena, il primo contatto, la space opera, la colonizzazione dell’universo, supereroi, universi paralleli e trame apocalittiche o post-apocalittiche. Di questa categoria fa parte anche la cosiddetta hard science fiction, dove l’elemento scientifico e/o tecnologico è prevalente all’interno della trama.

Infine, il terzo sottoinsieme, quello denominato scenari, è relativo romanzi che posseggono certamente elementi fantascientifici, ma sono anche in qualche modo ancorati alla realtà sociale, economica e politica in cui vive sia lo scrittore sia il lettore che legge la storia. Pensiamo alla cosiddetta social science fiction, o alla fantascienza soft, in cui prevalgono elementi umanistici e sociali, oppure ai romanzi che di filoni quali l’utopia, la distopia, o romanzi con tematiche religiose o ancora la fantascienza militare, il cyberpunk, in cui è predominante lo scenario di una società ipertecnologica, ma che prevede anche delle grandi disuguaglianze sociali.

L’approccio storico, invece, sembra avere, secondo molti critici letterari, una maggiore efficacia nella definizione di genere letterario, rispetto a quello concettuale. È dunque utile e interessante analizzare come è perché un romanzo venga associato a un genere letterario, chiedendoci: quali sono le dinamiche che definiscono questo processo dal punto di vista dell’approccio storico? Possiamo individuare, per rispondere al quesito, due momenti rilevanti, uno a monte e l’altro a valle. A monte c’è uno autore che, nel momento in cui scrive, non può non tener conto delle opere che sono state pubblicate in precedenza. Per cui scrive consapevole che la sua opera s’inserisce in un flusso già esistente. Ma non solo. È lui stesso a identificare la sua opera come appartenente a un determinato genere letterario nel momento stesso in cui la scrive. Inoltre, è influenzato dal fatto che pubblica la sua opera per un determinato editore, spesso, ma non necessariamente, conosciuto sul mercato per uno o più generi letterari, oppure perché il romanzo è collocato in una collana specifica appartenente a un genere specifico, ma contano anche le aspettative dei lettori, dei recensori e critici.

Ovviamente, sempre a monte può accadere che l’opera scritta dall’autore non venga ritenuta da quest’ultimo come appartenente a un determinato genere. Si veda il caso di scrittori come Margaret Atwood o Kurt Vonnegut, i cui romanzi giudicati appartenenti alla fantascienza, hanno destato l’indignazione del suo autore. O, ancora, al caso tutto italiano di Italo Calvino, i cui racconti compresi nelle antologie Le Cosmicomiche e Ti con zero furono giudicati di fantascienza, genere a cui lo scrittore rifiutava l’accostamento.

A valle, c’è il giudizio dei lettori, che a loro volta sono consapevoli che il romanzo che hanno letto è parte di un flusso di opere a cui l’opera appartiene e che esprimono il loro giudizio, così come ha fatto l’editore nel momento in cui accetta di pubblicarlo, il critico che lo recensisce e il libraio che ripone il testo in un apposito scaffale, insieme agli altri testi dello stesso genere. Ma anche lo stesso autore, a valle, può dichiarare che il suo romanzo appartiene a quel genere letterario, come ad esempio in un’intervista o in eventi pubblici.

L’appartenenza a un genere letterario, dunque, si misura con ciò che chi lo scrive, a monte, e chi lo giudica, a valle, lo definisce tale, in un dato momento storico. È questo il punto: è importante analizzare il momento storico, dall’iniziale istante in cui un romanzo viene creato fino all’accoglienza presso i lettori e i critici, passando per la sua pubblicazione. È in questo lasso di tempo, che può essere breve o lungo, che il romanzo entra a far parte di un genere letterario e viene riconosciuto dalla maggior parte dagli attori della filiera dell’editoria.

Accadono fenomeni, poi, nel mondo dell’editoria che sembrano scompaginare qualsiasi intento critico relativo ai generi letterari. Uno dei più interessanti è la fuoriuscita di uno scrittore dal genere letterario con cui la sua opera è sempre, o quasi, stata etichettata dai lettori e dalla critica. Si prenda il caso di Philip K. Dick che da scrittore di science fiction, letto fino ad un certo punto solo dagli appassionati del genere e che di questo genere ha usato tutti gli stilemi e i cosiddetti “attrezzi”, è diventato uno scrittore mainstream, letto da coloro che normalmente non leggono fantascienza e osannato anche dalla critica non specializzata, finendo per essere investito del titolo di “maestro” o “grande della letteratura”, al di là del fatto che nelle sue opere scrivesse di astronavi, di viaggi nel tempo o di androidi.

Ancora, altro fenomeno interessante è l’assimilazione di un sottogenere della fantascienza da parte della letteratura mainstream. Il caso della distopia è, in tal senso lampante. Nato come antitesi dell’utopia alla fine dell’Ottocento, il genere distopico si è sviluppato, con alti e bassi, per tutto il Novecento, esplodendo definitivamente nel primo ventennio del Terzo millennio, ma non più come sottogenere della science fiction, ma come macrogenere autonomo, grazie soprattutto alla trasposizione cinematografica di alcune saghe letterarie young adult.

Come a dire che comunque, alla fine, conta sempre ciò che il lettore – o se si vuole il suo contraltare, ossia il mercato – decide. Ma c’è una regola che vale sempre: che un romanzo appartenga a un genere oppure no resterà nella storia e nella mente dei lettori sempre e solo se è un buon romanzo, che ha qualcosa da dire e la cui storia resta impressa nella mente. In quel caso, la farà da padrone il vecchio passaparola.