Nell'Italia del prossimo futuro, sembra che le cose abbiano preso una piega positiva, grazie al Protocollo Scilla: la completa turistificazione del Paese.
Edifici storici, bellezze naturali, ma anche comuni, intere città, insomma, tutto o quasi è consegnato ai privati per la “valorizzazione”, ovvero la messa a reddito da attrazione. Per fare un esempio: se una città è conosciuta per le sue biciclette, diventa allora la Città della Bicicletta, ed è completamente e forzosamente convertita a questo scenario massificato.
La politica e la PA sono ridotte alla loro sfera meramente burocratica, tra dispute condominiali e assemblee inutili. La consegna ai privati ha generato comunque un innalzamento delle qualità materiali di vita per molte persone, come chi lavora nel turismo, ma anche chi usufruisce di servizi consacrati all'efficientismo.
La frase emblematica del nuovo corso è: “ora i treni arrivano in orario”, e già questo dovrebbe allertarci… La comodità materiale è spesso più apparente che sostanziale, dato l'obbligo di performance e dato il sistema di crediti sociali sotteso a tutto. Sono state sacrificate la democrazia reale, la libertà intellettuale e politica, e in sostanza la dignità di un intero popolo, trasformato in qualcosa di simile al centurione che posa per i turisti sotto il Colosseo, ma ben più irreggimentato e spento di questa vivace figura abusiva, corrosiva, realmente popolare.
A rappresentare il tragico scadimento è il protagonista, Augusto Arconte: figlio dell'inventore del Protocollo Scilla, il brillante Augusto campicchia come sfruttatore, pardon, imprenditore di sé stesso, fino a che non riesce, grazie a un'entratura importante, a essere nominato responsabile dell'organizzazione della nuova Esposizione Universale.
Con la guida sua e del gruppo di amici che brilla per estro e diversity, l'Expo si rivela un successo (c'è un morto sul lavoro, ma cosa vuoi che sia) e proietta Augusto verso il livello successivo: le elezioni.
Il fronte progressista che difende il Protocollo Scilla fa di Augusto il proprio volto, contro un movimento reazionario nato negli ecovillaggi di chi, per sottrarsi al Protocollo, ha subito un forzato “passaggio al bosco”.
Seguiamo quindi, nella seconda parte del romanzo, una corsa speculare a quella dell'Expo: con Augusto e i sodali che corrono da un meet a un altro, da una task all'altra, all'inseguimento di proiezioni, sondaggi, reaction, logistiche, sponsor.
Di tanto in tanto, sono costretti a fermarsi dalla presenza minacciosa dei dissenzienti al seguito del Bastardo del Re, sulfurea figura di leader populista. Ma tutto avviene in una dimensione totalmente apolitica, dove al rozzo vitalismo dei “fuori griglia” Augusto non ha che da opporre l'efficientismo dell'apparato e una vulgata progressista garrula e alienata dalla realtà, totalmente funzionale al potere.
Presentato come un romanzo di formazione, “Il Protocollo Scilla” non mette in scena nessuna effettiva formazione, ma un onbubilato dibattersi del protagonista nella meccanica del sistema che lo sfrutta.
Va detto che, a causa del “vizio di forma” del punto di vista del protagonista, il romanzo procede con un po' di fatica nella sua parte centrale: il ritmo dell'intreccio dipende troppo dall'agenda di Augusto, zeppa di totali irrilevanze, e chi legge patisce a volte la fatica di questa inconsistenza. Un po' di sintesi in più non avrebbe guastato, ma questo non toglie nulla al valore dello scenario tratteggiato dall'autore, che ha molti elementi di interesse.
Tra i personaggi, unico a levare critiche, a parte il sinistro eppure vitale Bastardo del Re, è lo Sbraco, voce contro del gruppetto di Augusto. Rimbrotto dopo rimbrotto, lo Sbraco sembra lo stereotipo del boomer, ma è anagraficamente un millennial: resiste alla retorica imperante, ma solo a quella, limitandosi a certificare il dramma epocale di una generazione sconfitta ancora prima di lottare, ripiegata nel citazionismo e in un sarcasmo distruttivo, deprimente.
Grazie anche al suo citazionismo ombelicale, e alla compulsione del sistema alla "valorizzazione" di qualsiasi cosa, il romanzo è infuso di riferimenti alla cultura e al costume italiani, un "Protocollo Baccini", direi scherzosamente, che costella la narrazione di ricordi comuni, risalenti ai passati anni Ottanta e Novanta.
Gatti ha cioè lavorato come lavorano normalmente gli autori statunitensi, dei quali sorbiamo inconsapevolmente il mileu a noi estraneo, mentre non badiamo troppo al nostro; che qui l'autore valorizza non certo per la sua qualità, ma per essere stato, nel bene e nel male, l'ultimo spazio simbolico popolare comune che l'Italia ha avuto prima della frammentazione di internet.
Notevoli le ambientazioni del romanzo che mutuano l'immaginario solarpunk: piante, luce, biomateriali, sostenibilità, ergonomia… ma sono riservate solo ai turisti, a chi può permettersele, a chi riesce a scalare la premialità mascherata da meritocrazia.
È un elemento che ho trovato significativo anche ai fini di una analisi critica del solarpunk, in Italia ancora troppo legato ad apparenze petalose e tecnofile, e troppo poco alla giustizia sociale e alla necessità di analisi politiche e pensieri radicali.
In questo suo “apologo fantapolitico”, invece, Fulvio Gatti non è tenero verso nessuno: se l'opposizione destrorsa è ritratta in modo quasi caricaturale, il protagonista è un pupazzo circondato da pupazzi, incapace di vedere ciò che Gatti suggerisce e che è forse il vero messaggio politico del romanzo.
Non è democrazia un sistema ridotto alle sue mere forme, che si dà come unico valore l'efficienza, che riduce ai minimi la società, che contrae la proprietà personale (diversa dalla proprietà privata), che rimuove il conflitto, che impone propaganda, gamificazione e bamboccionificazione.
Affidarsi a un sistema solo in virtù del fatto che funziona bene, votarsi alla sua "tecnica", ai suoi ingranaggi ben oliati, senza ostacolarli, senza turbare la "narrazione", senza creare disordine: è quello che il Protocollo Scilla impone, ed è anche il tipico scenario da regime fascista. Ricordando il discorso sulla ragione strumentale di Horkeneimer, ricordo anche che certi treni arrivavano davvero in orario, ma la loro direzione ultima era il lager.
Non a caso, Gatti ha scritto il romanzo dopo aver osservato la messa in atto della grande Expo di Milano 2015, megaevento che ha consacrato Beppe Sala a “uomo del fare” e lo ha reso sindaco sotto la bandiera del Partito Democratico.
Da allora, Sala ha imposto su Milano – con propaganda puccettosa, modi estremamente brutali e un team di giovani volti puliti e perbene – un'agenda ben precisa: turistificazione, cacciata dei residenti in favore di danarosi e temporanei “utenti”, sventramento di quartieri storici, consumo di suolo ai danni del verde, innalzamento di grandi opere di ferro, cemento e futurismo d'accatto.
Più che un decantato “modello Milano”, praticamente un Protocollo Sala. Ne ha parlato Lucia Tozzi, nel suo recente pamphlet "L'invenzione di Milano. Culto della comunicazione e politiche urbane" (Cronopio, 2023) e impressionano le similitudini con il romanzo, e la lucidità e l'accuratezza di Gatti nel dipingere non solo la dinamica di una macchina infernale, ma anche la totale inconsapevolezza di chi se ne fa alfiere con buone o nulle intenzioni.
“Il Protocollo Scilla” si dimostra insomma un ottimo esempio di fantascienza sociale, assolutamente attuale e contrassegnato da un accurato lavoro di ambientazione, un'originale costruzione dei personaggi e una solida speculazione: va recuperato per ragionare su un futuro possibile, probabile o che forse è già qui, ma a cui non dobbiamo rassegnarci, come ci ricorda la migliore cautionary tale distopica.
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