La nuova serie di Star Wars è disponibile sulla piattaforma streaming Disney+ da qualche giorno. Scrivo questo articolo avendo avuto la possibilità di vedere i primi tre episodi della stagione che ha esordito con due puntate di apertura il 3 dicembre, con un accoglienza notevole, portandosi via l’amaro dell’insuccesso della precedente The Acolyte a cui non deve nulla e da cui si discosta completamente. La programmazione continuerà con un solo rilascio settimanale a partire dalle 3.00 del mattino (ora italiana) nelle notti tra il martedì e il mercoledì.

Stiamo “leggendo” una classica storia della buona notte con i pirati. Un veliero fatiscente traghetta un manipolo di ragazzini ingenui verso l’ignoto, pericoli, zuffe, meraviglie e tesori, li attendono oltre le barriere (monotone) della rassicurante vita quotidiana. In cosa tutto questo dovrebbe rappresentare una novità? la sua veste intrisa di alieni, droidi e politicanti, il tessuto di cui è fatto Star Wars. Abbiamo la certezza che parte del successo sia dovuto al mago degli effetti speciali Phil Tippett, il quale ha contribuito con sapienza muovendo delicatamente i suoi burattini posticci fatti di peli, occhi, lattice e bitume, creando quel mix di sensazionalismo fantastico che ci fa gridare “wow” quando negli occhi dei protagonisti vediamo il nostro passato, chiunque abbia avuto un feeling con la storia creata da George Lucas o con i film di Steven Spielberg (a cui si fa continuamente riferimento) non potrà sottrarsi dal sorridere guardandola, anche se forse siamo un po’ grandi “per questo ormai”.

Il target infatti è meno definito di quanto possa sembrare. Skeleton Crew è una classica avventura per ragazzi, i protagonisti sono bambini, tuttavia il traino che incuriosisce gli spettatori è il bagaglio culturale degli anni ‘80 che (tornato di moda dopo la fortunata Stranger Things)  è comunque ad appannaggio di quelli cresciuti pane e mostri negli anni d’oro di quei classici (I Goonies, Indiana Jones, ET per citarne tre) dunque si torna indietro a “tanto tempo fa” in quella Galassia ormai abbastanza vicina alla collettività  da rappresentare nella pop cultura qualcosa di importante. Leva sulla nostalgia e premendo i pulsanti giusti, con la vecchia ricetta si smette di rischiare verso altre strade (talvolta fallimentari) e questa volta si gioca sul sicuro, con quel margine di rischio che può comunque risultare a serie conclusa un azzardo ma (almeno per il momento) lascia poco spazio alle critiche.

La serie rappresenta anche un punto di partenza che si innesta nella continuità del canone ma propone una nuova storia e quindi ha anche il pregio di essere fruibile da tutti.

Wim è un esperto di cavalieri Jedi, i “guardiani di pace e giustizia” sono il suo unico pensiero, con il suo compagno di scuola Neel (alieno dalle sembianze di un tenero elefantino) gioca a immaginare di duellare con le spade laser (i due rappresentano in tutto e per tutto, metaforicamente parlando, il prototipo dei fan di Star Wars). Stanno per affrontare un esame importante che determinerà il loro posto nella società, scegliere cosa fare da grandi è però un impegno costante per trovare il proprio posto all’interno di un disegno politico chiamato “la grande opera”. Annoiate dalla monotonia, anche due ragazze promettenti Fern, brava ad inventare frottole e storie assurde, ricca figlia di una famiglia altolocata e la sua amica cyborg KB cercano l’evasione partecipando a gare di velocità clandestine a bordo dei loro speeders truccati. Il pianeta su cui si trovano si chiama At Attin, vivono in una cittadina tranquilla, il cui design ricorda volutamente una versione stellare della California, lungo il viale di villette a schiera con depandace intravediamo  una signora (Ithoriana) con il “cane”, la strada è trafficata da un andirivieni di auto (senza ruote) siamo molto lontani da qualsiasi altro pianeta già proposto. Si può storcere il naso per la somiglianza evidente con la nostra terra, (considero personalmente questo esperimento un omaggio) ma c’è un evidente sforzo di riportarci ad una cittadina distopica da The Truman Show, dove tutto è perfettamente sotto controllo. I droidi della sicurezza si preoccupano che nessuno superi le zone proibite. E’ oltre quei confini che i quattro protagonisti trovano “qualcosa” una porta fumosa sepolta nel sottosuolo. Un varco verso l’ignoto. I pirati nell’astroporto si godono la vita del filibustiere, un covo di feccia e malvagità, tra locali di malaffare, locande maleodoranti, prigioni e attività clandestine, lontano dalle leggi della Nuova Repubblica (siamo post Impero). Tra loro il famigerato Brutus dalle sembianze di un lupo cattivo (la razza somigliante ai lupi di Star Wars di cui fa parte si chiama Shistavanen), egli tempo addietro aveva cercato un tesoro con l’aiuto di un altro capitano il cui volto è celato da una maschera. L’avventura prenderà una piega diversa, quando entrerà in scena un uomo con tanti nomi, noto soprattutto come Jod Na Nawood il personaggio interpretato da Jude Law. C’è un calderone di riferimenti i principali a Pirati dei Caraibi e Captain EO e citazioni non troppo  nascoste, la regia “urban” da blockbuster del primo episodio è di Jon Watts, il secondo e il terzo sono di David Lowery  che qui ha un approccio più ricercato (è autore di The Green Knight, 2021, film cult per gli amanti del ciclo bretone). C’è anche un droide che si chiama SM-33 (ovvero Smee, da noi noto come Spugna, il riferimento a Peter Pan è voluto).

Bambini sperduti mollate gli ormeggi dei pregiudizi e lasciatevi cullare da questo racconto se siete ancora alla ricerca di nuove avventure.