La colonizzazione di Marte è sia un progetto realistico, sia un tema fantascientifico. Uno degli autori che si sono cimentati con l’argomento è Philip K. Dick, in un romanzo del 1964 intitolato Martian time-slip (Noi marziani, trad. di Carlo Pagetti, Nord, 1973). Il pianeta rosso è descritto come un deserto simile a quelli del Nord America, un posto abitabile ma ostile, dove un boccale di birra costa più di uno scotch perché contiene molta più acqua. Gli insediamenti sono costituiti da famiglie di emigranti terrestri in fuga dalle difficoltà economiche e dal sovraffollamento, che si ritrovano alle prese con la scarsità di acqua, cibo e risorse tecnologiche tipica dei mondi di frontiera.

Philip K. Dick
Philip K. Dick

Nel romanzo si immagina che l’aria marziana sia respirabile, che Marte sia già colonizzato nel 1994 e che esistano degli indigeni marziani (i bleekmen). Come spesso in Dick, il romanzo è costruito seguendo le vicissitudini psicologiche dei protagonisti. Ciò che accade è la conseguenza delle mosse che i personaggi effettuano, seguendo gli impulsi che la loro personalità suggerisce, e tutto viene visto attraverso i loro occhi.

Jack Bohlen, un tecnico che si occupa di manutenzioni, è terrorizzato dalle macchine al punto da sospettare che possano prendere il posto delle persone vere, sia in modo palese (come nel caso degli Insegnanti Meccanici della Scuola Pubblica di suo figlio Davide) sia in modo subdolo. Arnie Kott, il capo del Sindacato Idraulici, è un uomo di potere, egoista e reazionario. Manfred Steiner è un bambino autistico in grado di scivolare in avanti nel tempo (time-slip) a causa della sua stessa malattia (come intuisce lo psichiatra Milton Graub). Arnie Kott pensa di sfruttare a suo vantaggio questa capacità di Manfred, e così affida a Jack l’incarico di creare un’apparecchiatura, una sorta di “rallentatore” per mettersi in comunicazione con il bambino.

Manfred entrerà invece in contatto con Jack in modo diretto, per via empatica. Jack scopre che la realtà del bambino è dominata da un persistente senso di caducità legato allo scorrere inesorabile del tempo e all’incessante e rapido deterioramento di tutte le cose (il putrìo) e comincia a percepire il mondo attraverso gli occhi di Manfred, per il quale la vita è pervasa di morte.

In una scena da incubo, un approccio sessuale di Jack viene frustrato dal fatto che il corpo della sua partner si corrompe e cade a pezzi sotto i suoi occhi. Ciò che Jack vede non sta davvero accadendo in quel momento, e tuttavia non è affatto irreale, perché si tratta di qualcosa che, semplicemente, accadrà.

Jack si rende conto che il bambino è imprigionato nella propria psicosi, e che egli stesso è sempre stato sull’orlo del collasso schizofrenico. Crede anche di capire che la sua instabilità psichica non corrisponda a una frattura all’interno della mente, ma sia piuttosto una scissione tra due mondi: quello interiore e quello esterno.

Da lì in poi, con Jack a fungere da catalizzatore, la mente di Manfred comincia a invadere la realtà esterna. Una semplice visita del bambino alla scuola riesce a far impazzire gli Insegnanti Meccanici. Il problema di Manfred deriva dal fatto di essere continuamente tormentato dalle visioni del suo futuro, quando sarà vecchio, malato e quasi ridotto a pezzi. Questa diagnosi viene effettuata da Eliogabalo, un bleekman al servizio di Arnie Kott.

Quest’ultimo continua a pensare di poter trarre vantaggio dalle doti di Manfred, in particolare dalla sua presunta capacità di manipolare il tempo. Seguendo un suggerimento di Eliogabalo, Kott, Manfred e Bohlen andranno a “Dirty Knobby”, una caverna scavata dentro una roccia sacra, dove pare che la barriera del tempo sia più debole e sia possibile attraversarla con l’aiuto di Manfred.

Kott vuole che il bambino lo faccia tornare indietro di alcuni giorni, per poter concludere un affare che gli era sfuggito. Per gente come lui, il fatto che Manfred possa scivolare nel tempo non è né una malattia né una dote, ma solo una possibile occasione per averla vinta giocando sporco. Gli importa solo di prevalere.

Il piano sembra riuscire e Kott si ritrova in una situazione già vissuta, nella quale una richiesta di soccorso per dei bleekmen che stanno morendo di sete rischia di fargli perdere tempo. Si scontra di nuovo con Bohlen, come gli è già successo, e questa volta è intenzionato a ucciderlo, ma uno dei bleekmen lo colpisce con una freccia avvelenata.

Kott sembra spacciato, ma poi è di nuovo dentro la caverna e lo slittamento temporale sembra essere avvenuto solo nella mente di Manfred, che intanto è andato via. Kott esce dalla caverna e si imbatte nel suo rivale in affari Otto Zitte, che gli spara per vendicarsi di uno sgarbo. Kott crede di essere ancora nella mente di Manfred, ma stavolta potrebbe non essere così.

La rappresentazione della comunità su Marte sottolinea la somiglianza con la società americana. Marte non è che una metafora della vecchia Terra, perciò i veri marziani siamo noi, alla fine. La descrizione che Dick fa di Marte è, al tempo stesso, familiare e aliena. L’intero pianeta somiglia a un deserto della Terra e presenta le stesse caratteristiche che possiamo cogliere in certi paesaggi terrestri, come la Valle della Morte, le cui condizioni climatiche e ambientali sono talmente estreme che il luogo sembra appartenere a un pianeta alieno.

Per tratteggiare l’etnia marziana dei Bleekmen Dick pare essersi ispirato a una popolazione del Sud Africa, oppure agli indigeni dell’Australia. Di nuovo, questo crea una sensazione di familiarità e di estraneità insieme, perché gli aborigeni australiani, pur essendo terrestri, possiedono caratteristiche tali da poter sembrare gli eredi di un popolo proveniente da un altro pianeta.

Uno dei temi del libro è l’esplorazione, tipicamente dickiana, sulla natura della realtà. Qui lo scrittore sembra intuire che, se anche la realtà si modifica in base alle nostre percezioni, la sua struttura non è suscettibile di essere manipolata. Per un verso, tra la realtà di Manfred e quella di Jack c’è solo una differenza di “intensità” (Freud diceva che la differenza tra normalità e nevrosi è solo una questione di grado). Tuttavia, Kott è colpito a morte una prima volta nella visione provocata da Manfred, ma la seconda volta la ferita è reale. Inoltre, benché la realtà percepita da Jack possa essere distorta da una follia che non è sua, in definitiva lo scollamento tra la realtà esterna e la realtà interna è una questione di schizofrenia, non di scissione tra due realtà.

Il problema di Manfred è prodotto dalla sua capacità di vedere il futuro, anzi di viverlo. Le visioni di morte che lo ossessionano sono la diretta conseguenza del fatto che lo slittamento temporale delle sue percezioni imprigiona la sua coscienza in un momento del tempo in cui egli, ormai vecchio e decrepito, sopravvive solo grazie alle macchine a cui è collegato.

Il motivo della fissazione non è spiegato da Dick. Potrebbe essere la conseguenza di un trauma successivo, per cui ci sarebbe una sorta di retroazione del futuro sul passato. Un’altra possibilità è che lo slittamento temporale di Manfred si sia arrestato un momento prima della sua morte, per il semplice fatto che la sua coscienza non è in grado di procedere oltre quel punto.

Una tesi del romanzo è che le alterazioni percettive di una mente particolare possano trasmettersi ad altre menti. Dato che per noi la realtà coincide con le nostre rappresentazioni, modificare le rappresentazioni significa cambiare la realtà, e poiché il tipico test di realtà consiste nel verificare se le nostre percezioni concordano con quelle altrui, la condivisione delle rappresentazioni crea una realtà che non è confutabile.

L’assunto, variamente espresso, è ricorrente in Dick. Infatti lo ritroviamo in molti romanzi, come: L’occhio nel cielo, Follia per sette clan, Le tre stimmate di Palmer Eldritch, Ubik, Labirinto di Morte, Episodio temporale. In ciascuno di essi la realtà viene alterata in modo drastico, ma i personaggi non colgono la differenza. Per Dick la realtà intesa come qualcosa di stabile, che esiste indipendentemente dalle nostre percezioni, è un concetto in parte illusorio.

Non è che Dick non creda nell’esistenza della realtà, piuttosto egli dubita che gli umani possano attingervi in maniera diretta, immediata e priva di rischi. Il rapporto con la realtà è complesso e la possibilità di ingannarsi è sempre in agguato. Per questo, a volte sono proprio i visionari a cogliere la vera natura della realtà.

Sul Marte di Dick la popolazione indigena dei bleekmen sembra possedere la capacità di vedere il reale oltre le apparenze, e ciò permette a Eliogabalo di cogliere la vera natura del disturbo autistico di Manfred. Tra Manfred e il bleekman esiste una strana affinità. Eliogabalo afferma di leggere chiaramente i pensieri di Manfred, ma dice che i suoi pensieri sono altrettanto chiari per Manfred.

Sembra dunque che, come tra Jack e Manfred esiste solo una differenza di grado, allo stesso modo tra la follia di Manfred e la saggezza di Eliogabalo esista solo un piccolo scarto. C’è il dubbio che anche i bleekmen abbiano imparato a scivolare avanti e indietro nel tempo, il che darebbe un senso particolare al titolo del romanzo.