I suoi adattamenti sono molto interessanti, l'autore ci spiega il processo creativo con il quale cerca di rendere visivamente ciò che è quasi inimmaginabile visto il tipo di narrazione dell'autore americano che gioca gran parte della sua produzione fra il “detto, il non detto e il suggerito”. L'impalpabile orrore di Lovecraft viene declinato con molti tentativi, molti schizzi a volte parecchio diversi fra loro e spesso addirittura lavorati in progettazioni 3D dalle quali, dopo attenta scelta e valutazione, Gou Tanabe sceglie il disegno che più si avvicina all'immaginario lovecraftiano cercando soprattutto di mantenere il lavoro originale e realistico. Il realismo è la chiave principe del lavoro dell'autore giapponese e ripete spesso questa parola a sottolineare la sua continua ricerca iconografica.

Per Tanabe declinare l'orrore cosmico degli esseri umani è rappresentato da ciò che non si può “scrutare”: il fondo degli abissi, l'immenso dello spazio, l'”oltre” al quale l'uomo non può e non deve affacciarsi. E in questo spingersi i protagonisti di Lovecraft si perdono, a volte gradualmente, sino alla discesa completa nella disperazione e nella follia. A Tanabe interssessa moltissimo questo perdersi, questo disgregarsi. Soprattutto in protagonisti giovani come ne “La maschera di Innsmouth “ in cui la “perdita” e la “crescita”  – intesa come crescita di età del personaggio – vanno di pari passo.

Perché il tema principale è la paura e nella paura si svolge tutto il pensiero umano e la sua declinazione Lovecraft/Tanabe. La paura che accompagna gli esseri umani, il timore di eventi spaventosi che si possono avverare in un futuro prossimo, l'orrore quando questi eventi si avverano o il sollievo quando questo non accade. Ovviamente in Lovecraft il sollievo non è mai presente.

Per le ambientazioni d'ispirazione sono soprattutto i film sugli anni '20 come Changeling di Clint Eastwood  o Himalaya per il racconto Le Montagne della Follia. Tanabe è un grande estimatore di cinematografia.

I suoi manga sono in bianco e nero per questo ne Il Colore venuto dallo Spazio gioca soprattutto coi toni di luce. La luce è la chiave interpretativa dell'immagine di questo “colore” alieno cui gli effetti si vedono nei volti e nelle reazioni dei protagonisti che cambiano sostanzialmente in base a come vengono a contatto con questi cambiamenti di luminosità.

Tanabe, chiaramente, non soffre di paure o timori dovuti al suo lavoro. Ci racconta un piccolo aneddoto: mima una posizione quasi di difesa da “sdraiati” come quando si ha paura e si guarda un film dell'orrore a letto. In realtà lui mantiene quella posizione perché per il super lavoro ha problemi alla schiena. Non è quindi la paura, ma il dolore fisico tipico del suo mestiere ad accompagnarlo.

Come illustratore non ama le onomatopee, preferisce che sia il disegno a parlare e non ama i tratti scrittori anche perché stonano molto sulle sue tavole. Per spiegare le storie utilizza la figura di un narratore.

Infine la cosa che lo affascina è la calma assoluta della Natura che ritorna dopo che l'essere umano è stato provato e sconvolto dagli orrori più indicibili ed è con questa calma serafica che si conclude la conferenza stampa.