Iniziamo con la trama.
In un futuro distopico un incidente distrugge una metropoli in decadenza chiamata Nuova Roma. Cesar Catilina, un architetto idealista con il potere di controllare il tempo, mira a ricostruirla come un'utopia sostenibile. Il suo sogno, però, è ostacolato dal sindaco Franklyn Cicero, corrotto e conservatore. La figlia di Cicero, Julia, che mal sopporta lo status in cui è nata e la condizione di privilegio e oppressione nella quale vive la città, è combattuta tra la fedeltà filiale al padre e l’amore verso il progettista. Nella vicenda entrano (oltre a tanti comprimari) anche Hamilton Crassus III, spregiudicato tycoon, che sponsorizza il progetto del nipote Cesar, e Clodio, cugino di Cesar, ossessionato da Julia e disposto a tutto per conquistarla.
E adesso il cast.
Il protagonista di Megalopolis è Adam Driver nel ruolo del progettista Cesar Catilina, a Giancarlo Esposito spetta il ruolo del sindaco Franklyn Cicero, nei panni della figlia Julia Cicero c’è Natahlie Emmanuel (Missandei in Game Of Thrones), a completare il quintetto ci sono Jon Voight nel ruolo del tycoon Hamilton Crassus III (che l’attore ha definito molto Trumpiano) e Shia LaBeouf (il figlio perduto di Indiana Jones) in quello di Clodio. Ma il cast dei comprimari è vasto e ricco, comprendendo, tra gli altri, Aubrey Plaza (la serie The White Lotus) Talia Shire (Adriana, la moglie nella saga di Rocky) e, last but not least, Dustin Hoffman.
Il film, che è nelle sale italiane, ha già raccolto recensioni di ogni tipo.
Variety ha scritto: “Definire questa mostruosità sgargiante e piena di idee una semplice ‘favola’ significa sminuire grossolanamente le ampie intuizioni del progetto su arte, vita ed eredità.”
Hollywood Reporter: “È caotico e troppo pieno, spesso sconcertante e fin troppo loquace, cita Amleto e La Tempesta, Marco Aurelio e Petrarca, rimuginando sul tempo, la coscienza e il potere a un livello che diventa ponderoso. Ma è anche spesso divertente, giocoso, visivamente abbagliante e illuminato da una commovente speranza per l'umanità.”
The Guardian, per così dire, l’ha toccata piano: “La domanda di Francis Ford Coppola – l'impero degli Stati Uniti può durare per sempre? – può essere valida, ma sprazzi di umorismo non possono salvare questo thriller cospirazionista da una recitazione orribile e da effetti noiosi.”
Per LA Times: “Coppola è passato dal cinismo dei suoi più grandi film come The Conversation e Apocalypse Now – così tanto potere che corrompe – a qualcosa che potrebbe essere giustamente definito utopico. Non è un lavoro addomesticato e curato secondo i canoni delle majors, ma una storia sovraccarica, vigorosa e ribollente sulle radici del fascismo. Potrebbe essere il film più radicale che abbia mai fatto. Lo dedica alla sua defunta moglie, che avrebbe sorriso vedendo quanto suo marito è ancora preso da progetti personali e faraonici come 45 anni fa.”
E Rolling Stone conclude: “Dite quello che volete di questo grande gesto nel filtrare le lezioni di storia di Edward Gibbon attraverso una lente oscura, è esattamente il film che Coppola si era prefissato di fare: intransigente, unicamente intellettuale, sfacciatamente romantico (R maiuscola e minuscola), ampiamente satirico ma notevolmente sincero nel volere non solo nuovi mondi coraggiosi ma anche migliori.”
Stupisce, forse, che un film di Francis Ford Coppola suoni divisivo? A guardare bene la parabola registica dell’autore no, sono parecchi i film “complicati” del regista italoamericano, a partire dal Padrino parte seconda, che dovette subire un pesante rimontaggio a tempo di record dopo la prima proiezione per poter diventare il cult che è. Non dimentichiamo le vicende produttive e umane di Apocalypse Now, all’epoca paragonabili alle vicende di Shining di Stanley Kubrick, con attori costantemente sull’orlo di una crisi psicotica e produttori con crisi cardiache per l’aumento incontrollato dei costi. Ma il film per il quale Coppola è tristemente ricordato è Un sogno sungo un giorno, che affossò definitivamente gli Zoetrope Studios, ovvero la casa produttrice autonoma che egli stesso aveva fondato con grossi capitali. Coppola, amico e sodale di George Lucas, ha da sempre ingaggiato (come anche il papà di Guerre Stellari) una guerra contro le Major, considerate come mero ricettacolo di contabili impegnati a valutare l’arte cinematografica solo in termini di guadagno e non di ricerca artistica.
Ecco perché al Festival di Cannes Coppola ha detto: “Tra le tante citazioni e slogan che aleggiano nel film la più vera è: ‘Quando ci lanciamo nell'ignoto, dimostriamo di essere liberi’. Questa frase parla di me che realizzo questo film ho dimostrato a tutti i pezzi grossi degli studi cinematografici, ho dimostrato di essere libero e loro no. Perché loro non osano lanciarsi nell'ignoto. E io sì. È l'unico modo per dimostrare di essere liberi".
Questa pellicola, arrivata dopo 13 anni di silenzio è stata definita, a Cannes, come una follia, un disastro, una scommessa audace e autofinanziata, insomma una colossale dichiarazione personale di uno dei registi americani più visionari sull'avere il coraggio di essere visionari.
Dopo i titoli di coda alla première al festival la folla si è alzata ad applaudire, e Coppola ha afferrato il microfono per estendere il suo messaggio: “Il mio sogno sarebbe che questo film potesse essere visto a Capodanno e la gente, invece di dire che perderà peso o che non fumerà più o che non tradirò sua moglie, potrebbe chiedersi: la società in cui viviamo è l'unica disponibile? Come possiamo migliorarla? E se ne parlano, lo faranno. Questo è il mio sogno”.
Un sogno con una lunga gestazione di quasi 40 anni che Coppola dice di aver iniziato a pensare seriamente dopo aver completato The Rainmaker del 1997. “In quel periodo, pensavo di aver usato molti stili, 'Apocalisse' era uno stile selvaggio, 'Il Padrino' era molto classico, mi chiedevo quale sarebbe stato il mio stile in futuro”, dice Coppola. “Ero curioso di sapere che tipo di film avrei potuto fare quando fossi stato più grande. Tenevo un album di ritagli di cose che leggevo. Ho fatto una raccolta di vignette politiche. Quelle raccontano un'intera storia in un'immagine. Ciò alla fine mi ha portato a realizzare un'epopea romana ambientata nell'America moderna”.
Coppola ha riscritto Megalopolis molte volte negli anni successivi. Non diversamente da Orson Welles, altro regista americano che ha avuto un successo enorme all'inizio della sua carriera per poi andare incontro ad una trasformazione più sperimentale come regista più avanti nella vita. Coppola rimase affascinato dalle nuove possibilità per i film.
Che Coppola sia riuscito in qualche modo a ottant'anni a volere che questo progetto personale in gestazione durasse a lungo e ad autofinanziarlo, tramite la sua azienda vinicola per 120 milioni di dollari, è al limite dell'incredibile, anche considerando la sua eredità di qualcuno disposto a scommettere una fortuna e/o uno studio cinematografico per seguire un sogno. “Ho tutto da perdere qui”, dice, riferendosi a questo ritratto del declino, della caduta e dell'ascesa alla Fenice di una civiltà. “E, in un certo senso, non ho più nulla da perdere”.
L’invecchiamento e la perdita della moglie, dice Coppola, lo ha spinto a riflettere sul tempo. “Non stiamo comprendendo appieno il nostro potenziale per cambiare il mondo”, dice. “Sebbene molti oggi siano afflitti da ansie apocalittiche ed ecologiche, non riesco a non vedere meraviglie ovunque. Certo, non accendi mai la CNN o apri il giornale per dire: 'L'essere umano è un genio incredibile'. Ma è vero. Come puoi negarlo? Credo che tutti noi riceviamo un dono. Io sono stato fortunato. Ne ho avuti tre: una buona immaginazione, una memoria fantastica e la capacità di vedere il futuro alla Cassandra. Questi sono i miei tre talenti. Non ho quella cosa che hanno alcuni registi, che è quella di vedere un film intero nella tua testa e di essere in grado di scriverlo. Penso che Steven [Spielberg] abbia quel dono. Io no. Riesco solo ad abbozzare una sceneggiatura come se dovessi riscriverla 100 volte. Nel corso degli anni mi è capitato di fare delle letture di questo progetto, ad esempio nel 2001 con Robert De Niro, Leonardo DiCaprio, Edie Falco, Uma Thurman e James Gandolfini, quest’ultimo mi aveva dato un sacco di ottimi suggerimenti. Eravamo molto vicini ad avviare la produzione e poi c’è stato l'11 settembre. Stavo per girare un film sull'utopia e sul mondo in cui l’umanità ottiene una svolta piena di speranza e mi trovo a guardare le immagini di un enorme attacco terroristico. Non sono riuscito a uscirne scrivendo. Quindi ho abbandonato il progetto per quasi vent’anni, per poi decidere di autoprodurlo.”
La lavorazione, come dicevamo non è stata facile, Coppola dice chiaramente che: “Ci sono stati alcuni disaccordi sui costi che avevano a che fare con lo studio in cui stavo girando ad Atlanta. È simile a ciò che è successo in diversi momenti della mia carriera, quando fondamentalmente si trattava di come venivano spesi i soldi. Non è stato facile per nessuno. Ma ho concluso nei tempi previsti, cosa che ho dovuto fare perché se avessi sforato i tempi, sarei stato spacciato”.
Sul film, il regista americano ha continuato: “Megalopolis è un film sulla morte e la rinascita di una repubblica. E penso che si possa tranquillamente dire che sento che la nostra repubblica è vicina all'essere in agonia, come non lo è mai stata. Sì. Forse la guerra del 1812. Anche quella è stata rischiosa. Hanno bruciato la Casa Bianca. Ma il film finisce con una nota ottimistica. È pieno di speranza. Questo film non curerà i nostri mali. Ma credo onestamente che ciò che ci salverà è il fatto che dobbiamo parlare del futuro. Vogliamo essere in grado di porre tutte le domande che dobbiamo porre per guardare davvero al motivo per cui questo paese è diviso in questo momento, e questo fornirà un'energia che sconfiggerà quelle persone che vogliono distruggere la nostra repubblica. Ho fatto questo film per contribuire a questo. E tutto ciò che voglio è che questo film avvii un confronto. Non puoi avere un cambiamento senza una conversazione.”
Coppola, in questi ultimi anni, si è distinto anche per i commenti caustici sui cinecomics Marvel, a questo proposito, parlando ancora di Megalopolis ha detto: “Durante la lavorazione abbiamo dovuto arrenderci all’utilizzo del green screen, il segno distintivo dei cinecomics, e io che pensavo sempre ‘Non voglio fare un film Marvel’ alla fine mi sono dovuto arrendere. Qualunque sia l'esito”, ha detto ancora Coppola, “c’è la soddisfazione personale dell'aver raggiunto l’obiettivo di una vita, contro tutte le aspettative e gli ostacoli. Forse il pensiero di fare un brutto film, imbarazzante e pomposo è meno spaventoso di quello di non farlo mai. Il cinema dovrebbe offrire a tutti la possibilità di esplorare nuove storie, nuove tecniche, nuove idee invece di rimanere sulla riva del abbiamo sempre fatto così. Dovremmo mescolare i generi, sperimentare, ma non riusciamo sempre a farlo. Quando sei un vecchio che si avvicina alla morte non vuoi dire: ‘Vorrei aver fatto questo e quello’. Nel mio caso, l'ho fatto. Ho fatto tutte le cose che altre persone si pentirebbero di non aver provato. Perché, alla fine, muori e nessuno ti ricorderà solo per essere stato un ostinato conservatore”.
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