Anche la fantascienza, come tutti i generi, ha i suoi cliché. Espedienti narrativi a cui ricorrono spesso gli autori per uscire dai guai quando la trama diventa troppo complessa da districare o quando le idee sono finite. Come tutti i cliché, con l’uso e l’abuso, sono diventati involontariamente comici. Alcuni di questi espedienti, anche se visti e rivisti mille volte, mi fanno sempre sorridere.

Il più diffuso è sicuramente l’alieno antropomorfo. Non so quale sia la probabilità di incontrare nell’universo delle forme di vita che si siano evolute più o meno come noi esseri umani, ma dubito siano alte. Ci sono molti tipi di pianeti, con caratteristiche molto diverse tra loro, possibile che la vita sappia rispondere a tutte queste sfide evolutive in un’unica maniera? Sì, secondo molta fantascienza, nell’universo siamo tutti bipedi, camminiamo eretti, abbiamo almeno una testa e due braccia. Poi, per carità, magari qualche alieno ha la coda, è un rettile, ha quattro braccia o due teste, ma non ci si discosta molto dal modello di partenza. Questo cliché, salvo qualche rara eccezione, è impiegato senza ritegno nelle due più famose saghe di fantascienza Star Trek e Star Wars e dubito verrà dismesso.

Nel futuro ci sono ancora le porte, le astronavi sono piene di bellissime porte scorrevoli che scompaiono nel soffitto o nel pavimento, molte proteggono componenti importantissimi e quasi tutte hanno un dispositivo di sicurezza che va sbloccato per aprirle. Può essere un tastierino numerico, un sensore della retina, un dispositivo che riconosce le impronte digitali, poco importa, i nostri eroi non sanno come sbloccarlo. Quindi gli sparano. Nel futuro sparare alla serratura delle porte è il modo più veloce per aprirle perché, evidentemente, civiltà capaci di viaggi interstellari non sono in grado di prevenire questo genere di effrazioni.

Sul pianeta Terra si stima che ci siano circa settemila lingue, ma nel futuro questo non sarà un problema. Immaginiamo un primo contatto: gli alieni atterrano, scendono dalla loro astronave e ci parlano in modo del tutto naturale. Nessuno si stupisce. Ma come è possibile? Merito dei traduttori universali, piccoli aggeggi capaci di interpretare qualsiasi linguaggio e anche di renderci capaci di parlare in qualsiasi lingua. Tutto questo per mascherare l’evidente comodità di far parlare tutti la stessa lingua (quasi sempre l’inglese). Eppure, nella storia dell’umanità, la difficoltà più grande di qualsiasi primo contatto tra civiltà è sempre stata linguistica, ma probabilmente è una difficoltà poco interessante da mettere in scena.

Tutti sappiamo che incontrare i propri genitori nel passato è pericoloso e questo non perché abbiamo studiato Fisica, ce l’ha spiegato il dottor Emmett Brown in Ritorno al Futuro e decine di altre storie di viaggi nel tempo in cui il protagonista fa qualcosa nel passato e altera il corso della storia. Non essendo uno scienziato non azzardo contestazioni scientifiche ma non mi risulta che ci siano state verifiche sperimentali riuscite di viaggi nel tempo. Il 28 giugno del 2009 il professor Stephen Hawking, scettico sulla questione, organizzò a Cambridge un party per viaggiatori del tempo e lo tenne segreto a tutti, distribuì gli inviti solo a festa conclusa ma un viaggiatore del tempo, provenendo dal futuro, non avrebbe avuto alcun problema a presentarsi alla festa. Non venne nessuno.

Eppure quel che dice la scienza non ci interessa, questo cliché è stato così abusato da rendere tutti, nessuno escluso, certi che le cose funzionino così. È curioso, non ci ricordiamo il Teorema di Pitagora ma sappiamo come funzionano i viaggi nel tempo, tutto merito di quel genere straordinario che è la fantascienza!