Il sole è una sfera di fuoco. Un caldo insopportabile. Come ogni anno la pioggia che avrebbe decretato la fine del caldo sarebbe caduta alle ore 11 e ventidue del primo giorno del tempo termico, quello senza orientazione. Manca poco all’evento e in città una massa di persone, dopo un veloce passaparola, si riunisce nella piazza degli Orologi ad aspettare l’atteso nubifragio. Il sole ha dipinto il cielo come una coperta gialla. Dan non se ne accorge. Scrolla le spalle e non dà importanza ai colori. O meglio non da’ importanza alla faticosa danza della natura e, comunque è troppo eccitato per darsene pensiero. Imbocca la via principale quelle delle vetrine chiuse che porta direttamente alla piazza dell’Orologio e vede, di spalle Dulcamara che si muove con un’eleganza gattopardesca, sinuosa. È eccitante. Dan affretta il passo per raggiungerla e quando è nelle vicinanze si accorge che indossa un cappotto di lana, di quelli che si usano nei periodi di freddo e gelo. “Strano” pensa. Si ferma e in un attimo la perde di vista tra la folla che corre verso la piazza. Solo gli androidi usano i cappotti con il caldo, ma Dulcamara è una terrestre, e che terrestre, con tutti i vantaggi e gli svantaggi di essere costretta a vivere nella sfera più piccola della città. Comunque l’ha persa e con quella calca e quel pigia pigia difficilmente l’avrebbe ritrovata.

Sconsolato si avvia verso la piazza. Ci arriva con lentezza facendosi largo tra gli umani e gli androidi con i cappotti. Nella piazza c’è un campanile, costruito come quelli che decoravano le nostre piccole città della Terra, e in cima due orologi. Uno senza lancette, l’altro con lancette funzionanti. Indicavano le undici e due minuti. Tra venti minuti esatti ci sarebbe stata la pioggia. Dan ha tempo per rintracciare Dulcamara in attesa di una fluttuazione della natura. Si guarda intorno, allunga lo sguardo. Il cappotto che indossa Dulcamara era bianco, un colore insolito per la moda effimera della città e avrebbe potuto agevolare la sua ricerca. Gli androidi preferiscono il blu, il verde e anche il rosso e quasi tutti vestono con questi colori. Il bianco di Dulcamara avrebbe dovuto risaltare. Eppure non riesce a scorgerla. E poi, si chiede, perché il cappotto? Alle undici e ventidue precise il cielo nasconde il giallo del sole con nubi nere e prepotenti, che in un attimo cadono come pioggia sulla piazza dell’Orologio. L’urlo della gente accoglie il cambiamento con allegria. La pioggia torrenziale cade con violenza sui corpi degli umani e sui cappotti degli androidi. Tutti i terrestri completamente nudi, come tradizione, godono dell’onda anomala che li ha raggiunti e le loro fronti brillano come vette innevate. Dulcamara stretta al suo cappotto bianco si bagna i capelli di zafferano d’oro, per poi cercare riparo davanti alle vetrine insieme a un gruppo di androidi.

Il cappotto bianco di Dulcamara insospettisce i giovani androidi della generazione che legava i grani di spazio in reti. Appaiono e scompaiono come fossero pazzi e vecchi giochi infantili con qualche filo elettrico fuori uso. In quattro si avvicinano a Dulcamara sospettosi. La circondano. Uno, quello più alto, gira intorno al serbatoio di acqua per andare incontro agli altri tre dall’altra parte. Dulcamara non si accorge di nulla. Ha la testa tra le nuvole. Ha sempre la testa tra le nuvole. Ha il cappotto completamente fradicio. Pesa come un macigno della valle dell’Ovest. Sorride mettendo in mostra denti bianchissimi e un paio di magnifici occhi blu. Sfila il cappotto e lo lascia cadere a terra. Resta completamente nuda. È bellissima. L’androide più alto si blocca e con un cenno avverte il suo gruppo di fare altrettanto. È una terrestre e non va toccata. Ma perché mai indossava un cappotto? si chiede. E per di più bianco. Dulcamara si allontana. I quattro androidi si avvicinano al cappotto bianco. Quello più alto, forse il più coraggioso, lo prende da terra e se lo infila sopra il suo ballando di gioia e sfottendo i suoi compagni che cercano di fermarlo. Alcuni terrestri ormai soddisfatti della caduta della pioggia si fermano a guardare la scena. Alcuni commentano, altri ridono. L’orologio con le lancette segna con un suono il minuto e immediatamente dopo l’androide più alto esplode coinvolgendo il suo gruppo. A terra solo ferraglia infuocata e il cappotto bianco di Dulcamara. L’ennesimo attentato in città.