Dodici mesi fa inauguravo “Radio Libera Albemuth” su Delos Science Fiction con un articolo sulle leggende metropolitane e sulle loro peculiari caratteristiche narrative. A un anno di distanza, per festeggiare il primo compleanno della rubrica, ho pensato di tornare sull’argomento e di legarlo a un’altra mia grandissima passione: i videogame.

Versione giapponese della cartuccia per Nintendo 64 di The Legend of Zelda
Versione giapponese della cartuccia per Nintendo 64 di The Legend of Zelda

Sì, ma cosa centrano i videogame con la Fantascienza, potrebbero chiedersi i lettori più giovani abituati ad avere le console di ultima generazione accanto al televisore. Per chi è cresciuto negli anni 80 del secolo scorso, esposto al fumo passivo delle sale giochi e a film come Wargames – giochi di guerra, la risposta è ovvia: i videogame sono il mezzo di comunicazione più fantascientifico che esista, ma anche loro hanno un lato oscuro. Ecco quindi le cinque leggende metropolitane più misteriose del mondo dei videogame.

Le Playstation 2 di Saddam Hussein 

Nel lontano 2000 Saddam Hussein era considerato il nemico pubblico numero uno di tutto l’Occidente. Tra le altre cose gli Stati Uniti lo accusavano di avere armi di distruzione di massa. Tra questi misteriosi armamenti a disposizione del dittatore iracheno c’erano dei sistemi d’arma controllati dall’impressionante potenza di calcolo della nuovissima Playstation 2. L’hardware di quella console era considerato potente quanto quello dei computer ma meno costoso, ecco perché Saddam avrebbe piazzato un ordine impressionate di Playstation 2 a Sony: voleva usare le console per potenziare l’infrastruttura informatica del suo apparato militare.

Saddam non era uno stinco di santo, ma non possedeva nessuna arma di distruzione di massa, tantomeno controllata da batterie di Playstation 2. Una volta entrati a Bagdad le truppe alleate non ne hanno trovata nemmeno una.

Pokémon e la musica che uccide 

Nel 1998 viene pubblicato in Giappone per Gameboy la versione Red e Green (in occidente diventerà Blu) del franchise “Pokémon”. Tra le varie ambientazioni visitabili nel gioco c’era Lavander Town, vale a dire il cimitero dei Pokémon perché sì, anche i pokémon a un certo punto muoiono e i bambini devono imparare ad accettarlo. Per sdrammatizzare questo azzardato memento mori pedagogico il compositore Junichi Masuda ha creato una musica molto particolare come sottofondo, così particolare da essere in grado di uccidere i giocatori scatenando la “Sindrome da Lavander Town”. A quanto pare i bambini e gli adolescenti, molto sensibili alle frequenze alte usate dal compositore in quella zona del gioco, dopo aver sentito la musica avrebbero sofferto di mal di testa, depressione, insonnia e incubi frequenti. Nei casi più gravi tutto questo avrebbe portato al suicidio.

Come storia ha praticamente tutte le caratteristiche dell’horror giapponese perfetto: un videogame maledetto, una cosa da fare per scatenare la maledizione, degli adolescenti come vittime. Ovviamente non ci sono casi documentati di questa “sindrome” ma c’è un precedente che potrebbe averla ispirata. Nel 1997 in Giappone ci sono stati circa 700 casi di ricoveri per convulsioni causati dall’eccessiva quantità di rapidi stimoli visivi presenti in un episodio dell’anime Pokémon.

La X indica sempre il punto dove scavare 

Anche se oggi è difficile crederlo, negli anni 80 le avventure testuali erano un genere di grande successo. Un testo descrittivo compariva a video e il giocatore digitava dei comandi interpretati (il più delle volte non compresi) da un parser e la storia andava avanti.

Pale Luna è uno dei tanti esempi di questo genere di giochi. Diffuso localmente solo nell’area di San Francisco era caratterizzato da una storia senza senso e da una programmazione pessima, si bloccava spesso ed era in grado di interpretare solo questi comandi: prendi l'oro, prendi la pala, prendi la corda, apri la porta e va ad est. Il gioco era talmente incomprensibile da spingere i giocatori ad abbandonarlo per la frustrazione. Michael Nevins sarebbe l’unico ad averlo finito inserendo questi comandi all’ultima schermata: scava buca, lascia oro, poi riempi buca. Avrebbe ottenuto così le coordinate nascoste alla fine del gioco: 40.24248 N, 121.4434 W. Coordinate per cosa? Per trovare il luogo di sepoltura (buca) di una ragazza bionda (oro) legata con una corda, da dissotterrare con la pala.

RIcostruzione della prima schermata di Pale Luna
RIcostruzione della prima schermata di Pale Luna

Peccato non sia ma esistito il videogame, Michael Nevins e tantomeno la giovane vittima occultata dal creatore di Pale Luna. Nella realtà quelle coordinate vi porteranno sulle montagne a nord di Sacramento, nel bel mezzo del nulla.

Se l’idea vi stuzzica, e volete provare un’avventura testuale che non ha nulla a che fare con delitti e sepolture, potete farlo gratuitamente è con un computer moderno. È disponibile in rete “Avventura nel Castello” (1982) di Enrico Colombini e Chiara Tovena, pioneristica avventura testuale completamente Made in Italy.

Ben l’affogato 

Nati come prodotti di intrattenimento usa e getta, molti videogame col tempo sono diventati oggetto di collezionismo e oggi si possono trovare spesso nei mercatini e nei posti più impensabili. È successo al protagonista di questa storia, uno youtuber, ha trovato sul banchetto di un signore anziano una copia "The Legend of Zelda: Majora's Mask" (2000) per Nintendo 64 a un prezzo stracciato. L’idea era di realizzare un video di gameplay del gioco per il suo canale YouTube. Una volta a casa collega la console al televisore, questo al computer per l’acquisizione video e comincia a giocare. L’ultimo possessore del videogame evidentemente si chiamava Ben perché era quello il nome con cui aveva deciso di chiamare il suo personaggio e gli NPC (Non-player character, personaggi non giocabili) si rivolgevano a lui così. La cosa strana era che, anche dopo aver resettato i salvataggi, gli NPC continuavano a chiamarlo Ben. In più, di tanto in tanto, nei dialoghi gli dicevano: “Non avresti dovuto farlo”. Proseguendo nel videogame il nuovo proprietario si ritrovò in una zona del gioco che non esiste nella versione ufficiale, una zona da cui non si può uscire a meno che non ci si tuffi in acqua. Ma l’acqua è troppo profonda e si finisce inevitabilmente per annegare. Proprio come avrebbe fatto Ben nella realtà. Come lo sappiamo? Lo sappiamo e basta.

Polybius in un episodio della serie tv Loki
Polybius in un episodio della serie tv Loki

Spaventato lo youtuber decide di interrompere la registrazione del video ma è troppo tardi: tutti gli utenti registrati al suo canale hanno ricevuto un virus trojan mascherato da file di testo (TheTruth.rtf). Chi l’ha aperto ha ceduto il controllo del proprio computer a Ben.

Per chi volesse sapere come va a finire questa storia è tutto disponibile sul canale YouTube di Jadusable, utente dalla grandissima fantasia appassionato giocatore di "The Legend of Zelda: Majora's Mask" e forse alla ricerca di un modo per rendere questo gioco appetibile anche ai moderni videogiocatori.

Il videogame della CIA 

Distribuito nel 1981 in pochissimi esemplari solo a Portland, “Polybius” era un cabinato arcade completamente nero rimasto in circolazione per qualche mese. Il funzionamento del gioco è sconosciuto, difficile immaginare la grafica anche se sappiamo quali erano le possibilità dell’epoca, sappiamo solo che “Polybius” sarebbe stato un esperimento commissionato dalla CIA alla software house Sinneslöschen (parola macedonia formata dei termini tedeschi sensi ed eliminare).

Lo scopo di “Polybius” non era divertire i giocatori ma indurre una fortissima dipendenza. Le testimonianze parlano di lunghe file per giocare degenerate spesso in risse. Gli effetti collaterali delle partite a “Polybius” erano: amnesia, insonnia, stress e incubi notturni. Periodicamente alcuni incaricati della CIA avrebbero raccolto i dati dai cabinati “Polybius” necessari per la documentazione dell’esperimento. 

Quale fosse lo scopo della CIA è un mistero, non è un mistero invece il fatto che di “Polybius” non ci sia traccia da nessuna parte. Le riviste di settore, all’epoca l’unica fonte di notizie sui videogame, non ne parlano, non c’è traccia del produttore, non si sa chi lo distribuiva, non si sa dove sia comparso, tutti quelli che hanno sostenuto di averlo giocato si sono poi rivelati inattendibili. 

Cosa c’è di vero in questa storia? 

Capitava, è vero, nei primi anni 80 di vedere nelle sale gioco cabinati in prova comparsi e scomparsi nel giro di pochi mesi, era un modo per testare la risposta dei giocatori. È vero anche che sono documentati malori occorsi in seguito all’uso di cabinati arcade, i più famosi riguardano “Tempest” di Atari, casualmente diffuso proprio nel 1981. 

È molto improbabile che “Polybius” sia mai esistito ma tutto questo non gli ha impedito di diventare famosissimo al punto di comparire un po’ ovunque come easter egg. 

Nel 2018 è stato sviluppato un videogame con questo nome disponibile per Windows e Playstation, una follia psichedelica che probabilmente non vi farà entrare nei dossier della CIA ma, dopo averlo giocato, un bel mal di testa non ve lo leva nessuno.