Caro George Lucas,

mi ha reso molto felice il fatto che raggiunti gli ottant’anni, tu sia stato premiato al 77esimo festival di Cannes con una Palma d'Oro per il contributo al cinema. In un articolo dell’Hollywood Reporter ho letto che sei stato accolto da un pubblico giovane ed entusiasta, al quale hai raccontato della tua vita e dei tuoi film. È stato bello leggere che hai detto di te stesso: “Sono un tipo testardo e non volevo che la gente mi dicesse come realizzare i miei film”. raccontando della tua prima volta a Cannes, nel 1971 alla Quinzaine des Réalisateurs dove, insieme al tuo amico, co-sceneggiatore e sound designer Walter Murch (che ti accompagnava in sala anche stavolta) portaste il lungometraggio L'uomo che fuggì dal futuro (THX-1138, 1971). Molto bello anche il ricordo del tuo rapporto con Francis Ford Coppola – il cui ultimo film epico, Megalopolis, è stato presentato in anteprima a Cannes quest'anno – che aiutasti, all’epoca, a fondare lo studio indipendente American Zoetrope. Nello stesso periodo in cui lottavi prima per realizzare American Graffiti, per soli 750.000 dollari, e poi per convincere la Universal a mandarlo nelle sale invece che solo nel circuito televisivo. I fatti ti diedero ragione decretando un tale successo commerciale della pellicola da attirare l'attenzione di Allan Ladd Jr., allora capo della produzione della Fox, che ti fece la famosa proposta: “Hai qualche altro film?”  alla quale rispondesti: “Beh, ho questa storia di Science Fantasy, un film folle in stile anni '30, con cani che guidano astronavi”. Frase alla quale lui ribatté: “Lo farò. Farò quello che vuoi”. E il resto, come si suol dire, è storia.

Parlando della tua creazione più famosa, Star Wars, hai detto che all’epoca del primo film avesti la rivoluzionaria idea di assicurarti i diritti di merchandising, qualcosa mai fatto prima. “Gli studi cinematografici non avevano dipartimenti che si interessavano del merchandising… ci voleva più tempo per progettare un giocattolo che per realizzare un film”, hai ricordato, per poi spiegare come ottenesti il controllo dei diritti dei sequel, in parte perché la Fox all'epoca era sull'orlo della bancarotta. “Non avevano fiducia nel film”, hai detto. “Lo studio stava comunque andando in bancarotta, avevano già molti film in uscita ed erano disperati.”

Dopo sei passato a parlare della trilogia prequel spiegando, pacatamente, che: “Doveva essere un film per bambini di 12 anni che stavano attraversando la pubertà, che non sanno cosa stanno facendo e si pongono tutte le grandi domande: di cosa dovrei preoccuparmi? Cos’è importante nella vita? E Star Wars ha tutte queste cose dentro. Sono sepolte lì, ma le capisci soprattutto se sei giovane. La risposta negativa, all’epoca, è arrivata da critici e fan che avevano dieci o dodici anni quando avevano visto il primo film. L’ostracismo nei confronti di Jar Jar Binks – una delle prime figure ad essere bannate anche nella neonata Internet – mi ha ricordato le reazioni iniziali a C-3PO. Tutti dicevano che era irritante e che avremmo dovuto sbarazzarci di lui. E ancora, quando ho realizzato il Ritorno dello Jedi e c’erano gli Ewok i commenti furono: “Quelli sono piccoli orsacchiotti. Questo è un film per bambini, non vogliamo vedere un film per bambini”. E anche allora ho detto: “Già, è anche un film per bambini. È sempre stato anche un film per bambini.”

Ovviamente, poi, hai parlato dei sequel di Star Wars realizzati senza di te dopo che avevi venduto la Lucasfilm alla Disney nel 2012 (per 4,05 miliardi di dollari), e, in tutta sincerità, hai affermato che i nuovi produttori sono incappati in molti errori.

“In realtà io ero quello che sapeva davvero cosa fosse Star Wars… che conosceva davvero questo mondo, perché c’è ancora molto da dire. La Forza, per esempio, nessuno l’ha mai capita”, hai dichiarato. “Quando hanno avviato altri progetti dopo che ho venduto l’azienda, molte delle idee che erano nell’originale sono andate perse. Alcuni prodotti sono migliori, come Rogue One, ma altri sono troppo fuori da quelle che erano le idee originali.” E alla fine hai concluso con un rassegnato: “Ma è così. Non ci puoi fare niente e non resta che arrenderti.”

A leggere tutto questo, ovviamente, il fan di Star Wars che è in me, forse, avrebbe dovuto arrabbiarsi (sai, anche mia moglie è stata “infettata”, abbiamo un cane che si chiama Anakin, i miei nipoti sanno benissimo che allo zio piace tutto quello che riguarda Star Wars, anche se loro preferiscono altri franchising, e a Natale ho avuto in regalo il set Lego di Chewbacca). Ma, invece, la reazione istintiva è stata quella di venire a darti una pacca sulla spalla e, in questa realtà oltre ogni immaginazione, offrirti una birra davanti alla quale, magari, farmi raccontare che cosa avresti scritto, raccontato o girato se ne avessi avuto l’occasione, la possibilità o forse semplicemente la voglia. Sai, George, non ti biasimo per aver venduto a peso d’oro il franchising, e, avendo superato la soglia dei sessant’anni comprendo benissimo il fatto che con l’età diventa più facile recriminare. Inoltre, credimi, condivido in pieno il tuo giudizio sugli esiti delle nuove produzioni di Star Wars e sulla necessità di arrendersi al tempo e alle vicende della vita. E penso proprio che, dopo una chiacchierata del genere, perché no, saremmo potuti andare a vedere insieme Star Wars, Episodio IV, A New Hope, o come più ti piace chiamarlo, nel silenzio di una vera sala cinematografica, da soli o con tanti altri nerd come noi, così, solo per mantenere sogni ed emozioni vivi ancora un po’ nei nostri vecchi cuori rapiti per sempre in quella galassia lontana lontana…

E anche se tutto questo non accadrà mai, voglio solo dirti: Grazie di tutto, George.