Emiliano Maramonte ha vinto il Premio Urania Short, nel 2022, ma si dedica alla scrittura dal 1999. Nato a Lucera (FG), lavora come consulente informatico. Suoi racconti sono apparsi in numerose antologie e ha all’attivo cinque romanzi. È stato finalista alla prima edizione del Premio Urania Short (Mondadori, 2017), al Premio Short Kipple (Kipple Officina Libraria, 2018) e al Premio Robot 2022. Da qualche anno si diletta con contest e tornei letterari on-line e partecipa a vari progetti editoriali. Fa parte del Collettivo Immaginario Fantastico, col quale ha pubblicato le antologie Atterraggio in Italia, 2050 – Quel che resta di noi e La nave dei folli, tutte pubblicate per Delos Digital. E proprio su quest’ultimo progetto editoriale abbiamo intervistato Emiliano, che ci ha raccontato anche la genesi del Collettivo Immaginario Fantastico.
Com'è nata l'idea di realizzare un'antologia di racconti ispirati al quadro La nave dei folli di Hieronymus Bosch?
Il libro è la concretizzazione del nuovo progetto del Collettivo di autori e autrici di cui faccio parte. Dopo la pubblicazione di due antologie tematiche, noi del CIF eravamo alla ricerca di uno spunto diverso dal solito che, oltretutto, avrebbe dovuto rappresentare un cambio di passo programmatico per l’attività del gruppo. In questa occasione, infatti, il nostro approccio è stato atipico. Abbiamo provato a gestire il processo creativo da un altro punto d’origine, stravolgendo i meccanismi dell’ispirazione.
Perché è stato scelto proprio il quadro La nave dei folli di Hieronymus Bosch?
Normalmente una raccolta di racconti parte da un tema suggerito dalla casa editrice o dal curatore, si sviluppa con l’aggregazione dei testi elaborati dagli autori e dalle autrici chiamati a collaborare, infine si chiude con l’armonizzazione del materiale per garantire uniformità e coerenza contenutistica. Il CIF, invece, si è dato delle coordinate comuni per individuare un elemento di ispirazione: una canzone, una fotografia, un fumetto, un articolo di giornale e così via. La scelta è caduta su un quadro, e non un quadro qualsiasi bensì una delle opere più affascinanti e insieme più inquietanti del pittore fiammingo Hieronymus Bosch. La selezione è avvenuta con un meccanismo assolutamente democratico; ognuno dei partecipanti al progetto ha proposto una rosa di dipinti da mettere ai voti, con tanto di gironi, eliminatorie e finali. Il vincitore assoluto è stato proprio “La nave dei folli”.
Mi interessa capire cosa hai chiesto agli autori dell'antologia? Se focalizzarsi sul quadro nel suo insieme, oppure su un particolare o hai concesso la massima libertà?
Il lato bizzarro del progetto, se così posso dire, è che sin dall’inizio non è mai stato designato un curatore! Durante il “work in progress” si è definito, di comune accordo, un processo di stesura definito “a ispirazione parallela” in base al quale ognuno degli autori e delle autrici poteva trarre spunto da qualsiasi elemento del quadro, cioè un dettaglio, un personaggio, il significato complessivo, le simbologie… Quindi, in definitiva, è stata lasciata a ciascun autore e a ciascuna autrice la massima libertà creativa col minor vincolo possibile. E per rendere l’operazione ancora più appetibile ai lettori, il Collettivo ha deciso di coinvolgere nel progetto due ospiti, uno scrittore (Maico Morellini) e una scrittrice (Axa Lydia Vallotto) esterni che hanno accettato di sottoporsi al cosiddetto “metodo CIF”, cioè la metodologia di scrittura collaborativa che lo contraddistingue. Solo in un secondo momento, all’unanimità, sono stato nominato curatore dal Collettivo, con la responsabilità di armonizzare, ove possibile, i testi e dare qualche indicazione tecnica per correggere la rotta, in caso di deviazioni dall’idea originaria (deviazioni comunque quasi nulle, vista e considerata la bravura degli scrittori coinvolti).
Che tipo di storie deve attendersi il lettore dall'antologia?
Accennavo a un cambio di passo del Collettivo sul fronte programmatico. Mi spiego: per noi il confine tematico è sempre stato quello della fantascienza, ma nel corso del tempo (sin dal 2017, cioè, anno in cui il CIF è nato), ci siamo accorti che quest’area di competenza non ci bastava più. A un certo punto, si è avvertita l’esigenza di allargare gli orizzonti, di spaziare verso altre mete narrative. Qualcuno di noi – come il sottoscritto, ad esempio – aveva cominciato a mettere in campo contaminazioni e ibridazioni con altri generi letterari, dal weird all’horror, dal fantasy al fantastico tout court, per cui ci siamo chiesti: perché no? E in questo senso i lettori troveranno nel libro storie nelle quali l’elemento fantascientifico è presente ma non (sempre) predominante, anzi! Il racconto di Lorenzo Davia, per citarne qualcuno, è un horror che definire dantesco è riduttivo; quello di Roberto Furlani è l’inedita cronaca di una regata sull’ergosfera di un buco nero; o ancora, il racconto di Axa Lydia Vallotto è una storia di frontiera, ambientata in un deserto dominato da misteriosi fantasmi, che strizza l’occhio a Mondo9 di Dario Tonani. Insomma, c’è una tale varietà di tematiche e punti di vista da soddisfare le aspettative di lettori abituati a storie a tutto tondo, e anche di coloro i quali, semplicemente, vogliono trovare in un’antologia ingredienti dal sapore particolare…
Che cos'hanno in comune, secondo te, la fantascienza e l'arte pittorica?
La fantascienza, sia letteraria che cinematografica, ha la capacità più unica che rara di farci esplorare scenari e visioni irraggiungibili: pensiamo a romanzi ambientati su altri pianeti o in realtà alternative. Ci sono anche storie che ci hanno permesso di scoprire il cosiddetto “inner space”, la dimensione interiore dell’uomo, ma ciò non cambia la sostanza, e cioè che in questo ambito la fantasia non ha limiti. Per l’arte pittorica è la stessa cosa. In passato artisti visionari hanno donato all’umanità opere che hanno spalancato nuovi orizzonti della percezione, dimostrando che si può sempre andare oltre ciò che pensiamo di conoscere. A tale proposito, cito quello che per me è il vero punto di contatto tra le due forme d’arte, cioè le copertine dei libri di fantascienza. Come non ricordare i capolavori di Kurt Caesar dei primi Urania e le successive illustrazioni di Carlo Jacono, Karel Thole, Oscar Chichoni e, da ultimo, Franco Brambilla? Si tratta di immagini che fanno sognare intere generazioni di appassionati.
L'antologia è realizzata dagli scrittori del Collettivo Immaginario Fantastico. All'inizio era invece il Collettivo Italiano Fantascienza. Ci racconti che cos'è e come è nato?
Nel 2017 risultai finalista nella prima edizione del Premio Urania Short, assieme ad altri bravissimi autori e autrici. Qualche mese prima della proclamazione del vincitore Simonetta Olivo (presente ne “La nave dei folli” con un breve saggio su Bosch) ebbe l’idea di contattarci per proporre una lettura condivisa dei racconti, per scambiarci opinioni, impressioni e appunti. Quando ci incontrammo a Milano, durante Stranimondi, fu come una festa tra vecchi amici. Dopo la proclamazione, concludemmo la giornata con una cena da cui nacquero diversi progetti per il futuro, tra cui la creazione di un Collettivo di scrittori in cui sperimentare un metodo collaborativo di letture con feedback reciproci e scrittura condivisa con l’obiettivo della crescita (artistica) comune. Con questi propositi il Collettivo Italiano Fantascienza (oggi Collettivo Immaginario Fantastico) ha dato alle stampe tre antologie che sintetizzano questa filosofia.
Il CIF ha già dato vita a due antologie: Atterraggio in Italia e 2050 – Quel che resta di noi. Vogliamo ricordare le tematiche di questi due precedenti lavori editoriali?
Per l’esordio dell’ex Collettivo Italiano Fantascienza volevamo un’idea particolare, in qualche modo dirompente. Pensammo allo storico “dogma” di Carlo Fruttero – secondo cui un disco volante non potrebbe mai atterrare a Lucca – e provammo a smentirlo, ambientando storie fantascientifiche in scenari spiccatamente italiani. In quell’occasione Delos Digital, nella persona di Silvio Sosio, ci diede fiducia e pubblicò “Atterraggio in Italia”, ancora adesso considerato un libro che è un piccolo capostipite nel suo genere. “2050 – Quel che resta di noi”, invece, fu un progetto travagliato ma allo stesso tempo affascinante. Il punto di partenza di questo libro è stata la domanda: come saranno il mondo e la nostra società tra circa venticinque anni, allo scoccare del fatidico anno indicato da molti scienziati come punto di non ritorno per crisi ambientali, trasformazioni sociali e tecnologiche? Le difficoltà sono emerse soprattutto nella definizione di una cornice comune entro cui ogni autore e autrice poteva esplicare la propria ispirazione e, in postproduzione, nell’armonizzazione, da parte dei due curatori (Damiano Lotto e Lorenzo Davia), di altri elementi ricorrenti. Il completamento dell’opera si è rivelato lungo e complesso ma ha prodotto il mosaico sorprendente di un futuro dell’umanità non propriamente roseo, ma strabiliante sotto il profilo del progresso e delle dinamiche fantascientifiche.
Hai vinto il premio Urania Short nel 2022, sei autore di vari romanzi e hai partecipato a varie antologie. A cosa stai lavorando adesso?
Dopo essermi tolto qualche piccola soddisfazione, continuo a scrivere come se ogni traguardo fosse sempre un nuovo punto di partenza. Negli ultimi mesi ho collaborato con un editor di collana per la pubblicazione di un romanzo breve di genere distopico. Inoltre sto lavorando a un racconto weird-horror per un’antologia di cui non posso ancora rivelare nulla, e devo terminare un romanzo di fantascienza per il Premio Urania, più un altro romanzo fantastico lasciato in sospeso qualche anno fa che chiede solo di essere ultimato. Insomma, c’è tanto da fare e il tempo è maledettamente tiranno!
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