È considerato il Maestro della narrativa horror e fantastica, insieme a Edgar Allan Poe, ma la sua influenza come scrittore, poeta, critico letterario è andata ben oltre questa sintetica e semplicistica definizione. Stiamo parlando di Howard Phillips Lovecraft, il bardo di Providence, che ancora oggi, nel Terzo Millennio, non solo è oggetto di culto per milioni di lettori in tutto il mondo, ma è anche continua fonte d’ispirazione per artisti, musicisti, letterati, fumettisti, registi. Tra la sua sterminata produzione letteraria, ricordiamo capolavori quali Il richiamo di Cthulhu, Il caso di Charles Dexter Ward, L'orrore di Dunwich e L'ombra calata dal tempo.

È davvero un privilegio che Lovecraft abbia accettato di rilasciarci quest’intervista, dandoci appuntamento in un tempo e in un luogo che potremmo definire “oltre la soglia dell’impossibile”.

La prima domanda che vorrei porle è inerente alla sua produzione letteraria, che sembra dominata dalla paura. Che cos’è per lei la paura? 

Il sentimento più antico e più radicato nel genere umano è la paura, e la paura più antica è quella dell’Ignoto. Questi assunti vengono posti in discussione da ben pochi psicologi, e la loro conclamata verità stabilisce in qualsiasi tempo la genuinità e dignità del racconto Soprannaturale e Orrorifico come forma letteraria.

Ma a leggere la sua narrativa, la paura sembra nascere dall’incontro tra ciò che è reale e ciò che è irreale. È così? 

Gli uomini di più ampio intelletto sanno che non c'è netta distinzione tra il reale e l'irreale, che le cose appaiono come sembrano solo in virtù dei delicati strumenti fisici e mentali attraverso cui le percepiamo.

Converrà, tuttavia, che la filosofia può essere un utile strumento per indagare su ciò che è reale e ciò che non lo è? 

Oggi si assiste alla nascita di una nuova ondata di interesse per la speculazione filosofica. Per un certo periodo, nel diciannovesimo secolo, la dissoluzione di antiche dottrine sotto l’influenza della scienza, favorì la diffusione di un materialismo razionale, di cui furono cospicui esempi Huxley ed Haeckel, ma il successivo infrangersi degli standard morali, nella confusione della liberazione mentale, ha provocato un senso di inquietudine e di panico cerebrale, e per il momento assistiamo al divertente spettacolo di un brancolare alla ricerca di rifugio sotto l’ala di credenze soprannaturali concepite ciecamente al di fuori della riflessione intelligente, o tenuamente modificate così da accordare un sistema di origine extra razionale con quante più verità scientifiche possibili.

E la verità, secondo lei, può essere un “coltello” con cui “tagliare la realtà”? 

La verità non esiste e la vita come la immaginiamo di solito è una rete arbitraria e artificiale di illusioni da cui ci lasciamo circondare. Sappiamo che esse sono il semplice risultato di accidenti o punti di vista, ma non abbiamo nulla da guadagnare ad abbatterle. E infatti, è straordinariamente insensato voler abbattere con un forcone da stalla un miraggio che non è mai esistito. Penso che all'uomo assennato convenga scegliere le fantasie che più gli aggradano e crogiolarvisi innocentemente, conscio del fatto che, siccome la realtà non esiste, non c'è niente da guadagnare e molto da perdere nel buttarle via. Ancora, non esistono fantasie preferibili ad altre, perché la misura del loro valore dipende dal rispettivo grado di adattamento alla mente che le contiene.

Sulla scienza, invece, come fonte di verità cosa ne pensa? 

Gli uomini di scienza sospettano qualcosa di quel mondo, ma ignorano quasi tutto. I saggi interpretano i sogni, e gli dei ridono.

Quindi la scienza è per lei poco utile per capire la realtà? 

Le scienze, ognuna tesa nella propria direzione, finora non ci hanno nuociuto gran che; ma un giorno, il confluire di frammenti di conoscenza dissociati schiuderà panorami della realtà talmente terrificanti che o impazziremo per la rivelazione, o fuggiremo dalla sua luce mortale, cercando rifugio nella pace e nella sicurezza di nuovi secoli bui.

A proposito di scienza e letteratura, lei è ricordato anche come un pioniere della fantascienza, ma ha espresso nei confronti di questo filone narrativo un giudizio molto severo. Cosa pensa veramente della fantascienza? 

Nonostante l'attuale copiosità del flusso di racconti che trattano di altri mondi e di altri universi, nonché di intrepidi viaggi tra essi attraverso lo spazio cosmico, probabilmente non è affatto esagerato affermare che soltanto una mezza dozzina di questi prodotti, compresi i romanzi di H.G. Wells, possiedono la benché minima pretesa di serietà artistica o di dignità letteraria.

Che cos’è che la spinge a scrivere letteratura? 

La ragione che mi induce a scrivere racconti è di fatto la voglia di provare la soddisfazione di visualizzare più chiaramente, dettagliatamente e stabilmente, bellezza e avventurosa attesa che mi vengono suscitate da visioni (sceniche, architettoniche, atmosferiche, ecc.), idee, avvenimenti e immagini incontrate nella letteratura e nell’arte.

Quindi la sua narrativa parte da visioni della realtà che, poi, diventano incubi? 

Ora che cerco di raccontare quello che ho visto, mi rendo conto di un centinaio di assurde limitazioni. Le cose percepite con la vista interiore, come quelle fuggevoli visioni che ci arrivano mentre stiamo per cadere nel buio del sonno, sono più vivide e significative di quando cerchiamo di arrivarvi razionalmente. Date la penna a un sogno, e ogni suo colore sparirà. L’inchiostro con il quale scriviamo sembra sbiadito da qualcosa che ha troppa realtà, e scopriamo che dopotutto non è possibile dare forma ai ricordi. È come se il nostro io più profondo, svincolato dal contingente e dalla oggettività, liberasse emozioni represse che vengono soffocate in fretta non appena le traduciamo. Nei sogni e nelle visioni trovano radici le più potenti creazioni dell’uomo, perché essi non sono soggetti alla limitazione delle linee e dei colori. Scene dimenticate e terre più arcane del mondo dorato della fanciullezza si risvegliano nella mente assopita e la pervadono, finché la coscienza non le mette a tacere.

Fra gli autori suoi contemporanei, chi considera come rilevante? 

I riconoscimenti relativamente esigui accordati sino ad oggi a Lord Dunsany, il quale è forse l’autore vivente più singolare, originale e ricco di potenza immaginativa, costituiscono un divertente commentario sulla naturale stupidità del genere umano.