Qualche giorno fa, scorrendo la timeline di un social, mi è capitato di rivedere la copertina di Cherudek di Valerio Evangelisti, edizione Urania del 1998. Conservo ancora gelosamente una copia di quel libro, a mio avviso l’apice della produzione di Evangelisti – scomparso nell’aprile del 2022 –, un autore da leggere e rileggere per chi apprezza la Fantascienza (e non solo). Il suo romanzo d’esordio, Nicolas Eymerich, inquisitore, è diventato un classico e mi stupisce che non sia stato mai portato al cinema (la Rai aveva opzionato il progetto per poi affossarlo).
La storia di Nicolas Eymerich, inquisitore, per chi non la conoscesse (spero pochissimi), è un intreccio di tre linee temporali: nella metà del Trecento l’indagine dell’inquisitore Eymerich alla ricerca di una setta di neopagani adoratori della dea Diana, nel XX secolo la nascita e lo sviluppo di una rivoluzionaria teoria scientifica del fisico Marcus Frullifer capace di travalicare i confini dello spazio, del tempo e della materia, e infine, nel XXII secolo, l’avventura dell’astronave Malpertuis alla scoperta di un pianeta su cui sopravvivono le antiche divinità pagane.
I piani temporali del romanzo s’influenzano vicendevolmente in una concezione del tempo (non solo narrativo) così vertiginosa da lasciare senza parole.
La stessa formula a trame multiple verrà ripresa in tutti i romanzi della serie “Eymerich”, qualcuno riuscito meglio di altri, ma tutti a livelli altissimi. Unica costante l’inquisitore, padre Nicolas, quel meraviglioso antieroe così tormentato e crudele, un fanatico animato da una fede incrollabile, l’incarnazione di una Chiesa molto più attenta al profano che al sacro.
Evangelisti era, allo stesso tempo, “padre” e prigioniero di Eymerich. Diverse volte ha tentato di liberarsi del domenicano senza mai riuscirci. Avrebbe forse voluto dedicarsi all’altra grande sua passione letteraria: la storia del movimento sindacale internazionale, ma Eymerich non mollava la presa.
Se mai esistesse, da qualche parte nell’universo, un pianeta dove si manifestano i grandi protagonisti della letteratura, sicuramente là ci sarebbe Nicolas Eymerich.
Vincitore per un soffio
La storia editoriale di Eymerich avrebbe potuto essere molto diversa da quella che conosciamo. L’idea iniziale della serie non aveva nulla di fantascientifico, si trattava di una storia gotica ambientata nella metà del Trecento sulle avventure di uno spietato inquisitore.
L’idea che le divinità del passato potessero sopravvivere solo grazie alla fede dei credenti veniva dal romanzo Malpertuis di Jean Rey (pubblicato in Italia da Agenzia Alcatraz), Lo svolgimento della trama però abbandonava l’atmosfera onirica di Rey per calarsi in un contesto di realismo magico assolutamente unico nel panorama letterario italiano. Il funzionamento e le dinamiche del culto dei neopagani combattuti da Eymerich ricalca quello degli adoratori di Diana praticato nel santuario della dea sulle rive del lago di Nemi, ad Ariccia e descritto nel contestato Il ramo d’oro di James G. Frazer (l’ultima edizione italiana è del 2012, pubblicata da Bollati Boringhieri).
Ma tutto questo non bastava per vincere il Premio Urania del 1993 al quale Evangelisti partecipava con Nicolas Eymerich, inquisitore. La giuria era combattuta: dov’era la Fantascienza in quel meraviglioso romanzo?
La redazione di Urania, all’epoca guidata dal compianto Giuseppe Lippi, intervenne forzando la mano. Consigliò a Evangelisti di contaminare la trama gotica con elementi sci–fi assenti nella prima stesura. Il resto è storia.
Un genere completo da usare con coraggio
Evangelisti sosteneva che la Fantascienza fosse il più completo tra i generi letterari, capace di inglobare qualsiasi altro genere e, per questo motivo, estremamente duttile e adattabile alle esigenze degli scrittori. Le sue in particolare erano prima di tutto politiche. I romanzi di Evangelisti raccontavano le sue paure e il timore che la società prendesse la strada sbagliata imboccando il vicolo cieco della dittatura.
Convinto comunista, Evangelisti credeva nella letteratura militante ma più di tutto credeva nella militanza tout court, era instancabile nella sua attività letteraria così come in quella politica. Un atteggiamento che, probabilmente, gli ha fruttato diverse antipatie. La critica sociale era evidente nei suoi romanzi, non si preoccupava di nasconderla in alcun modo, un approccio rarissimo tra gli autori italiani di Fantascienza esperti, allora come oggi, nel dimostrarsi apolitici.
Questo modo di essere scrittore di un genere considerato di puro intrattenimento, e allo stesso tempo intellettuale impegnato, mi piaceva moltissimo e fu il motivo per cui, nel lontano 2009 decisi di contattarlo per chiedergli pareri sul progetto di romanzo collettivo gotico che curavo. Nonostante il mio lavoro fosse a metà strada tra imbarazzante e tremendo, con grande generosità mi diede moltissimi consigli utili. In una delle mail che ci scambiavamo, mi parlò della sua terribile malattia scoperta per caso dal dentista e raccontata in seguito nel libro Day Ospital (Giunti editore). Lo fece così, come se fosse stata una notizia come un’altra, l’aveva detto a me e forse a tutti quelli che gli avevano chiesto, senza sapere, come stava. Anche in quell’occasione, forse senza rendersene conto, mostrandomi come affrontava la paura di morire, mi diede il consiglio più utile di tutti.
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