Questo mese torniamo ai classici, quelli degli anni ’50 e onoriamo maggiormente il titolo della nostra rubrica, “Spigolature aliene”, anche se in effetti gli “alieni” veri e propri non ci sono, o meglio, sono terrestri trasformatisi a causa delle radiazioni.
Però c’è il “mito della cava”, visto che è girato nel Bronson Canyon, una regione desertica ricca appunto di cave, grotte ed insenature contenuta all’interno di un parco, vicino a Los Angeles. dove si nascondono i mostri mutanti.
Il mostro del pianeta perduto (Day the World Ended) è tecnicamente un horror fantascientifico del 1955 (durata 79’), prodotto negli Usa e il primo di tale genere diretto dal famoso Roger Corman (che è anche il produttore), Oscar onorario nel 2010.
La tematica è quella apocalittica del post-nucleare che allora in piena guerra fredda era molto seguita.
Corman, regista eclettico si è occupato di molti generi cinematografici. Come lui stesso ebbe a dire: Come ho fatto cento film a Hollywood senza mai perdere un dollaro (che è anche il titolo di un suo libro).
Tra gli altri suoi più noti film Il conquistatore del mondo (1956), Il vampiro del pianeta rosso (1957), Guerra dei satelliti (1958), La donna vespa (1959), L’uomo dagli occhi a raggi X (1963), tutti classici del genere, spesso in bianco e nero che accentua la tipicità e il mistero.
Il tema è post-apocalittico. C’è stata una guerra atomica che ha distrutto buona parte dell’umanità mentre la restante è stata contaminata dalle radiazioni. Una coppia, il padre ex militare comandante di Marina, Jim Maddison e sua figlia Louise (Luisa nel doppiaggio), si è rifugiata in una villa dotata di generatore di corrente e scorte di acqua e viveri costruita negli anni, ma ben presto vengono ospiti.
Un poco di buono Tony e la sua donna Ruby una spogliarellista che devono andare a San Francisco, a cui si aggiungeranno un vecchio con il suo somaro, un giovane geologo Rick (innamorato ricambiato) di Luisa e un suo amico contaminato, per un totale di sette persone e un asino.
Jim utilizza una radiotrasmittente sintonizzata su New York, Roma, Londra e Mosca e capisce che ormai il mondo è distrutto e non c’è più nessuno, mentre un contatore geiger gli permette di misurare le radiazioni.
Il film, come gli altri citati, è a basso costo (96.235 $) ma girato con arguzia ed intelligenza da Corman che si industria a dare il meglio di sé pur nella limitatezza dei mezzi.
La villa isolata si trova sul fondo di una valle circondata da colline ricche di minerali di piombo che la proteggono dalle radiazioni.
I canyon invece sono dei veri e propri canali che grazie a forti venti spingono lontano l’aria radioattiva.
Temuta è invece la pioggia, perché può far cadere acqua contaminata. La fonte di radioattività proviene da fumi che vengono emessi dalle fessure del terreno.
La zona però è tutt’altro che sicura perché le radiazioni hanno trasformato diversi umani in mostri che si aggirano uccidendo animali e poi cibandosene.
Uno di questi uccide l’uomo contaminato dopo che questo ha ucciso l’asino e rapisce la ragazza (con cui era in contatto telepatico, sottolineato dalla musica elettronica tipica dell’epoca) ma una provvidenziale pioggia di acqua ora ripulita dai venti lo ucciderà, come in Signs con Mel Gibson.
Il delinquente invece verrà ucciso dal padre perché stava cercando, a sua volta, di uccidere il geologo, fidanzato della figlia per farla sua.
Il mostro ha tre artigli d’ “acciaio” con cui sgozza le vittime e “più di due occhi” mentre respira aria contaminata.
Dunque qui l’acqua è catartica, “Dio l’ha mandata”, come dice Luisa, e non il fuoco.
Il film rispecchia il livello tecnico di quegli anni e sconta il budget limitato ma riesce comunque a intrigare lo spettatore e soprattutto a restituire pienamente lo spirito del genere fantascientifico di quei tempi.
C’è quella magica atmosfera, dopo tutto rassicurante, dei film in bianco e nero anni ’50. C’è il deserto, c’è la grotta, c’è il mostro, ma anche la villa, un luogo di sicurezza dalle insidie dell’esterno.
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