Una famigliola percorreva il viale poco trafficato, diretta verso il parco torinese della Pellerina. L'uomo procedeva imprecando ad alta voce. La moglie e il figlio, un grazioso ma sciupato ragazzino sui nove-dieci anni, dallo sguardo intenso e i corti capelli castani dritti come gli aculei di un istrice, lo seguivano in silenzio, a pochi passi di distanza.
Poco prima alla donna era sfuggita una frase fuori luogo e i coniugi avevano iniziato a litigare. Il motivo della discussione non contava. Un nonnulla, infatti, bastava ad alterare l'uomo, che maltrattava moglie e figlio da anni. I due ne erano terrorizzati ma sopportavano, perché nonostante tutto continuavano a volergli bene.
Ora l'uomo si stava arrabbiando sul serio e non bisognava mai farlo arrabbiare. I tre erano appena entrati nel parco cittadino ancora deserto, infreddoliti dalla frizzante aria mattutina di quei primi giorni di marzo del 2017, quando la moglie gli rivolse la parola nel tentativo di rabbonirlo.
Per tutta risposta lui le assestò un manrovescio così energico da farla volare a terra, dopodiché la sollevò di peso e la batté ancora, più volte. La donna ricadde, priva di conoscenza.
Il bambino, che nel frattempo si era messo a piangere e implorava il padre di smetterla, vide la mamma immobile e le corse incontro, chiamandola a gran voce.
Il padre lo scrutò, sempre più infuriato.
– Sta zitto stronzetto, basta piagnistei. – Ordinò avanzando di un passo. – Guarda che ne ho anche per te.
– Perché sei così cattivo, papà? – Osò chiedere il piccolo tra un singhiozzo e l’altro.
– Basta, ho detto. Fa silenzio. – Ribadì l'adulto, grigio in volto, fissandolo minaccioso e compiendo un altro passo verso di lui.
Il ragazzino trattenne un gemito e sollevò coraggiosamente lo sguardo a incontrare quello paterno. Per un breve istante i suoi occhi innocenti furono attraversati da un lampo di ferocia.
Il genitore dovette intuire qualcosa, perché dapprima parve turbato e subito dopo la sua ira si accrebbe incontrollabilmente. Sollevò un braccio.
– Te la sei voluta.
Il 16 maggio 2065 due uomini silenziosi, chiusi in una specie di scafandro, percorrono a passi lenti e cadenzati un terreno accidentato. Tutt’intorno affiorano macerie e ossa umane. A un paio di chilometri di distanza, alcuni miseri scheletri arborei sono l’unico memento dei boschetti appartenuti in passato a un parco cittadino. Più oltre sorge, imponente, un quartiere di torri moderne, che avvicinandosi si rivela diroccato. È un mondo morto, freddo e desolato, dove nulla si muove. Sopra di loro il sole s'intravede appena, pallido e spento, quasi del tutto nascosto da un grigiastro e uniforme pulviscolo.
Tempo dopo il più anziano dei due, un uomo dal volto stanco solcato da rughe profonde, con i radi capelli e la barba grigi e in disordine, indica al compagno un fabbricato apparentemente intatto, situato circa a metà strada tra il luogo in cui si trovano e i palazzoni.
– I laboratori privati erano là, Roberto. Con un po' di fortuna vi troveremo quanto ci occorre.
– Bene professor Spaltro. Dopo anni di preparativi sarebbe proprio ora di agire. – Risponde l'altro, un giovane troppo magro e un poco ingobbito, con la faccia ispida.
Mentre stanno per giungere all'ingresso dell'edificio, un frenetico zampettare attira la loro attenzione. Qualcosa di piccolo e nero sparisce fulmineo dietro alla carcassa di un autocottero pubblico. Roberto raccoglie una pietra e la scaglia, rabbioso, in quella direzione.
– Dannate bestiacce, sopravvivono ancora! – Esclama poi.
– Resistono alle radiazioni e alle alterazioni ambientali e climatiche. Forse abbiamo appena incontrato uno dei prossimi signori della Terra. – Risponde il professor Spaltro.
A quelle parole Roberto è scosso da un tremito nervoso, tanto intenso da costringerlo a sedersi a terra. Per riprendersi gli occorrono alcuni minuti.
– Allora che se la goda – dice infine – se non sapremo cambiare le cose gliela cederò volentieri. Ho appena trent'anni e vivo in questo inferno ormai da sei! Ce la dobbiamo fare. La prospettiva di trascorrerne così altri quaranta o cinquanta mi spaventa.
– Ammesso che per noi una prospettiva di vita esista. – Scappa detto al suo interlocutore.
– No, per favore professore, non smetta di crederci, noi tutti contiamo su di lei. Quella stessa scienza che ci ha condotto sull'orlo dell'estinzione grazie a lei ci salverà, ne sono certo.
Terminato il discorso Roberto si rimette in piedi e, mentre il compagno di escursione scrolla le spalle contrito, in pochi passi raggiunge il portoncino e ne afferra la maniglia.
– Sei sicuro di farcela? Possiamo riposare un poco, se lo desideri. – Chiede Spaltro, osservandolo con apprensione.
– Non si preoccupi, professore, mi sono perfettamente ripreso. Abbiamo un compito da portare a termine e non abbiamo tempo da perdere. Speriamo solo di trovare tutto ciò che ci serve.
Marzo 2017. Serafino Magnani viveva solo in un piccolo appartamento condominiale, in un quartiere semi periferico di Torino. Quel mattino era sveglio già da un pezzo, ma si stava ancora crogiolando a letto, sotto le coperte, senza alcuna voglia di cominciare la giornata. All'improvviso si drizzò di scatto a sedere e rimase qualche momento immobile, come in ascolto.
– Ah, ancora quella voce nella mia testa. Dunque dovrò farlo per davvero? Ma perché proprio io? Non capisco. – Commentò poi, a bassa voce.
Una richiesta imperiosa, udibile da lui soltanto, lo tormentava. Guardò il suo orologio da polso col datario: sì, erano proprio giunti il giorno e l'ora designati. Si alzò con una profonda mestizia conficcata nel cuore, si vestì in fretta e furia, si sistemò sul naso appena pronunciato i tondi occhialetti scuri e uscì, deciso a scoprire la verità e nel caso a obbedire.
Pochi minuti dopo giunse al parco e si guardò intorno, torreggiando sui suoi centonovantasette centimetri di statura. Ed eccoli lì, proprio come gli era stato predetto: una donna svenuta a terra, un bambino in lacrime a farle da scudo e un uomo che avanzava, furente e minaccioso.
– Guarda che ne ho anche per te. – Sentì esclamare a quest'ultimo.
Serafino alzò lo sguardo al cielo con un amaro sorriso rassegnato. Quanto era chiamato a compiere lo addolorava, povero piccolo, ma proprio allora la voce stava tornando a farsi udire. Da anni Serafino Magnani, attraente e pacifico gigante biondo impiegato in una ditta di pulizie, sentiva le voci. Schizofrenia, era stata la diagnosi, malattia mentale per cui era stato a lungo in cura. A causa di ciò la moglie l'aveva abbandonato portandosi via i bambini, dopo avergli detto di non avere alcuna intenzione di farli allevare da un pazzo.
All'epoca Serafino aveva accettato supinamente il verdetto medico, per natura non metteva mai in discussione l'autorità. Ora però sapeva che gli psichiatri si erano sbagliati e così l'ex consorte. Quella che sentiva era la voce di Dio e lui ne era l'emissario, non aveva più dubbi in proposito. Dio l'aveva risvegliato dal suo torpore.
Luglio 2065. Il professor Andrea Spaltro e i suoi quattro collaboratori siedono intorno alla scrivania, dinanzi allo schermo acceso del computer principale, nello stanzone del rifugio adibito a laboratorio. In sottofondo si sente il ronzio del generatore che fornisce l'energia elettrica.
– Cosa facciamo, boss? Tergiversiamo da mesi, non ne posso più. Lì, nel passato, c'è tutta la nostra speranza per il futuro. Incominciamo? – Chiede, strizzando freneticamente gli occhi, il più giovane del quintetto, un bel ragazzone dai lunghi capelli e la barbetta biondi.
Il capo ricercatore l'osserva per un istante e distoglie subito lo sguardo, infastidito dal tic nervoso. Da tempo ha riconosciuto in lui i sintomi della schizofrenia. Prima della spaventosa catastrofe che ha coinvolto l'intera umanità sarebbe stato facilmente curabile, ora invece quel giovanotto alto e biondo, Raffaele Magnani, dovrà convivere con la malattia mentale.
Sei anni prima era stato soltanto un promettente studente del secondo anno, che frequentava una sua materia fondamentale alla facoltà di fisica di Torino, eppure al momento di formare la squadra si era dovuto accontentare della sua preparazione ancora inadeguata: con le comunicazioni spezzate, tra i pochi superstiti con cui era riuscito a entrare in contatto, appena due avevano conseguito un dottorato in materie scientifiche e di questi uno solo era davvero capace.
Andrea Spaltro volge lo sguardo sugli altri tre membri del gruppo, Roberto Fusaro, Luca Re e Gianluca Masi. Assentono all'unisono. Lo scienziato sospira rassegnato.
– D'accordo ragazzi, abbiamo effettuato tutte le verifiche possibili e immaginabili, inutile esitare ancora. Vuoi avere tu l'onore, Roberto?
– Grazie professore. E che Dio ce la mandi buona. – Risponde Roberto Fusaro, ansioso ed eccitato a un tempo, dando l'avvio. Comincia quindi a trasmettere.
Marzo 2017. Serafino Magnani ascoltò un'ultima volta il verbo. Dio non gli fornì ulteriori spiegazioni, peraltro superflue. Ribadì solo la necessità di uccidere il bambino lì, senza testimoni, affinché la responsabilità ricadesse sull'adulto, cioè sul padre, sventando altri sospetti.
Io – Pensò – sono l'Angelo della morte, non devo dubitare, Dio ha detto che per quanto spiacevole sembri, il delitto servirà per evitare una futura catastrofe e io gli credo. E almeno quel bastardo del padre avrà quanto si merita.
Così il colosso appena ribattezzatosi Angelo della morte ubbidì. Mise in movimento le sue lunghe leve e in pochi attimi, proprio mentre lo sconosciuto sollevava il braccio per colpire il figlioletto, piombò su entrambi. Il bruto lo udì e si voltò, ma non fece in tempo a reagire. Con un preciso colpo di karate Serafino lo mise fuori gioco, quindi raccolse una pietra e aggredì il piccino, troppo scioccato per tentare la fuga. Infine, provvide a incastrare il padre con le impronte e si allontanò prima che questi potesse riprendersi.
Incamminandosi, il gigante biondo si guardò intorno. Un tizio stava passando ad alcune decine di metri di distanza facendo jogging, concentrato sui propri passi con le cuffie nelle orecchie. Non sembrava essersi accorto di nulla. A parte costui continuava a non vedersi anima viva.
Serafino si sentiva male dentro. Non poteva convivere con un ricordo così terribile, la sua mente rifiutava l'evento. Rientrato a casa si sedette sconvolto in poltrona e ben presto si assopì, rimuovendo dalla coscienza l'assassinio commesso. Due ore dopo, quando gli squilli del telefono lo svegliarono, ebbe solo l'impressione di aver fatto un brutto sogno, di cui era in grado di rammentare appena poche immagini, sempre più confuse.
Luglio 2065. Andrea Spaltro e Roberto Fusaro discutono, cupi, nello stanzone in cui trascorrono la maggior parte delle giornate. Gli altri attendono nelle proprie camere.
Il prestigioso ma ormai attempato ricercatore lavorava al progetto, con la sua esigua equipe, da circa quattro anni. Era un piano disperato e lo sapeva, ma non poteva restarsene in panciolle. Se viaggiare di persona nel tempo era impossibile, in compenso aveva trovato la maniera di sfruttare i tachioni, particelle più veloci della luce, con energia inversamente proporzionale alla velocità, massa immaginaria e conseguente capacità di muoversi temporalmente all'indietro, per inviare messaggi nel passato.
Il nemico da abbattere era Francesco Clerico, persona frustrata e incattivita eppure dotata di fascino e carisma. Protagonista di una vertiginosa ascesa politica, era diventato il primo presidente degli Stati Uniti d'Europa eletto dal popolo. Incapace tuttavia di arrestare la grave crisi economica in atto nella novella nazione, sfavorito alle successive elezioni e schiavo di smodate rabbie e ambizioni, al termine del mandato quinquennale si era assunto la responsabilità di attaccare l'Unione Fondamentalista Islamica Afroasiatica. Così, vanificando in un sol colpo sia i sacrifici compiuti dall'umanità per arrestare i cambiamenti climatici causati dall'inquinamento, sia il positivo lavoro diplomatico svolto per il conseguimento della pace universale, aveva provocato una guerra nucleare, dapprima locale, poi globale. Dopo i numerosi rischi sventati in extremis nei decenni precedenti e causati dalle smodate ambizioni espansionistiche delle varie super potenze mondiali, alla fine la catastrofe si era verificata.
Non appena ebbe concluso lo studio teorico e la parte più delicata del lavoro tecnico, Spaltro trascorse mesi alla ricerca di un'opportunità per eliminarlo prima del conflitto e del conseguente fallout, prima ancora, anzi, che vincesse le elezioni. Gli occorreva inquadrare un momento in cui si sapesse con esattezza dove si trovava e in cui fosse indifeso. Infine aveva scovato una notizia pubblicata quarantotto anni prima, nell'inverno del 2017: un bambino aggredito con tale violenza da necessitare il ricovero ospedaliero.
“Picchia a sangue i familiari nel parco cittadino”. Titolava il quotidiano.
“L'uomo nega ogni responsabilità, tuttavia gli inquirenti non sembrano nutrire dubbi sulla sua colpevolezza”. Riportava il sottotitolo.
Secondo il giornale il fatto si era verificato alle otto e trenta circa del mattino. Benché i carabinieri avessero subito individuato il marito e padre dei ricoverati come autore del pestaggio, in assenza di testimoni oculari e di una denuncia da parte dei familiari, avevano già dovuto rimetterlo in libertà. Il bambino era per l'appunto Francesco Clerico e forse era stato proprio quell’incidente a segnare nella sua psiche il punto di non ritorno. A ogni modo, data e luogo esatti in cui agire erano stati finalmente focalizzati.
Ricerche effettuate poco prima della guerra, avevano congetturato la sporadica esistenza di mutanti con l’udito idoneo a sentire messaggi vocali inseriti in pacchetti d'onda tachionici. La caratteristica genetica, forse ripresentatasi per innumerevoli generazioni, ma di fatto superflua e per giunta sempre collegata a una forma di schizofrenia, non donava alcun vantaggio evolutivo atto a favorirne la trasmissione ai discendenti. Tuttavia per una volta l’anomalo fattore poteva rivelarsi utile. Per sfruttarlo occorreva confermare l'ipotesi e trovare la maniera di indirizzare i pacchetti con precisione nel passato.
Purtroppo è stato come uno sparo nel buio, ora l’equipe ignora perfino se i suoi messaggi sono stati ascoltati.
– Continua a non accadere nulla, è inutile negarlo, abbiamo fallito. Nessuno li ha intercettati o li ha presi abbastanza sul serio da metterli in pratica. – Esclama Fusaro con voce rotta.
– Forse. Io ho voluto attendere speranzoso, perché non si sa mai, però ti devo confessare di non aver mai creduto davvero che per noi esistessero reali possibilità. È per questo che continuavo a procrastinare. Mi dispiace, amico mio.
– Co… come sarebbe, professore? A che scopo allora tutto ciò?
– Vedi, ecco, io… io… – Spaltro non riesce a proseguire. Vorrebbe guardare il collaboratore in accia e parlargli chiaro, perché sa di doverglielo, ma un groppo in gola glielo impedisce.
– Io cosa? Vada avanti, per favore, voglio capire cosa intende.
– …Quel che ho da dire non ti piacerà, Roberto.
– Non importa, non mi tenga sulle spine, la stimo, la rispetto, ma… la scongiuro, devo sapere.
– D'accordo. Io, vedi, ho condotto il progetto perché tenere la mente occupata con qualcosa che non fosse soltanto la mera sopravvivenza quotidiana ci avrebbe aiutato a tirare avanti. Speravo di procrastinare fino a quando la situazione fosse migliorata a sufficienza da darci l'opportunità di ricostruire la società, ma tu eri troppo in gamba, il miglior allievo che abbia mai avuto, e hai saputo imprimere alle ricerche una decisiva accelerata.
– Ma perché non crederci? Con Raffaele funzionava, causavamo sul serio paradossi temporali: messaggi ricevuti prima ancora che noi li inviassimo.
– Sì, ma gli inviavamo solo messaggi neutri. Lui li trascriveva e ce li faceva leggere dopo che noi li avevamo trasmessi. Non cambiavano il futuro, tanto più che avremmo comunque continuato a condurre l'esperimento fino a questo punto. L'avevo voluto io, ricordi? Scommettere che giocare col passato potesse mutare il presente era un azzardo e lo sapevi anche tu. O davvero t’illudevi che un giorno ci saremmo svegliati in una differente realtà, magari perfino con ricordi inediti?
– Ci contavo, sì. Volevo crederlo, a ogni costo. Dopotutto Clerico era un personaggio cardine, ipotizzare che la sua uscita di scena cambiasse radicalmente la situazione non era assurdo.
– Quanto affermi è vero, tuttavia le teorie discordano. Tu conosci gli sviluppi matematici completi della teoria delle stringhe e gli effetti quantistici modellati dai fisici Sidney Coleman e Frank de Luccia, no? Tu sai fin dove portano le equazioni delle stringhe.
– Naturalmente, portano agli universi paralleli. Avevo studiato quegli argomenti, rientravano nel mio piano di studi.
– In questi anni eri però troppo distratto dalle tue speranze per prenderli in considerazione e ragionare a fondo sul loro significato. Avevi un progetto da realizzare e, come hai appena detto, volevi crederci a ogni costo.
– Cavoli professore, sarà pure come dice, ma a parte il fatto che sono sempre stato scettico riguardo al multiverso, anche perché le prove indirette della sua effettiva esistenza presentate nel 2040 non mi sono mai parse convincenti, la questione esula dalle nostre ricerche sui fenomeni temporali.
– Eh, no, mi dispiace dovertelo dire, purtroppo è così solo in apparenza. Vedi, secondo l'ipotesi a mio parere più accreditata, grazie al processo noto come “tunnelling quantistico”, potremmo aver soltanto causato una divaricazione del continuum spazio temporale, facendo aprire nel 2017 un nuovo universo parallelo al nostro, o per meglio dire facendo aprire un nuovo universo bolla, in espansione, membro del cosiddetto “multiverso paesaggio”, in questo caso particolare senza però la variazione della costante cosmologica teorizzata da Steven Weinberg. Il nuovo universo si svilupperebbe sulla base dei mutamenti da noi artificialmente provocati, perciò la morte precoce di Clerico potrebbe effettivamente avere evitato il nostro tragico presente. E forse ora, in quell’irraggiungibile altrove, due nostri equivalenti stanno vivendo un’esistenza normale.
L'allievo piega la testa, vinto.
– Una ben magra consolazione, per noi. – Sussurra infine.
– Già, ma meglio che niente.
– E non potremo nemmeno mai sapere se è davvero accaduto.
Ciò detto, Roberto Fusaro volta le spalle al superiore e s’avvia mesto alle proprie stanze. Si sente a pezzi. Solo la speranza l'aveva sorretto. Una speranza che intuiva utopica, ma a cui si era aggrappato con tutte le forze. Dovrà dunque trascorrere un’intera, inutile esistenza chiuso in quel maledetto bunker? Il pensiero lo ripugna.
Rivolge lo sguardo alla porta stagna più interna. Un universo parallelo? In cui magari sarebbe perfino sposato con figli? Può anche darsi, lo deve ammettere, tuttavia nell'unico che conosce e che mai conoscerà, quello in cui lui vive, nel “suo” anno 2065 la salute di tutti loro è già in parte compromessa.
Quanto sopravviverebbe all’aria aperta senza un'adeguata protezione? Tre ore? Quattro, forse? Si avvicina all’ingresso, meditabondo. Avrebbe una gran voglia di scoprirlo.
Due giovani e un bimbetto di circa un anno atterrano con l’autocottero pubblico, un maxi drone sofisticato, unico tipo di velivolo autorizzato ad attraversare aree urbane, all’ingresso del parco cittadino della Pellerina. Appena usciti all'aperto l'uomo estrae dal mezzo un passeggino elettronico semovente, vi sistema il figlio e lo attiva. Quindi, mentre l'autocottero si rimette automaticamente in volo grazie al computer di bordo, la coppietta s’incammina mano nella mano nel verde. Ha con sé l'occorrente per il picnic e un refrigeratore portatile. È una splendida giornata di luglio e si sente felice.
– Che bel sole! Ci voleva proprio una boccata d’aria, vero Roberto? Sono così contenta che hai potuto prenderti una pausa.
– Per fortuna oggi l’attività di ricerca è sospesa e il professor Spaltro è impegnato con la sessione di esami, assistito da Giovanni Renfru e da quel suo nuovo biondo portaborse, ricordi che te l'ho presentato? Per un giorno gli studi sulle particelle possono attendere.
La famigliola rasenta uno dei canali, all’ombra delle immense chiome degli alberi secolari, poi sale su un ponticello. Giunto al centro il bebè si sporge, attirato dal quieto mormorio dell’acqua sottostante.
– Guarda amore, guarda quanti bei pesciolini! – Esclama allora la mamma dopo avere ordinato alla carrozzina di fermarsi.
Attraversano quindi il sovrappasso e procedono lungo il bordo del torrente artificiale, seguendo la direzione della corrente.
Alle loro spalle giunge un richiamo:
– Ehi ragazzi, il piccolo ha perso il ciucciotto!
A parlare è stato un vecchio asciutto e prossimo ai due metri di statura, dagli ancor folti capelli bianchi e il naso, appena pronunciato, sormontato da un paio di moderni occhialetti telescopici. L'ultraottantenne è seduto su una panchina oltrepassata dalla famiglia pochi istanti prima. La ragazza l’osserva con interesse: da giovane dev'essere stato un gran bell’uomo – le viene da pensare. Assomiglia un poco a Raffaele Magnani, l'aitante neo assistente del docente e preside di facoltà Andrea Spaltro, che pare un guerriero vichingo e tanto l'ha colpita all'ultima festa d'inizio anno accademico.
– La ringrazio, signore. È stato gentile ad avvisarci. – Dice lei con un sorriso.
E recuperata la tettarella il trio si allontana spensierato.
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