Un giorno, forse, potremo viaggiare nello spazio profondo, raggiungere le stelle lontane, esplorare nuovi mondi ma come la mettiamo con la cervicale? Per gli ipocondriaci (come me), e non solo, l’argomento è scottante. Riuscirà mai la Medicina a risolvere, grazie al progresso tecnico e scientifico, gli infiniti problemi di salute che affliggono l’uomo dalla notte dei tempi?
Nella realtà abbiamo la speranza che sì, un giorno si possa rigenerare un rene con una pillola, oppure che si possa riattaccare senza problemi un braccio amputato, modificare il dna di un neonato per evitargli la morte in culla e tante altre cosette meravigliose che farebbero comodo a tutti noi.
Venendo invece agli scrittori di Fantascienza, da questo punto di vista, hanno un dovere: immaginare l’inimmaginabile. In altre parole osare nella speranza che la Scienza medica – quella vera – prenda ispirazione.
E, nel nostro spingerci oltre, abbiamo immaginato, non senza remore morali, un mondo in cui la Medicina possa curare la morte. È il caso del mostro del dottor Victor Frankenstein, un patchwork di cadaveri rianimati che però ha dei sentimenti propri. Sappiamo tutti che la cosa è poi sfuggita di mano ma è innegabile che eravamo di fronte a un primordiale tentativo di superare i limiti mortali usando strumenti scientifici.
Pur non essendo in grado di garantire l’immortalità, l’ibernazione, un’altra tecnologia medica tipica della Fantascienza dei viaggi spaziali, ci permetterebbe di sopravvivere al nostro limitato tempo dormendo fino al momento in cui ci risveglieremo nel futuro e, magari, in qualche galassia lontana. Qualcuno l’ha fatto realmente, pare ci siano già 370 persone tutte ibernate mezz’oretta dopo il loro decesso e conservate nella speranza che, in futuro, qualcuno sia in grado di risvegliarli e guarirli.
La Fantascienza inoltre non ha trascurato nessun problema di salute, pensiamo alle menomazioni, tristi epiloghi di qualche terribile incidente. Nel futuro immaginato dal cyberpunk dove manca la carne arriva la macchina e così via al profluvio di arti meccanici uguali o anche migliori rispetto agli originali. Problemi di rigetto? Tutti risolti brillantemente. Innesta oggi, innesta domani alla fine diventa difficile capire dove finisca l’uomo e dove cominci la macchina.
Impossibile poi sorvolare sull’importanza dello screening di massa nelle storie di Fantascienza, in alcuni casi per fini medici in altri per scopi più opachi. In Psycho–Pass di Urobuchi Gen, per esempio, i parametri biomedici di tutti i cittadini sono costantemente controllati da un super–computer in grado di capire e prevenire, con un certo margine di sicurezza, quei casi in cui l’aggressività sfocerà in un crimine. E non solo questo, in una versione esasperata delle teorie di Lombroso, questo sistema è anche capace di capire, analizzando certi parametri, chi è predisposto al crimine.
Sempre alla Medicina gli scrittori di Fantascienza si rivolgono quando devono raccontare i primi contatti con creature aliene. Nella Guerra dei mondi di H. G. Wells, quando tutto sembra perduto, saranno proprio i virus terrestri, pane quotidiano della Medicina, a salvarci dagli invasori sterminandoli con l’equivalente di un’arma biochimica. La cosa naturalmente succede anche al contrario, la Fantascienza è piena di episodi in cui incauti esploratori terrestri hanno pagato cara la loro curiosità e la mancanza di precauzioni venendo a contatto con letali morbi alieni.
Una cosa è chiara, da questa rincorsa tra Medicina e Fantascienza abbiamo tratto vantaggio tutti e probabilmente ne trarremo vantaggio ancora di più in futuro. Ma sulla ricerca di una cura per la cervicale, al momento, purtroppo è in netto vantaggio la Fantascienza.
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