Senza fine

Tu trascini la nostra vita

Senza un attimo di respiro per sognare

Per potere ricordare

Ciò che abbiamo già vissuto

Senza fine

Tu sei un attimo senza fine

Non hai ieri e non hai domani

Tutto è ormai

Nelle tue mani, mani grandi

Mani senza fine

(Gino Paoli)

Anche se queste parole appartengono ad una famosa canzone romantica potrebbero essere usate come inno degli appassionati di film e serie non solo di fantascienza. Già dalla sua nascita “pulp” la fantascienza scritta e filmata ha proposto non solo scenari, storie e personaggi sempre diversi, ma anche l’affermarsi di eroi seriali nei comics e, con la loro trasposizione al cinema (Flash Gordon), si è aperta l’era della serialità senza fine.

Inutile far finta di niente, tutti noi abbiamo in mente almeno un romanzo, film, serie che vorremo veder proseguire ma che rimarrà “finito” per sempre.

La maggior parte delle produzioni attuali, però, cercano la reiterazione quasi infinita, il prequel, sequel, spin off, o l’operazione di “retrocontinuity” (quella dove si va a riempire un periodo oscuro della storia inserendo nuovi personaggi, vicende, segreti) tutto nel tentativo di sconfiggere la Fine e 2dare al pubblico quello che desidera”.

Il nemico giurato della fine è, dunque, il pubblico, e mano a mano che le interazioni tra pubblico e produttori diventano più facili e globali come sta accadendo negli ultimi anni, i produttori (cui preme mantenere fidelizzata l’audience per proseguire a guadagnare) si lasciano influenzare.

Dopotutto il desiderio di reiterare la storia che ci appassiona e soddisfa mette radici nella nostra infanzia. Tutti, da bambini, abbiamo spinto chi ci leggeva una favola a rileggerla ossessivamente ogni sera o anche più volte in una sera (e abbiamo pagato il contrappasso quando è toccato a noi leggerla ad un bambino), ricercando in quella storia il posto sicuro della nostra fantasia. Ma un simile approccio alla lunga diventa noioso e anche poco remunerativo per chi produce narrazioni. E se ricerchiamo le radici classiche del tutto basta pensare a Iliade e Odissea quali inizi della narrazione epica, che vennero poi arricchite dagli innumerevoli episodi collaterali nei quali si narravano sequel, prequel, spin off, nelle più varie declinazioni.

Cos’è che ci avvince in una storia se non il pericolo mortale che corre l’eroe? L’autore lo sa e gioca, narrando, con noi, e viene legittimo chiedersi fin dove si può spingere la libertà del pubblico contro quella dell’autore? E quanto ci sia di educativo/diseducativo nel concedere potere al lettore su quello che si scrive (Misery di King insegna).

Parlando di serial vengono in mente alcune tipologie quali: serial che hanno lasciato un retrogusto deludente e che vorremmo vedere corretti (Lost e poi, anche se non è SciFi, Game of Thrones); serial che per concludere la loro corsa sono riusciti a migrare in altri lidi (come l’ottimo Expanse e il meno ottimo Manifest) e anche i serial fatti finire prima per motivi di produzione e poi proseguiti sempre per ragioni produttive ma con risultati non proprio fantastici (Babylon 5). Ma viene anche alla mente il serial che ha saputo sfruttare al meglio il desiderio di infinito: Doctor Who. Chissà se la prima volta che il Dottore ha cambiato volto rigenerandosi qualcuno nella produzione ha intuito che quello era l’escamotage più intelligente per rendere la serie sempre nuova senza mai rinnovarla del tutto, vincendo la sfida con il proprio pubblico.

Ma il regno indiscusso del “fine pena mai” è quello dei comics di supereroi. Che si tratti di Marvel o DC, sono decenni che sceneggiatori e disegnatori lavorano per trovare nuovi spunti che richiamino nuove generazioni di lettori senza però disamorarsi quelli di vecchia data.

E ogni volta che una linea narrativa va incontro ad una distruzione apocalittica o un personaggio chiave muore, sappiamo bene che tornerà, magari sfruttando la convenzione del multiverso, croce e delizia degli ultimi anni tanto da essere citato a proposito e sproposito in diversi ambiti.

Dando un’occhiata alla storia produttiva delle due case editrici il percorso è ciclicamente simile: un primo periodo di grande successo per la proposta di nuovi eroi con storie originali e accattivanti, il successivo momento di iperpoduzione che stanca il pubblico, la riduzione del parco testate con ricalibrazione della qualità, nuova impennata delle vendite, nuovo periodo bulimico, etc.…

Da quando i comics hanno suscitato l’interesse di cinema e serial, ovviamente, sta avvenendo lo stesso anche in questo campo. E se la DC per colpa o per merito di una conduzione poco coordinata delle proprie produzioni procede a singhiozzo tra bei film e pellicole dimenticabili, la Marvel si è impantanata nella propria continuity, anche con una certa dose di arroganza infilando un periodo francamente deludente dopo la conclusione della Infinity Saga,

I proclami delle produzioni di Fase 4,5, 6 e via così, si stanno sgonfiando esattamente come avveniva alla controparte cartacea nei periodi bulimici, l’affezione del pubblico è in discesa, come la pazienza residua che forse mantiene vivo l’interesse ancora per alcune produzioni (Fantastici 4) ma con un “hype” come si suol dire, in progressivo calo.

Siamo sinceri, quanto ne avrebbe guadagnato il MCU se dopo Endgame si fossero presi una pausa per poi tornare qualche anno dopo con dei progetti ben fatti?

Attualmente l’hype sembra maggiore per le proposte del nuovo universo DC affidato a James Gunn.

E tutto questo tacendo il capitolo Star Wars / Disney.

È meglio una serie con episodi singoli vagamente legati da una storia comune o una serie infinita di ore di programmazione con continui cliffhanger? Ma, soprattutto, quando è il momento di finire una storia? E come? Quanto è bello e liberatorio l’applauso del pubblico alla fine di un bello spettacolo?

Forse la paura di scrivere la parola fine ad una bella storia riecheggia anche l’ancestrale paura della morte, ma ci sono fior fiore di romanzi, racconti, film, serial che mostrano chiaramente a questa razza umana debole e mortale che è la mortalità a rendere bella la nostra stessa vita e che se fossimo immortali e ci trovassimo a raccontare ed ascoltare solo storie di immortali, probabilmente, ci annoieremmo immortalmente.