Non è un segreto che molte delle tecnologie usate al giorno d’oggi sono state anticipate dalla Fantascienza. È un dato di fatto che mette gli autori di questo genere in una posizione molto scomoda, quella di pseudo–inventori. Rispetto ai veri inventori però gli scrittori di Fantascienza hanno un vantaggio: quando non sanno come far funzionare qualcosa nella realtà glissano oppure ricorrono al technobabble, vale a dire a una “supercazzola” di tecnicismi rubati qua e là che, messe insieme, sembrano avere un significato anche se in realtà non vogliono dire nulla.

Nel corso della sua storia la Fantascienza ha proposto moltissime invenzioni tecnologiche entrate a far parte dell’immaginario collettivo ma mai, per un motivo o per l’altro, ricreate nella realtà. Ecco, secondo me, le cinque più affascinanti.

Il motore a curvatura

Risponde alla domanda: come faremo a colmare le distanze siderali che ci separano dagli altri sistemi stellari? Nel caso specifico della curvatura, diventata famosissima grazie a Star Trek, un motore alimentato con una reazione materia–antimateria regolata da un cristallo di un materiale inesistente (il dilitio), permette di piegare lo spazio come un lenzuolo avvicinandone i lembi e accorciando quindi la distanza da un punto A a un punto B. Recentemente Davide Camparsi, nel suo racconto “Tra tutti gli infiniti mondi” (Urania Millemondi, numero 96), ha proposto una versione del motore a curvatura molto interessante in cui i salti da un punto all’altro vengono gestiti dall’intelligenza artificiale.

Ma il motore a curvatura può funzionare nella realtà?

Teoricamente sì, in pratica non è possibile costruirlo e, se anche fosse possibile, comporterebbe infiniti problemi pratici irrisolvibili con la tecnologia attuale. Esiste (si fa per dire…) anche un’alternativa: il migliore, a mio avviso, sistema di trasporto interstellare, il motore a improbabilità infinita inventato da Douglas Adams nei suoi libri. Forse non sarà preciso, ma è ottimo anche per rompere il ghiaccio alle feste.

Le macchine volanti

Croce e delizia della Fantascienza americana che, negli anni 50 e 60, scopriva il problema crescente del traffico urbano e cercava una soluzione razionale, se per “razionale” intendiamo riempire anche il cielo di automobili. Le più famose sono forse quelle raccontate da Philip K. Dick che però si tiene prudentemente sul vago circa il loro aspetto e il loro funzionamento. Cosa le alimenta? Come si pilotano? Che aspetto hanno? Non si sa. Blade Runner ha colmato alcune di queste lacune dando loro una forma e un computer di bordo che si occupa di decollo, rotta e atterraggio. Syd Mead, il designer responsabile di tutta la tecnologia che vediamo nel film (consiglio ai curiosi il volume The Movie Art of Syd Mead, pubblicato da Titan Books), progettò gli spinner che vediamo sfrecciare tra i grattacieli di Los Angeles come rottami rappezzati, funzionali ma senza fronzoli. Esattamente come la storia del film.

Nella realtà ci sono stati vari tentativi di realizzare macchine volanti, alcuni funzionanti, ma nessuno commercialmente valido e soprattutto guidabile da chi non ha almeno il brevetto di volo. Per nostra fortuna, aggiungerei, immaginiamo l’inquinamento prodotto da migliaia di areoplanini usati per fare casa–lavoro, lavoro–casa tutti i santi giorni dai loro proprietari.

Robot giganti

Super–robot, real–robot, robot che non sono robot (come gli Eva di Neon Genesis Evangelion), ce n’è per tutti i gusti (a chi volesse approfondire l’argomento consiglio la lettura di due libri imprescindibili che coprono dal 72 al 99: Guida ai super robot di Jacopo Mistè e Guida ai super e real robot di Jacopo Nacci, pubblicati da Odoya Edizioni). Siamo di fronte a uno dei marchi di fabbrica della Fantascienza giapponese. Un’invenzione che ha influenzato pesantemente anche l’immaginario occidentale senza però, tranne rari casi, entrare nella nostra produzione fantascientifica. L’idea di base è semplice: contro nemici (spesso alieni) giganteschi l’uomo costruisce un’arma antropomorfa delle stesse dimensioni per poter combattere alla pari. Fin qui tutto assurdo ma coerente, del resto l’umanità ha costruito sul serio macchine gigantesche per fare le più svariate attività ma è la caratteristica antropomorfa che rende il tutto complicato. La mobilità di un corpo umano è difficile da replicare per una macchina già in scala 1:1 (lo sanno bene alla Boston Dynamics), figurarsi se il tutto va ingigantito. E poi, cosa alimenta i motori che fanno muovere il robot? Come lo guida il suo pilota? Subentrano problemi di realizzazione strutturali che nessuno, fino ad oggi, è riuscito a risolvere, anche perché il principale problema non è tecnico ma economico: perché spendere cifre folli per una bambola gigante? La cosa più vicina a un real robot è la riproduzione alta 18 metri di Gundam a Yokohama, in Giappone: agganciato a un’elaborata impalcatura, è in grado di fare modesti movimenti. Chissà, forse l’arrivo di qualche invasore alieno proveniente da Vega potrebbe cambiare le cose ma al momento la realtà in cui viviamo, per nostra fortuna o sfortuna dipende dai punti di vista, ci offre ben altre sfide.

Il cyberspazio

William Gibson, uno dei padri del genere Cyberpunk, definiva così il cyberspazio: “un'allucinazione vissuta consensualmente ogni giorno da miliardi di operatori legali, in ogni nazione, da bambini a cui vengono insegnati i concetti matematici… Una rappresentazione grafica di dati ricavati dai banchi di ogni computer del sistema umano. Impensabile complessità. Linee di luce allineate nel non-spazio della mente, ammassi e costellazioni di dati. Come le luci di una città, che si allontanano”. In parole povere una rappresentazione grafica, generata a partire da dati, così immersiva da sembrare un’allucinazione. Fuori dal cyberspazio c’è il metaspace, vale a dire  dove ci troviamo noi in carne ed ossa. Qualcosa di vagamente simile potrebbe essere Internet ma l’esperienza di navigazione in rete, come sanno bene tutti quelli che l’hanno provata, non è di certo simile a un’allucinazione. La realtà virtuale forse è il candidato più plausibile per una versione realistica del cyberspazio ma, anche se i colossi tech hanno investito e investono miliardi in questa tecnologia, al momento non è certo diventata di massa come nei romanzi cyberpunk. In attesa di bruciare Chrome, possiamo solo accontentarci dei social network che forse non sono un’allucinazione ma, in alcuni casi, sono un incubo.

La macchina del tempo

Poter viaggiare avanti e indietro nel tempo è sempre stato un desiderio dell’uomo e uno dei cavalli di battaglia della Fantascienza. La famosissima Macchina del tempo di H.G. Welles si muoveva nel tempo ma non nello spazio creando non pochi problemi al suo inventore e collaudatore. Nel 1985 il dottor Brown risolve il problema del muoversi anche nello spazio convertendo una DMC–12 della DeLorean in una macchina del tempo e alimentandola con plutonio rubato a terroristi libici. Tralasciando i vari paradossi temporali che il viaggio nel tempo comporta, in questo campo la scienza e la tecnica sono rimaste molto indietro rispetto alla Fantascienza e per viaggiare nel tempo l’unica soluzione che ci rimane è una bella visita al caro, vecchio museo.