Quando incontrai Sauko lungo il limitare di un filare di viti sopra Incisa, lasciati alle spalle i campi dei Baronchelli a valle, non ero pronta ad incontrare una persona ed accoglierla nella mia vita. I danni provocati dal Transito, avvenuto solo due anni prima, mi avevano lasciato addosso vecchie scorie comportamentali; anche a livello fisico ero caratterizzata da una trascuratezza di cui non mi ero mai adornata nella vita precedente. Quel giovane uomo dalla pelle cangiante, i lunghi capelli crespi scuri, gli occhi trasognati, sembrava stare aspettando me, come nei più tristi romanzi d’amore o forse come nelle belle fiabe della propria infanzia. Iniziammo a comunicare con gli occhi, solo alcuni giorni dopo decidemmo di usare anche le parole per parlare del mondo nuovo che ci circondava. Non parlammo mai di noi e di come ci eravamo incontrati, forse per caso o forse per un destino che ci era sconosciuto. Bastava un raggio di sole obliquo sulla pelle di uno di noi per farci passare lungo tempo a considerare la peculiarità della nostra nuova pelle, delle cellule che lo componevano, che non potevano essere, necessariamente, le stesse che ci avevano strutturato prima del Transito.

Vi chiederete forse cosa ne pensi del Transito, molti sono ancora a domandarsi non tanto cosa sia successo o come ma, soprattutto, perché sia successo. L’Uomo vive nell’Universo cercando risposte alle sue domande, spesso senza riuscirvi o riversando le proprie ansie nelle teorie della Fisica le quali, come esili lingue di terra circondate da sabbie mobili, ci aiutano a trovare uno dopo l’altro i fondamenti relativi alla materia e all’esistenza del quale siamo assetati ricercatori.  Da parte mia quando i due universi paralleli trascorsero l’uno sull’altro, in quel preciso attimo, mi sentii trascinare via e subito dopo ritornare. Il fenomeno ampiamente previsto dai fisici del nostro universo (denominato C) durò esattamente 2,16 secondi ma almeno questo semplice dato ormai tutti lo conoscete. Da allora il rapporto fra passato e futuro non fu più come in precedenza, determinato da un sinuoso fluire, ma fu chiaramente percepito come una frattura fra il Prima e il Dopo. Sarebbe bello ritornare a quel passato che non esiste più, pieno di problemi e drammi ma almeno per la mente umana facilmente comprensibile. In realtà trattasi di un autoinganno della nostra mente: conosciamo meglio il nostro nuovo universo condiviso a livello cellulare piuttosto di quello che abbiamo vissuto per i pochi anni della nostra vita e per i millenni, in quanto specie, dall’inizio della civiltà umana. Il Transito ha scompaginato del tutto la struttura molecolare di ogni singolo individuo, di ogni singolo oggetto, di ogni specifico elemento Naturale. Nessuno di noi è lo stesso di prima. Ricordo di avere letto alcuni anni fa del fenomeno, reso possibile da alcuni isolati esperimenti scientifici, dell’Entanglement. In pratica si parla di teletrasporto ma con una variante specifica data dal trasferimento dei nostri dati vitali, durante il processo di trasporto, in altre cellule a lunga distanza diverse dalle originarie delle quali si strutturava il nostro corpo fisico. Con l’evidente conseguenza che le nostre vecchie cellule cessavano di essere Noi ma diventavano costitutive di altri corpi fisici o semplicemente dell’inutile pulviscolo vagante nell’aria, pronto a sua volta a riassembrarsi alla prima occasione in una nuova fisicità, fosse essa autoconsapevole o meno, anche un semplice cristallo di sale. Tutte cose interessanti in teoria ma è ben diverso viverle in pratica e non per un esperimento scientifico, ma solo per una casualità data dall’incrociarsi di due universi paralleli da sempre esistiti nelle vicinanze di spazio ma non di tempo. O forse non vi era nulla di casuale ma tutto di predestinato. Ma chi sono io per capire i perché dell’Universo?

In ogni caso qualche problematica il Transito l’ha generata.

Similmente alla Nave di Teseo, conservata intatta in porto così come fu usata nell’antichità, ma in realtà frutto di singole sostituzioni di parti, tali negli anni da averla ricreata come nuova pur avendola sostituita pezzo per pezzo anche noi non siamo più in alcun modo quelli di prima: gli atomi sono stati completamente sostituiti dando luogo al dubbio che già la Nave produsse: la Nave è quella conservata e creata da pezzi nuovi o e’ costituita dai pezzi che sono stati via via sostituiti ed eliminati? Ergo, di conseguenza, la nostra coscienza è la stessa o siamo, semplicemente, cloni di noi stessi? E se comparisse l’individuo composto dagli atomi che noi eravamo prima, mirabilmente riuniti di nuovo, Io sarei colei che vi parla attraverso queste poche pagine o l’altra che mi si presenterebbe davanti?

Detto questo ero perfettamente consapevole che anche Sauko del presente e del futuro non era più il Sauko del passato. Ma in fondo Sauko da dove veniva? Sembrava aspettarmi in quel preciso luogo e il dubbio sulla sua provenienza turbava la mia mente nelle ore notturne nelle quali maggiormente sentiamo la nostra naturale solitudine esistenziale.

Arrivammo fino a parlarne in un lucido ed arioso mattino novembrino vicino a un lago, nel quale fino a poco prima ci eravamo specchiati, felici e spensierati. E Sauko, che sembrava a volte sapere cose che io ignoravo, assunse il suo sguardo che travalicava l’orizzonte dietro di me, quasi trapassandomi. Poi disse poche parole spiegandomi in modo naturale che, forse, a seguire i suoi confusi ricordi, l’intera sua consapevolezza di essere umano non era del nostro Universo, ma interamente traslata dall’Universo D che ci aveva attraversato. I suoi ricordi, lamentò per la prima volta in quell’occasione, erano confusi al riguardo e non riconosceva tanti oggetti del nostro mondo. Non aveva, per esempio, mai visto o tenuto in mano una pera e non ne ricordava in alcun modo il sapore quando la portò alla bocca la prima volta nell’aria frizzante dell’autunno toscano. Questo apriva a scenari nuovi, a possibilità diverse: forse, dopo il Transito, avevamo incontrato persone per noi nuove ed altre, di cui non serbavamo più alcun ricordo, erano transitate altrove, esuli di un altro universo, profughi mentali quando non fisici dall’Altrove. Ma questo non cambiava i sentimenti che provavo per lui, la congiunzione che ci aveva invitato a riunirsi nel nostro comune futuro era da noi benedetta. Bramavamo conoscere ciò che ancora non conoscevamo dell’altro e incontrare attraverso la ricerca dell’anello di congiunzione fra le possibilità di due diversi futuri, forse non gli unici, ma solo due occasioni di incontro e felicità fra milioni di ulteriori possibilità alternative.

Un giorno, visto che le cose belle sembrano destinate per natura a non durare, Sauko si presentò al nostro appuntamento senza un braccio. Ma non pareva turbato di questo, infatti dopo poco smosse qualcosa nell’aria e il braccio lo percepii nuovamente anche se in modo distante e confuso. I nostri occhi si incontrarono e le parole, come spesso accadeva fra noi, non servirono.

Il giorno seguente accadde lo stesso per la porzione destra della sua testa e per una intera coscia; il polpaccio, invece, era ben visibile e muscoloso.

Fu così che dopo alcuni giorni Sauko non fu più visibile, ma continuavo a sentirne gli sguardi, la presenza e, quando ero più attenta, anche alcune parole. Sauko stava traslocando di nuovo verso l’altro futuro, quello che gli competeva, nel suo universo. Non era un processo del tutto consapevole, ma volendo avrebbe potuto ostacolarlo e provare ad invertirlo. Ma Sauko, nonostante l’amore per me, era così, non avrebbe mai ostacolato un processo naturale.

Passò un mese dall’ultima volta che lo avevo percepito, la tristezza di un inverno mi aveva congelata dentro, la solitudine leggermente incurvata nel mio passo un tempo altero.

Poi trovai un messaggio di Sauko, mi fu portato dal trillo di un pettirosso che mi aspettava su un filare all’incrocio davanti a me, un bivio ben definito, due tracce di futuro alternativo verso est e verso ovest. Mi guardò a lungo negli occhi e aveva il suo stesso sguardo che penetrava, senza offendere.

Capii il segnale di Sauko, il passaggio non finiva qui, anche io avrei potuto raggiungerlo, solo non pensando e lasciando che il processo di trasferimento dalle mie nuove cellule ad altre più nuove in un altro universo si sarebbe potuto completare.

A marzo iniziò una precoce e calda primavera e fu allora che iniziai a trasferirmi, le mie cellule, i miei atomi tutto fluiva in una sensazione dolcissima di cambiamento. Assecondai in tutto il trasferimento, non lo ostacolai come mi aveva insegnato con il suo esempio Sauko. Il Nuovo Futuro era davanti a me in un altrove sconosciuto, costituita di cellule diverse ma sempre me stessa, ogni dubbio si stava, al riguardo, dissipando. Con la speranza di essere una viaggiatrice in transito fra mondi e futuri felici per raggiungere una nuova consapevolezza di viandante, cittadina di due patrie o forse di mille, con lo sguardo di nuovo alto oltre l’orizzonte. Forse…