La Ubisoft la Forge ha messo a punto un programma chiamato Ghostwriter, uno strumento di scrittura che può aiutare gli sceneggiatori di giochi interattivi a scrivere i dialoghi generici dei personaggi non giocanti. A dire il vero non si tratta di una novità, dato che uno dei racconti dell’antologia Delle eloquenti distopie (Delos Digital 2023) è stato scritto da Lukha B. Kremo assieme alla IA Dungeon, utilizzata in origine per dei particolari giochi di ruolo il cui contenuto è sviluppato in collaborazione dalla IA e dall’utente umano. Per “contenuto” si intende qui il contesto, il mondo, lo sfondo, i personaggi, la tipologia e lo svolgimento stesso del gioco, che segue le linee di una storia che viene costruita dall’interazione tra giocatore e IA.
Dungeon si basa su una chatbot di ultima generazione (la GPT-3, ma c’è già GPT-4) che ha la capacità di conversare con un utente umano come se fosse essa stessa umana. Non è difficile rendersi conto che una IA di questo tipo può essere usata per costruire “a quattro mani” articoli o, appunto, racconti. Proviamo a immaginare come ciò possa avvenire.
Cominciamo dall’idea. Io posso sottoporre un’idea di partenza alla IA, chiedendo se le sembra abbastanza originale. La IA, che ha in memoria una quantità enorme di storie, può dirmi se lo è oppure no. Supponiamo che la mia idea sia già stata sfruttata, in tal caso posso proporne altre, oppure posso chiedere alla IA di fornirne un certo numero, finché non ne arriva una che mi piaccia.
Passiamo poi allo sviluppo della trama. Io posso inventare diverse varianti, che la IA può valutare in termini di originalità, e la IA può proporne altre, che io valuterò a mia volta. Possiamo procedere in questo modo, finché la trama non sia completata. Passando alla scrittura, possiamo fare l’esempio di un dialogo tra due personaggi, che può essere costruito semplicemente assumendo io stesso il ruolo di un personaggio, e affidando l’altro alla Chatbot.
Infine, posso far eseguire dalla chatbot la revisione finale per eliminare i refusi. A questo punto, sorge una domanda: scrivere un racconto di fantascienza insieme a Dungeon è fantascienza al cubo, oppure è l’azzeramento della fantascienza dovuto al fatto che la realtà tallona la fantasia?
La risposta dipende da come osserviamo la cosa. Un’altra domanda che può essere fatta è: in questo racconto Dungeon è coautrice, oppure è solo uno strumento che io utilizzo? La risposta è ancora una questione di prospettiva. La revisione dei refusi è una funzione che già possedevano i correttori automatici (quelli che sostituivano a volte una parola con una che non c’entrava niente). Ma la capacità di scrivere una storia e di inventare una trama sembra davvero una funzione umana ormai surrogabile da un dispositivo automatico.
Come ci fa sentire una cosa del genere? Forse un po’ meno speciali di quel che credevamo. Non molti anni fa, Eco sorrideva del fatto che alcuni pensavano si facesse aiutare da un computer a scrivere libri, solo perché aveva deciso di sostituire la macchina da scrivere con un sistema di scrittura. Ora il computer può davvero aiutarci, anzi scrive insieme a noi (oppure da solo). E allora?
Mi permetto di citare un brano tratto dal mio articolo “La letteratura di genere nell’epoca della sua riproducibilità parziale” (Anarres 2, Delos, inverno 2013/2014):
Un tentativo più drastico per meccanicizzare la costruzione di una trama è stato fatto nel 1935 da Wycliffe A. Hill, uno sceneggiatore del cinema muto. Dopo che, nel 1915, una sua sceneggiatura venne rifiutata da Cecil B. De Mille per carenze nell’intreccio, mise a punto un sistema per costruire una trama in modo automatico. Nel suo libro viene descritto un metodo per mettere insieme gli elementi fondamentali di una fiction (che secondo Hill sono nove), onde costruire una delle 36 possibili situazioni drammatiche di base elaborate dallo scrittore francese Georges Polti nel 1895 (a partire dalla catalogazione messa a punto nel Settecento dal drammaturgo italiano Carlo Gozzi). Il metodo di Hill consiste essenzialmente nel selezionare in modo casuale, mediante un dispositivo di tipo random chiamato Plot Robot, una delle 180 varianti già codificate nel testo. Quest’idea, concepita da Hill quasi un secolo fa, di poter produrre scrittura creativa con il semplice supporto di una combinatoria casuale, anticipa abbondantemente i tentativi moderni di elaborare dei programmi per la produzione automatica di testi letterari. Tali tentativi si scontrano con la difficoltà, se non con l’impossibilità, di passare da una dimensione puramente sintattica a una dimensione di tipo semantico del testo.
Sono passati una decina d’anni e il mio scetticismo sembra smentito dai fatti. Ma è davvero così? Se ci si pensa, Dungeon non è altro che la versione ipermoderna del Plot Robot. Il congegno di Hill era ideato per la narrativa Pulp, e Dungeon dovrebbe servire a creare un gioco interattivo. Qui l’aggettivo conta più del sostantivo, perché il livello della prestazione delle chatbot negli scambi verbali tende a mascherare il fatto che il sistema uomo-macchina possiede una componente semantica solo perché l’umano coinvolto nell’interazione la fornisce.
Come dice Edgar Morin, anche al cinema, senza lo spettatore, lo psichismo incorporato nella pellicola sarebbe solo un moto browniano sullo schermo. Tuttavia, non va sottovalutato il fatto che le chatbot GBT-3 (per non parlare delle GBT-4) sono quasi pronte a superare il test di Turing, che ignora volutamente la distinzione tra semantica e sintassi. Philip Dick (che nel 1962 usò l’I Ching come Plot Engine per scrivere “The Man in the High Castle”) risolve la questione spostando il discorso sul problema etico. Quanto a noi, dobbiamo ancora decidere.
2 commenti
Aggiungi un commentoL'articolo del mio amico (e coautore) Antonino, provocante al punto giusto, merita non una sola, bensì tre riflessioni:
Prima riflessione, da autore (dilettante):
Parliamo del mercato: se è vero che una IA minaccia di "rubare il lavoro" agli scrittori, cerchiamo di capire a chi, e quanto.
In Italia la situazione non meriterebbe neppure di essere considerata: gli scrittori che riescono a mantenersi con la propria narrativa si contano sulla punta delle dita, e godono di una tale base di affezionati lettori che nessuna IA può sperare di aggredire; semplicemente, ogni libro col loro nome in copertina vende comunque, con o senza la "concorrenza" delle IA, perfino se fosse scialbo, o scarsino, o perfino brutto -- tanto i libri di questi autori di solito vengono comprati per regalarli, mica per leggerli davvero. Se poi le loro storie sono anche belle (e ce ne sono autori così, e sono onorato di conoscerne qualcuno di persona) il problema non si pone neppure.
Quelli che semmai dovrebbero preoccuparsi sono gli autori da cento copie come me, che a ben vedere raccontano storie per il proprio diletto e non certo per quei tre spiccioli di diritti che raccolgono. Ma alla fin fine perché questi scrittori "dilettanti" (nel vero senso della parola) dovrebbero preoccuparsi? Nessuna IA potrà mai togliere loro il diletto nello scrivere, se vogliono continuare a farlo; e ammettiamolo, alla fine non è che avessero poi così tanti lettori da farsi portar via. Al contrario: considerato che anche scrivere con una IA richiede tempo e fatica, non mi meraviglierei se venisse fuori che cercare di sostituire gli autori dilettanti si rivelasse antieconomico. Dopotutto, una IA non è certo disposta a pagare per partecipare a un concorso, e di sicuro non si affretta ad acquistare decine di copie del proprio libro (a prezzo pieno!) per il solo gusto di farlo salire nella classifica di Amazon.
Potrei continuare, ma credo di aver già detto abbastanza.
Seconda riflessione, da lettore:
Leggo una storia, magari mi piace pure un sacco, ma alla fine scopro che "l'autore" è una rete neurale: come reagisco?
Come riposta ci starebbe bene la nota espressione di Zerocalcare, che però non posso usare perché possono esserci lettori minorenni in ascolto; la sostituisco perciò con una ben più anodina "ecchissene?"
E sì, perché se invece scopro che il mio "autore" preferito è in realtà due pseudosconosciuti (The Expanse), o tre sceneggiatori (la spagnola "Carmen Mola"), o un unicorno in pensione (la nostra Ferrante), che cosa dovrebbe cambiare?
La rinomata "creatività" umana? Posso ridere, vero?
La questione della presunta "originalità" delle storie era già vecchia ai tempi dei Greci. Fatevene una ragione: le storie "originali" sono finite con Erodoto, tutte quelle successive sono rifritture -- inclusi Dante e Shakespeare, che saccheggiavano a piene mani materiale da storie preesistenti. La grandezza di questi autori non sta nella "originalità" dei contenuti, ma nella forma che hanno saputo dar loro e nei significati che hanno saputo trovarci e aggiungerci. E se a un lettore la Commedia o il Macbeth sembrano "originali", vuol semplicemente dire che non conosce le fonti da cui gli autori hanno attinto (non vale la pena di andarsele a cercare, comunque: erano semplici scopiazzature di opere precedenti).
Mettere gli alieni al posto dei Tebani, o tre soli dove prima stava una semplice siccità, non vuol dire essere originali, ma solo sapere come si rifrigge una storia -- e la chiave per farlo è la varietà del materiale da cui partire.
Non è un caso se i bravi autori sono anche lettori forti: sono questi ad avere la migliore varietà di ingredienti a disposizione; ed è proprio per questo che non mi meraviglierei affatto se una IA si rivelasse un autore migliore di molti umani che conosco (Marvel, sei in ascolto? Vogliamo parlare della qualità delle sceneggiature MCU, specie negli ultimi tempi?)
Diciamocelo sinceramente: da lettore, e visto l'andazzo recente, una bella scrollata all'albero non può che farmi piacere.
Terza riflessione, etica (mapersulserio?):
Da lettore mi nutro di letture, così come da ghiottone mi nutro di ghiottonerie -- ma cosa succede se scopro (orrore!) che il mio succulento cheeseburger non era stato cucinato da Cracco in persona ma da un semplice stagista nel retro del suo ristorante?
Ehmmm... fatemi pensare... direi... nulla?
Però voi mi direte: ah, ma il cheeseburger era marcato Cracco e te l'hanno fatto pagare per tale!
E allora? Tanto per cominciare, (a) è Cracco che ha assunto lo stagista, e sempre lui quello che ci mette la faccia; (b) se un cheeseburger di Cracco è buono quanto uno del suo stagista, allora il problema è di Cracco, mica mio; e (c) se ho pagato 100€ per un cheeseburger (indipendentemente dall'autore), allora sì che il problema è mio, ma a livello da ricovero in neuropsichiatria. Comunque sul menù il prezzo c'era scritto, e il cheeseburger l'ho ordinato e me lo sono mangiato. Se non valeva il prezzo, vorrà dire che il prossimo lo prenderò al fastfood.
Sul serio: cosa vogliamo fare, pretendere che sulla copertina ci sia scritto se l'autore ha collaborato con una IA? Ok, ma poi non lamentatevi se i libri così firmati venderanno più degli altri, perché considerando gli autori che circolano di questi tempi, il risultato sarà quello: all'inizio questi libri "marchiati" venderanno di più per semplice curiosità, alla lunga perché la IA diventerà una garanzia di relativa qualità della storia -- un minimo contrattuale, se vogliamo dirla così.
E poi, IA a parte, non sarete mica così naif da credere che un libro scritto da "GRANDE AUTORE con Pinco Pallino" sia stato scritto davvero da GRANDE AUTORE, vero? Se va bene, GRANDE AUTORE il libro l'ha distrattamente sfogliato prima che andasse in stampa... ma è difficile, perché i GRANDI AUTORI hanno ben altro da fare che leggere i libri che firmano. Ciò nonostante: se il libro vende, il merito è tutto di GRANDE AUTORE; se non vende, è colpa di Pinco Pallino -- licenziatelo.
Etica? Nell'editoria? E soprattutto in Italia? Ma dite sul serio?
Grazie ad Alain Voudi' per lo stemperare corollario.
P.s.
La memoria mi richiama un racconto che lessi diversi anni fa ma di cui non ricordo titolo e autore.
In sostanza mi pare si parlasse proprio di un' intelligenza artificiali che sostituiva gli scrittori nella redazione dei romanzi. Questi ultimi si dovevano limitare ad inserire in un elaboratore solo un accenno di trama e se questo era "gradito" dal computer (ovvero ritenuto potenzialmente vendibile) la macchina provvedeva a sviluppare il testo.
Il "nostro" protagonista ... scrittore arrabbiato per questa piega dell'editoria ... ideava una trama nella quale uno scrittore si ribellava e manometteva il computer ...
... morale riceveva un feed back pienamente positivo dalla IA ... che se non ricordo male proseguiva anche mentre lo scrittore effettivamente iniziava a danneggiare la macchina
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