Ammettetelo, dopo aver visto la terza serie di Star Trek: Picard anche voi avete immaginato una scena come questa: Alex Kurtzman, produttore esecutivo dell’universo Trek, nella sua stanza del comando che controlla i dati di ascolto di Star Trek: Discovery e Star Trek: Picard, sul suo tablet legge le petizioni dei fan e i loro commenti, fa una smorfia e batte sulla tastiera del PC per qualche minuto, poi si toglie gli occhiali allungandosi sulla poltroncina, chiude gli occhi e dice: “Diario del capitano. Data Astrale sconosciuta. Dopo aver esaminato gli esiti delle missioni in corso ho deciso di operare un cambio di rotta. Pur riconoscendo la necessità e l’utilità di intraprendere nuove modalità di esplorazione e interazione devo ammettere che le rotte battute fino ad ora non hanno sortito l’effetto desiderato. Ho appena finito di delineare i nuovi percorsi. È giunto il momento che le navi di Starfleet ed i loro equipaggi ritornino ad avere il ruolo che hanno sempre avuto, percorrere la via delle stelle portando con loro i sogni e le speranze dell’umanità. Una volta registrato questo messaggio terrò un lungo briefing con gli ufficiali comandanti.”
E in quel momento sono nate Star Trek: Strange New Worlds e la terza stagione di Picard.
Sicuramente nulla di tutto ciò è accaduto in questo modo, ma, ammettiamolo, qualcosa deve esserci stato, altrimenti come potremmo spiegarci questo ritorno alle origini che pervade Strange New Worlds fino ad “infettare” anche la terza stagione di Picard (dopo una prima apprezzabile ed una seconda francamente buttata alle ortiche senza se e senza ma)?
Stiamo parlando di puro Fan Service? No, siamo tutti d’accordo che troppo Fan Service è deleterio, ma se per non utilizzarlo si cerca di andare da tutt’altra parte si rischia di denaturare del tutto la serie. Ridiciamocelo una volta ancora, Star Trek TOS è stata la prima serie ad affrontare questioni come il razzismo, la creazione, anni dopo della razza dei Trill è stato quanto di più arguto potesse accadere per introdurre l’argomento del gender fluid, e insieme a queste tematiche non si è mai perso di vista il principio dell’IDIC (infinite differenze in infinite combinazioni). Non rispettare questi concetti sarebbe come volere Starfleet senza le astronavi “a disco” e i vulcaniani a bordo. Le variazioni possono esserci, talvolta anche le modifiche, ma gli ingredienti fondamentali sono e restano quelli.
È sempre necessario ricordare che stiamo parlando di una serie televisiva di argomento fantascientifico il cui scopo è intrattenere una audience abbastanza vasta da permettere di produrne più di una stagione, ovvero di qualcosa che contribuisce al divertimento di chi la guarda, divertimento che comprende momenti di tensione, commozione, felicità e tristezza, sempre legati alle vicende dei protagonisti e alle loro storie, ma che non dovrebbe contenere, però, la delusione, la sensazione di star guardando qualcosa che si potrebbe definire “vorrei ma non posso”.
Questa sensazione, purtroppo, ci ha accompagnato talvolta nella visione di serie non solo appartenenti al mondo Trek, ma anche quelle di altri franchising come Star Wars e Marvel o superpubblicizzate produzioni di piattaforme come Amazon, Apple e Netflix.
L’enorme offerta di serie, ormai è chiaro, non sempre è stata accompagnata da una qualità di alto livello, e in parte questo è da ascriversi alla ricerca di nuove fette di audience, cosa peraltro giustificabilissima. È un po’ come se improvvisamente gli appassionati di Basket iniziassero ad averne abbastanza smettendo di seguirlo in televisione perché magari le squadre non giocano più bene come una volta. L’idea eccezionale per recuperare gli ascolti e aggiungerne di nuovi magari proposta da un qualche creativo rampante potrebbe essere di mixare il basket con Floor Is Lava. L’idea, perché no, funziona per una stagione ma prima o poi gli spettatori diranno: “Però questo non è basket” e quando torneranno in campo un paio di squadre che sfoggiano un bel gioco appassionante il campionato rifiorisce e gli spettatori tornano.
Secondo tutta una serie di analisi che vengono condotte sui nuovi media e la fruizione dello streaming la televisione come la conosciamo con i canali generalisti che mescolano news, spettacoli ed altro, è destinata a scomparire, inoltre con l’affermarsi dei reel sui social anche i tempi di attenzione delle nuove generazioni si stanno adeguando. E non sarà stravolgendo gli universi narrativi che le case di produzione si assicureranno enormi fette di spettatori, ma cercando nuove strade, e va del tutto sottolineato l’aggettivo “nuovo”.
I franchising storici come Star Trek, prima o poi, moriranno, nonostante tutti gli sforzi che si potranno profondere per mantenerli in vita, e questo semplicemente perché i milioni di fan finiranno per ridursi a poche migliaia non più appetibili sul mercato.
Ma finché ci sarà la possibilità di averne, finché ci saranno i milioni di fan in tutto il mondo sappiamo che quando gli verrà dato una nuova serie, un nuovo episodio, un nuovo equipaggio, faranno di tutto per affezionarsi a loro e seguirli per più di una stagione. Il lavoro certosino di equilibrio tra la voglia di sperimentare e il non allontanarsi troppo dal solco tracciato precedentemente è quello per cui vengono pagati i produttori e gli sceneggiatori e questo (permettetemi di dirlo in pieno appoggio allo sciopero in corso da parte della WGA negli USA) è qualcosa che va ben retribuito e fatto fare a chi ha lavorato e sudato per farlo.
E a proposito dello sciopero degli scrittori, tra le preoccupazioni della WGA c'è la questione dell'intelligenza artificiale. La preoccupazione è che gli studi utilizzino l'intelligenza artificiale per generare materiale originale, perfezionare sceneggiature esistenti o bozze di sceneggiature, e la Writers Guild sta lavorando per regolamentar come e quando l'intelligenza artificiale può essere utilizzata. Trattandosi di Star Trek, la situazione è ironica: dopotutto, i personaggi di Star Trek sono stati tormentati dall'IA malvagia sin dal debutto del franchise nel 1967, e poi dai supercomputer malevoli alla cibernetica ostile ai doppelganger androidi. Star Trek non ha una teoria unificata dell'intelligenza artificiale (in effetti, le continue domande di The Next Generation sulla sensibilità e l'anima di un comandante androide costituiscono alcune delle migliori visioni del franchise), ma di certo non ha mai evitato di raccontare storie di ammonimento sull'automazione mostrando sempre un enorme fiducia nel libero pensiero umano in aperta opposizione alla assimilazione in un alveare di corpi cibernetici in una mente collettiva.
Tuttavia, cosa ci riserverà il futuro non è dato saperlo con certezza.
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