Sarà per deformazione professionale o per inclinazione personale, confesso di avere sempre coltivato una certa curiosità verso le leggende urbane, meglio se pseudoscientifiche. Qualcuno forse ricorderà che, nei primi anni 2000, circolavano sulle emittenti televisive del Belpaese trasmissioni indimenticabili sull’argomento. Impossibile non citare quelle condotte da Roberto Giacobbo che passava con disinvoltura e dedizione dalle peripezie spazio–temporali di John Titor, ai found footage dell’Area 51, dalle profezie di Nostradamus al misterioso volto di Cydonia ben visibile sul suolo marziano.
La mia storia preferita è quella sull’esperimento di Filadelfia. Trovo che, dal punto di vista narrativo, sia costruita molto bene: è ricca di dettagli plausibili (anche se tutti falsi, ma poco importa…) e suggestioni fantascientifiche avvincenti.
Ci sono molte versioni della vicenda, quella che conosco meglio comincia nel 1955 con un pacchetto consegnato all’U.S. Office of Naval Research. Sul pacchetto c’è scritto “felice Pasqua”, il mittente è Carl M. Allen. All’interno dell’involto c’è una copia del libro The Case for the UFO: Unidentified Flying Objects di Morris K. Jessup (autore controverso la cui vita, segnata da ossessioni, fallimenti e drammi, sarebbe un ottimo soggetto per un romanzo o un film). Le annotazioni al libro – scritte con grafie diverse in modo da simulare tre misteriosi autori, forse alieni, non si sa… – esprimono preoccupazione: Jessup è molto vicino a scoprire il segreto della propulsione degli UFO e sa troppe cose sugli extraterrestri.
Ovviamente i funzionari della Marina Americana ignorano il pacco. Allen decide di rivolgersi direttamente a Jessup. A dire la verità non si sa se si tratti di Allen, a Jessup si presenta come Carlos Miguel Allende. Allen/Allende mette in guardia Jessup, le sue teorie che legano l’elettromagnetismo al controllo della gravità sono già state studiate nientemeno che da Albert Einstein (falso come una banconota da sei euro) ma sono ancora acerbe e pericolose, c’è un precedente grave secretato dalla Marina Americana che lo scrittore deve conoscere.
E qui entra in scena la USS Eldridge.
A volte succede agli scienziati di scoprire qualcosa mentre si sta cercando altro. Il 28 ottobre del 1943 il team scientifico che lavorava per la Marina Militare degli Stati Uniti, stava cercando un modo per rendere invisibili non solo alla vista ma anche a radar e sonar le proprie navi, invece avrebbe scoperto qualcosa di molto più radicale.
A guida delle sperimentazioni c’è il dottor Franklin Reno (mai esistito). La nave su cui si svolge l’esperimento è il cacciatorpediniere USS Eldridge all’epoca dei fatti all’ancora nel porto di Filadelfia (uno dei tanti falsi dettagli, stando ai documenti ufficiali la nave, tra l’agosto e il dicembre ‘43, era ancorata a New York). Alle ore 17:15 viene attivato il dispositivo di occultamento sulla Eldridge.
In quel preciso momento Allen/Allende è a bordo del mercantile SS Furuseth anch’esso nel porto di Filadelfia o forse a Norfolk, non è chiaro, fatto sta che diventa testimone oculare dell’esperimento.
Cosa vede?
La Eldridge scompare in una nebbia verdastra e, nello stesso istante, la nave compare nel porto di Norfolk, in Virginia, a circa 320 chilometri di distanza per poi tornare istantaneamente a Filadelfia. In pratica la Marina aveva appena testato per sbaglio un dispositivo di teletrasporto funzionante.
Nel caso ci fossero dubbi, no, l’esperimento non c’è mai stato.
I reduci della Eldridge e della Furuseth negano di aver mai partecipato o visto nulla di quanto riferisce Allen/Allende. Certo, si potrebbe obiettare che si tratti di un complotto per nascondere una verità scomoda, qualcosa che non si può provare a meno che – come suggeriva Allen/Allende – i coinvolti non si sottopongano a ipnosi o alla macchina della verità.
Due cose mi hanno sempre colpito di questa storia: la distanza infinitesimale che separa i fatti dalla fantasia può essere accorciata ad arte gonfiando le fantasie con il maggior numero possibile di dettagli e insinuando il dubbio, molte delle tecnologie descritte in questa leggenda urbana finiranno in film (tra cui Philadelphia Experiment di Stewart Raffill, del 1984), telefilm e libri di fantascienza e, in alcuni casi, diventeranno realtà, come, per esempio, la tecnologia Stealth per rendere invisibili ai radar gli aerei spia e i bombardieri. Se è vero, come diceva Philip K. Dick, che la realtà è ciò che si rifiuta di sparire anche quando smetti di crederci, quanto può essere reale qualcosa in cui vuoi credere nonostante non ci siano prove?
1 commenti
Aggiungi un commentoVabbè ma è ovvio che i dettagli non corrispondano ai documenti ufficiali: se l'esperimento è segreto, è normale che ad esempio la nave risulti ancorata a New York invece che a Philadelphia in quel periodo. Di per sé i documenti ufficiali non servono a smentire o confermare teorie come queste.
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