Una delle questioni da sempre discusse in fantascienza è non solo se questo genere abbia o meno un ruolo nell’elaborazione di previsioni sul futuro dell’umanità e del nostro pianeta, ma anche che tipo di influenza possa avere sullo sviluppo tecnologico e scientifico del futuro.
A giudicare da quello che vediamo quotidianamente attorno a noi, una indubbia commistione tra fantascienza e futuro c’è: il famoso Motorola Star Tac avrebbe avuto una forma diversa se negli anni sessanta Kirk non avesse usato un comunicatore simile nella serie originale di Star Trek? E sempre per rimanere nello stesso ambito, i tablet non sono forse la realizzazione dei D Padd sempre di ambiente trekkiano?
E questo solo per rimanere nel grande assortimento dei dispositivi elettronici.
Se invece andiamo a scomodare le previsioni di stampo sociologico e storico futuribile da un lato dobbiamo constatare che la titanica corsa allo spazio e alla sua colonizzazione non hanno ancora trovato la loro via, mentre invece grandi minacce planetarie capaci di minacciare l’estinzione dell’umanità, come una nuova peste o la guerra nucleare, sono molto attuali, anche troppo.
Aprire un discorso simile, però, rischia il pericoloso sconfinamento nelle teorie complottistiche che hanno trovato, di volta in volta, man forte in film quali Matrix, Terminator o Essi Vivono (quello dove il protagonista con un paio di occhiali speciali riusciva a vedere il vero volto da zombie di chi lo circondava e leggere il vero significato di insegne e pubblicità).
Tuttavia una delle previsioni più preoccupanti, è quella di Pohl e Kornbluth nel loro romanzo I Mercanti dello Spazio del 1953, proprio in merito a questo romanzo, Carmine Treanni, nella recensione pubblicata su Fantascienza.com nel 2004 in occasione della riedizione del romanzo per la collana Urania Collezione, dice: “I due autori mettono a nudo – grazie alla satira che sprizza dalla loro scrittura – le nefande aberrazioni del capitalismo avanzato, ponendo l'accento sull'annullamento dell'uomo in quanto essere vivente unico. Nel mondo che Pohl e Kornbluth hanno dipinto siamo tutti consumatori, schiavi di bisogni creati da multinazionali senza scrupoli. Ne emerge un ritratto dell'America in cui la morale dell'uomo è al servizio della merce, dove anche i poveri sono indotti a consumare.”
Parole che fotografano bene l’evoluzione liberista dell’economia mondiale, della globalizzazione del mercato e dei consumatori.
Risalendo ancora a monte, poi, Huxley e Orwell con Il Mondo Nuovo e 1984, descrivono società impegnate a riscrivere storia e cronaca in modo da reinterpretarle di volta in volta nell’ottica dell’egemonia governante utilizzando a tale scopo perfino le giustissime istanze di inclusività totale.
Già, ma dove vogliamo andare a parare?
Semplice. Non vi è mai capitato, negli ultimi anni, di sentirvi come dentro un romanzo, racconto, film, episodio di fantascienza? Direi spesso, anche ultimamente con l’inizio della discussione sull’Intelligenza Artificiale.
Il bello (o il brutto a seconda di come vogliamo considerarlo) è che il tutto avviene spesso incontrando la parte peggiore di quei personaggi e trame che conosciamo, quella che racconta di quanti fanno finta di non vedere, sottovalutare, di chi invece di cercare di far reagire l’umanità come un solo popolo di un solo pianeta (che visto dallo spazio è davvero ben poco) preferisce alimentare divisioni pur di salvare il proprio orticello o lucrare sulle disgrazie mondiali, dalle guerre alle pandemie.
Con queste persone, purtroppo, la fantascienza non è servita a niente, la sfida del genere che ci piace non è riuscita nemmeno lontanamente a stimolarci ad essere più attenti alla vera globalità, innanzitutto all’ambiente che ci circonda e che abbiamo irrimediabilmente compromesso.
Il vantaggio delle storie con le quali siamo cresciuti è che quasi sempre presentavano sempre una luce in fondo al tunnel, una soluzione di speranza, e allora vogliamo continuare a pensare che ci sia anche nella realtà.
Altrimenti non resta che la celebre frase di James Branch Cabell: “The optimist proclaims that we live in the best of all possible worlds; and the pessimist fears this is true. (da Lo stallone d'argento, 1926, cap. XXVI).
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