In Italia siamo abituati agli scioperi: un giorno in cui non si lavora, si fa qualche comizio, i telegiornali ne parlano un po' e finita lì. In altri paesi, come gli Stati Uniti, lo sciopero è molto più raro, spesso le aziende fanno fuori senza problemi chi fa agitazione, aderire ai sindacati mette a rischio la carriera. Ma quando una categoria decide di fare sciopero, allora lo prendono molto sul serio. L'ultima volta che gli sceneggiatori decisero di scioperare, nel 2007, la cosa andò avanti per quattordici settimane (più di tre mesi), e causò all'industria dell'intrattenimento una perdita stimata, a seconda delle fonti, tra i 400 e i 1500 milioni di dollari. Tra le serie che ne furono danneggiate ci fu anche Breaking Bad, che fu costretta a una prima stagione di soli sette episodi.
Da allora il mondo è cambiato. Prima chi scriveva per la tv prendeva soldi quando una serie andava in onda, poi ancora quando veniva ritrasmessa su canali minori, e qualcosa ancora quando veniva venduta in dvd. Queste fonti di introiti "residuali" ora non esistono più. Le serie in gran parte non vanno più in televisione: vanno sugli streaming. Venduta la serie a Netflix, Amazon o chi per loro, la pacchia è finita: non ci saranno repliche o riproposizioni. Il mercato dei dvd è prossimo all'estinzione. I guadagni degli sceneggiatori non sono più adeguati.
E sì, certo, noi perderemo qualche episodio, qualche nuova stagione che attendevamo tarderà più del previsto (gli streaming assorbono il problema molto meglio delle reti televisive, tra l'altro, che i palinsesti li devono riempire lo stesso), ma in compenso assistiamo a uno spettacolo forse ancora più bello: vedere gente che si batte per i suoi diritti.
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