Nel 1939, in un lungo articolo sul “The Saturday Evening Post” del 29 luglio, intitolato How to became a great writer (Come diventare un grande scrittore), il premio Pulitzer Alva Johnston si chiedeva come identificare un “grande scrittore”, uno davvero bravo, visto che tutti in realtà pensano di esserlo e spesso lo dichiarano apertamente, magari solo per avere un manoscritto chiuso in un cassetto. Insomma, per Johnston sembra che in ogni americano dell’epoca si nasconda un romanziere. Così, il giornalista propone un metodo: prendere il più grande scrittore vivente e analizzare i fattori che lo hanno portato a tale risultato. E qui il premio Pulitzer spiazza tutti i critici letterari dell’epoca, affermando che Edgar Rice Burroughs dovesse essere considerato il più grande di tutti.
L’affermazione scatenò un profluvio di polemiche. Come può un autore di romanzi avventurosi e fantascientifici, tutt’al più buoni da far leggere ai ragazzini, uno che pubblica le sue storie in prima battuta sui pulp magazine, le riviste che normalmente venivano lette e poi buttate via, essere il più grande scrittore vivente?
Alva Johnston giustificò con rigore quella che sembrava una provocazione, ma che in realtà per il Premio Pulitzer non lo era. Propose un vero e proprio test da sottoporre all’aspirante autore per essere valutato il più grande. Bisognava prima di tutto misurare la dimensione del suo pubblico, perché se vuoi essere il più grande di tutti, allora il tuo pubblico deve necessariamente essere vasto, molto vasto. Il secondo criterio riguardava lo stabilire quanto un personaggio creato dall’autore in questione si fosse sedimentato in quella che Johnston chiama “la coscienza del mondo”. In altre parole, il successo stesso del personaggio, che deve essere conosciuto sempre da un pubblico molto ampio di lettori. Infine, la probabilità che le opere dello scrittore siano lette anche dai posteri.
Il riferimento letterario di Alva Johnston era, ovviamente, Tarzan, che allora era nel pieno della sua fama non solo letteraria, ma anche cinematografica, grazie alle numerose trasposizioni. Ma non solo. Esistevano all’epoca programmi radiofonici, serial cinematografici e fumetti a strisce con cadenza quotidiana sui giornali che riscuotevano grande successo.
A oltre ottant’anni di distanza da quel test proposto dal Premio Pulitzer, possiamo dire che aveva ragione, non solo perché la fama di Tarzan è tutt’ora imponente, ma per il fatto che anche le altre opere di Burroughs vengono continuamente ristampate in tutto il mondo.
Nel suo articolo, Alva Johnston ripercorre le principali tappe della vita dello scrittore americano, i suoi mille mestieri e le sue fallimentari imprese, perché è proprio la vita di Burroughs che può essere d’insegnamento per gli aspiranti scrittori. Ricorda anche di come, dopo la pubblicazione di Sotto le Lune di Marte, il suo primo romanzo, sulla rivista All-Story, il suo editore lo fece studiare per scrivere un romanzo sulla “Guerra delle due Rose”, la sanguinosa faida dinastica combattuta in Inghilterra tra il 1455 e il 1485 tra due diversi rami della casa regnante dei Plantageneti: i Lancaster e gli York. L’idea di Thomas Newell Metcalf, l’editore della rivista, era quella di fare di Burroughs il nuovo Walter Scott, che su questo episodio storico aveva scritto il romanzo Anna di Geierstein. Burroughs lo accontentò e scrisse il romanzo The Outlaw of Torn, ma Metcalf lo rifiutò; così tornò a pescare a piene mani solo dalla sua fantasia e allora partorì Tarzan delle scimmie, il romanzo che lo rese celebre in tutto il mondo. Per Johnston c’era solo un altro personaggio fantastico che aveva rapito i cuori di lettori in tutto il mondo e quel personaggio era Topolino, ma come ammise il Premio Pulitzer apparteneva a un’altra area dell’arte.
In seguito alle polemiche che l’articolo di Johnston suscitò, lo stesso Edgar Rice Burroughs si sentì il dovere di intervenire, affermando che le sue opere non erano letteratura e che lui al massimo poteva essere considerato un intrattenitore, come un ballerino di tip tap o un clown.
Questo “ballerino di tip tap”, nel momento in cui veniva descritto come il più grande scrittore vivente, aveva pubblicato 21 romanzi di Tarzan, 8 romanzi del ciclo di Marte, 5 del ciclo di Pellucidar e 3 di quello di Venere.
Oltre a queste sue quattro principali serie di avventure, Burroughs aveva dato alle stampe tra il 1912 e il 1939 molti altri singoli romanzi d'avventura, tra cui The Cave Girl (1925), in cui un debole aristocratico si trasforma in un guerriero, due romanzi western su un Apache bianco, The War Chief (1927) e Apache Devil (1933), che mostrava simpatia per i nativi americani, e Beyond The Farthest Star (1964), un romanzo di fantascienza sulla brutalità della guerra.
Senza dimenticare la meno nota trilogia di romanzi di La terra dimenticata dal tempo (The Land that Time Forgot, 1924), che comprende tre brevi testi: The Land that Time Forgot, The People that Time Forgot e Out of Time’s Abyss, tutti del 1918 e apparsi sulla rivista Blue Book Magazine, ambientata su un’isola misteriosa vicino al Polo Sud, dove sono sopravvissuti dinosauri e altre specie primitive.
Di questo periodo, fa parte anche il romanzo The Lost Continent, la cui storia editoriale è singolare. Con il titolo Beyond Thirty, uscì per la prima volta nel fascicolo del febbraio del 1916 della rivista All-Around Magazine. Il romanzo, in seguito, fu del tutto “dimenticato” dagli editori di Burroughs, che non mancavano di riproporre in volume ciò che lo scrittore pubblicava a puntate o per intero nei pulp magazine. Di questo affascinante romanzo, si ricordò quasi quarant’anni dopo la pubblicazione e cinque dopo la morte di Burroughs un fan americano di fantascienza, che aveva dato vita a una piccola casa editrice di livello amatoriale. Il suo nome era Lloyd Arthur Eshbach e aveva cominciato a leggere fantascienza all’età di quindici anni.
Come molti altri fan americani dell’epoca, scriveva lettere alle riviste, che spesso venivano pubblicate, e diede vita a una fanzine, una rivista amatoriale realizzata per l’appunto dagli appassionati, dal nome di The Galleon e come tanti altri cominciò a scrivere racconti, alcuni dei quali venivano pubblicati anche dalle riviste dell’epoca. Tuttavia, l’attività più rilevante di Eshbach fu quella di dar vita nel 1946 a una vera e propria casa editrice, seppur molto piccola: la Fantasy Press che, come indica il nome, era specializzata in titoli di fantasy e fantascienza.
La casa editrice stampava titoli con una tiratura molto limitata, ma aveva il pregio di curare molto i libri, che erano stampati su carta di qualità, con copertine rigide e con un’illustrazione accattivante. Le tirature erano molto limitate, di solito venivano stampate 3750 copie, ma le prime 250 o 500 copie erano fornite di una targhetta inserita dopo il frontespizio numerata e autografata dall'autore. Nel corso della sua vita editoriale, la Fantasy Press pubblicò 46 titoli attingendo a scrittori quali E.E. Smith, Jack Williamson, Robert A. Heinlein e John W. Campbell.
Il modus operandi di Eshbach era quello di contattare direttamente gli scrittori e acquisire i diritti di quei romanzi che erano apparsi solo sulle riviste, e magari a puntate, per fornire la prima edizione in formato libro. Gli scrittori erano contenti di far uscire la prima edizione delle loro opere con la Fantasy Press, pur sapendo della scarsa distribuzione del testo, perché la cura che Eshbach metteva nelle edizioni era proverbiale. Ed è così che è nata la prima edizione di The Lost Continent, un romanzo che il fan ed editore americano si ricordava di aver letto molti anni prima. Il libro uscì con il titolo originale di Beyond Thirty, ma nel caso specifico, Eshbach non aveva l’autorizzazione a pubblicare l’opera, i cui diritti erano detenuti dalla società di Burroughs dopo la morte dello scrittore. La tiratura fu molto molto limitata: solo 300 copie.
Sempre nel 1955, tuttavia, la Fantasy Press chiuse, anche se il suo modo di curare i libri fece in qualche modo scuola, tanto che molti editori alzarono il tiro proponendo edizioni cartonate, ben rilegate, stampate su carta qualitativamente superiore a quella dei vecchi pulp magazine e con illustrazioni disegnate da alcuni dei migliori illustratori dell’epoca. Il mercato, che fino alla metà degli anni Quaranta sembrava una prateria, ora era saturo di libri di fantasy e fantascienza, pubblicati da molte case editrici specializzate o che pubblicavano altro, ma avevano una sezione dedicata a questi filoni della narrativa.
Una di queste case editrici, la Science-Fiction & Fantasy Publication, ripropose il romanzo di Burroughs nel 1957, a soli due anni dalla prima edizione di Fantasy Press, con il titolo Beyond Thirty e The Man-Eater. Il libro era una raccolta di due romanzi brevi, il secondo dei quali era una storia ambientata nella giungla del Congo Belga che fu pubblicata per la prima volta a puntate sul quotidiano “New York Evening World”, dal 15 al 20 novembre del 1915.
Una terza edizione del romanzo fu pubblicata dalla Ace Books nel 1963, casa editrice fondata nel 1952 e la più longeva tra quelle che pubblicavano romanzi di fantasy e fantascienza, tra le alte cose tutt’ora in attività. In questo caso, il romanzo venne stampato in formato paperbacks, corrispondente al nostro tascabile, e uscì con un titolo diverso, per l’appunto The Lost Continent.
Con questa pubblicazione, la storia di Burroughs arrivò a un grande pubblico, grazie anche alla spettacolare illustrazione di copertina di Frank Frazetta, uno dei più importanti pittori e illustratori americani. La Ace ripropose il titolo, ma stavolta in un formato più grande, nel 1973 e poi fino al 1981. A questo punto The Lost Continent era diventato un piccolo classico nel pantheon della narrativa del creatore di Tarzan.
Successivamente, uscirono altre edizioni per varie case editrici, tra cui segnaliamo per la Ballantine-Del Rey nel 1992, con la copertina di Michael Herring; per la Bison Books nel 2001, con copertina di R.W. Boeche; sempre nel 2002 uscì un edizione commemorativa per Frontiers of Imagination con una introduzione dello scrittore David Brin; altre edizioni uscirono per la House of Greystoke nel 2017 e sempre in quell’anno per la casa editrice Dum-Dum uscì un’edizione speciale per un evento dedicato a Burroughs curato da Michael Hatt, con prefazione e note di Martin Powell e Robert Barrett e copertina di Oscar Gonzales. L’ultima edizione americana è del 2021, realizzata dalla Fiction House Press.
Dal punto di vista squisitamente letterario e fantascientifico, Il continente perduto presenta alcuni dei temi classici cari allo scrittore americano, come l’orrore per la guerra, lo scontro-incontro fra l’uomo e la natura, la messa in discussione o la ricerca di un’identità, che quasi sempre investe il protagonista delle storie, il significato più profondo del concetto di civiltà; non mancano tematiche che oggi verrebbero considerate censurabili, come la superiorità dell’uomo bianco e l’esaltazione della mascolinità.
In ogni caso, un concetto che deve essere ben impresso a chiunque affronti un qualsiasi testo dello scrittore americano è che il fine ultimo che si proponeva con la sua narrativa non era altro che l’intrattenimento, il divertimento, il consentire al lettore di svagare con la mente per qualche ora. Burroughs non manifesta nessun intento moralistico, non vuol educare né offrire modelli di vita con i personaggi delle sue storie.
Partiamo dalla fonte ispiratrice della storia: la Prima guerra mondiale. Burroughs, come molti suoi connazionali, rimase colpito dal conflitto che vedeva da un lato le forze belliche dell’Impero tedesco, di quello austro-ungarico e di quello ottomano e dall'altro lato la Francia, il Regno Unito e l’Impero russo (che cadrà nel 1917). In seguito scesero in campo anche l’Impero giapponese, il Regno d'Italia, gli Stati Uniti e le colonie britanniche, fatto che rese il conflitto, il primo della storia, di portata mondiale.
Gli americani entrarono nel conflitto il 6 aprile del 1917, dichiarando guerra alla Germania. Tra i tanti motivi, ci furono da un lato quelli economici, perché una vittoria austro-ungarica avrebbe compromesso i traffici commerciali nel Mediterraneo e nel Medio Oriente; le banche americane, inoltre, erano esposte con Gran Bretagna e l’Impero Russo, per cui una loro sconfitta poteva significare la bancarotta. I tedeschi, poi, attaccavano con i sottomarini le navi mercantili, tra cui anche quelle americane. La guerra era iniziata il 28 luglio 1914 e all’inizio gli americani guardarono con diffidenza a quel conflitto tutto europeo e scelsero un atteggiamento isolazionista.
Burroughs parte da questo fatto storico per il suo romanzo e immagina che gli Stati Uniti non solo si mantengano neutrali, ma decidano di isolarsi completamente dal resto del mondo. Nei successivi duecento anni, le Americhe hanno continuato a prosperare e si sono unite pacificamente nella Federazione Panamerica. Arriviamo così all’anno 2137. Il tenente della marina panamericana Jefferson Turck, comandante dell’aeromarino Coldwater, un mezzo di trasporto a metà tra un aereo e un sottomarino, è incaricato di pattugliare il 30° meridiano, dall’Islanda alle Azzorre, il confine che è vietato superare per qualsiasi panamericano, pena la morte. Un guasto agli schermi antigravitazionali della nave e la rottura della radio causano il superamento del confine. Turck si convince che dietro i guasti ci sia la mano del suo secondo ufficiale e quando insieme a tre membri cerca di riparare la nave a bordo di una piccola barca, viene abbandonato dal suo equipaggio. Per i naufraghi non c’è altra scelta che cercare di raggiungere Londra.
Nella premessa di tutto il romanzo, Burroughs disegna una vera e propria ucronia o storia alternativa, individuando, come prescrive questo filone della fantascienza, un punto di svolta della storia reale (l’ingresso degli Stati Uniti nella Prima guerra mondiale) e ne immagina un andamento diverso (gli americani restano indifferenti alla guerra che imperversa in Europa e, addirittura, scelgono di isolarsi completamente). Nel proseguo della storia, Turck e i suoi uomini approdano su Londra, ma non trovano la civiltà che si aspettavano, tutt’altro. Il protagonista salva una regina, s’imbatte in una orda di leoni selvaggi e combatte contro altri terribili nemici. Nella prima parte del romanzo, il protagonista non può non riflettere, e con lui il lettore, sull’orrore e le terribili conseguenze della guerra, che ha totalmente distrutto una secolare civiltà come quella europea, riportando le lancette della storia indietro di molte centinaia di anni.
Nel Continente perduto, e in molte altre opere dello scrittore americano, si avvertono due dei temi centrali della narrativa burroghsiana: l’incontro tra l’uomo e la natura da un lato e lo scontro tra la civiltà progredita del Ventesimo secolo con le culture arretrate o addirittura tribali. Burroughs ci propone queste tematiche attraverso due filoni della fantascienza, molto popolari all’inizio del Novecento: il Planetary Romance e il Mondo perduto. Il primo prevede l’esplorazione di un pianeta alieno, spesso primitivo rispetto alla Terra. In Il continente perduto, Turck e i suoi uomini esplorano la Gran Bretagna, ma è un mondo completamente selvaggio ed esotico, la civiltà è stata spazzata via dalla guerra ed è, in tal senso, un territorio completamente estraneo agli occhi dei personaggi del romanzo. Il riferimento più diretto, per restare alla narrativa di Burroughs, è il ciclo di romanzi su Marte, in cui John Carter, un avventuriero ed ex soldato sudista, è teletrasportato, suo malgrado, sul pianeta rosso, dove vive esotiche e avvincenti avventure, in un territorio che gli è completamente avverso e alieno.
Il Mondo perduto, invece, è ne Il continente perduto raffigurato dalle tribù primitive in cui s’imbatte Turck e nel territorio governato dai leoni, discendenti di quelli che erano racchiusi negli zoo duecento anni prima. Il filone, in questo, caso ha come ambientazione la Terra, laddove i protagonisti di queste storie scoprono un’isola o un territorio sotterraneo che è rimasto fermo nel tempo, a quella che è l’epoca cosiddetta preistorica, spesso con tanto di dinosauri come fauna principale.
Burroughs aveva sviluppato questo genere di storie nel suo ciclo di Pellucidar (in tutto composto da sette romanzi), con il primo romanzo Al centro della Terra (At the Earth's Core), pubblicato nel 1914 a puntate sulla rivista All-Story Weekly, in cui immagina che al centro del nostro pianeta ci sia un vero e proprio mondo, in cui vivono uomini primitivi, dinosauri e altri animali preistorici. A scoprirli, ovviamente, sono uomini civilizzati, nello specifico caso il magnate minerario David Innes.
Due anni dopo la pubblicazione di The Lost Continent, scrive la trilogia di romanzi La terra dimenticata dal tempo (The Land that Time Forgot), dove sviluppa appieno questa tematica e, guarda caso, ambienta anche questa durante la Prima guerra mondiale.
Non possiamo non tacere un certo sciovinismo presente in Il continente perduto, così come in molte opere di Burroughs: la superiorità dell’uomo bianco, e anche della società americana, sulle altre etnie che popolano il nostro pianeta. Un tratto, tuttavia, presente in quasi tutta la letteratura popolare dell’epoca, laddove i nemici sono sempre africani, orientali o alieni di altri pianeti.
La mascolinità è, poi, un altro tratto tipico della narrativa pulp: è solo al protagonista, maschio e bianco, che spetta il ruolo dell’eroe salvatore, del vincitore assoluto, sia nei confronti della natura selvaggia sia del nemico di turno. Ancora nel Continente perduto è sviluppato l’elemento romantico, anche questo ricorrente nella narrativa burroghsiana: che sia Tarzan, John Carte di Marte o David Innes c’è sempre una principessa o regina di cui il protagonista s’innamora e la cui salvezza di fatto diventa il vero motore della storia.
Il punto più interessante, tuttavia, di questo romanzo, ma di molta della narrativa di Burroughs, è la ridefinizione dell’identità dell’eroe principale: messo davanti ad avvenimenti, contesti o luoghi a lui completamente estranei, il protagonista deve ridefinire i suoi valori, mettere in discussione lo stile di vita che ha condotto fino a quel momento, confrontarsi a viso aperto con ciò che è più lontano dal suo modo di pensare. La sua identità viene letteralmente demolita e, qui, sta la grandezza di Edgar Rice Burroughs e del suo corpus letterario, a favore di un nuovo status, un differente modo di vivere. L’eroe burroghsiano riesce sempre a trovare una sua via d’uscita. In tal senso, è la metafora dell’America dell’inizio del Novecento, una nazione piena di contraddizioni, uscita solo da qualche decennio da una sanguinosa guerra di secessione, formata da un amalgama di etnie in perenne lotta per la supremazia, ma che comunque si candidava a essere leader del mondo moderno.
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