Se c’è una caratteristica che contraddistingue un trekker è quella di avere una buona resilienza alle avversità che deve affrontare per portare avanti la propria passione. Si parte dall’essere presi bonariamente in giro da chi di fantascienza non sa proprio nulla, a sentire confondere un famoso pediatra (Dottor Spock) con un ufficiale vulcaniano (Signor Spock), a dover abbozzare quando ti salutano dicendo “Che La Forza Sia Con Te” o magari sentirsi chiedere se Legolas è della stessa razza del Dottor Spock perché hanno le orecchie a punta uguali.
Questo indurisce il carattere e fa sì che il trekker convinto sappia sopportare anche lunghi periodi di deserto durante i quali il suo universo/fiction preferito non produce nulla di nuovo salvo qualche romanzo o fumetto occasionale (e in quei periodi si sopravvive attraverso i Giochi di Narrazione Online, ma questa è un’altra storia). Anche quando si passa al periodo delle vacche grasse, però, al trekker vengono richieste grandi prove di resilienza. Non sempre il materiale prodotto è realmente Trek, non tutto ha lo stesso sapore, non sempre produttori, sceneggiatori e registi sembrano aver capito cosa ha reso davvero popolare questa serie, cosa le ha fatto guadagnare una platea vasta e mondiale.
Ma la sua questa resilienza, poi, viene ripagata in un attimo da un episodio che mette in gioco tutto quello che ha reso Star Trek quello che è e continua a farlo.
Innanzitutto ci vuole una storia solida che presenti uno scenario senza alcuna via di uscita per i nostri eroi, come quella in cui una astronave di cacciatori di taglie dotata di armi di livello superiore e di un capitano senza scrupoli con tratti psicopatici e vendicativi si accanisce contro una astronave della federazione dove a bordo si trova l’ammiraglio portabandiera della federazione, quello tutto d’un pezzo, quello anche soprannominato “The Best of Two World” accompagnato dal suo fido braccio destro, entrambi invecchiati, acciaccati, provati dalla paternità, ma ancora capaci di rubacchiare una grossa astronave per correre in aiuto della damigella in pericolo, una delle nostre dottoressa preferite che, a quanto pare, non riesce una sola volta nella sua vita a crescere un figlio che sia vagamente normale mentalmente o nel comportamento.
La nave deve essere inizialmente al comando di un ufficiale antipatico, un vero idiota di Chicago dai nervi tesi allo spasimo pronto a dare giù di matto e scaricare fiele contro l’ammiraglio accusandolo /rivelando che in quel fondamentale momento in cui i Borg stavano per spazzare via la Federazione l’ammiraglio non combatteva dalla parte dei buoni, ma era proprio l’ammiraglio Locutus al comando del cubo più odiato. Mentre sempre a bordo, nella categoria vecchi amici, c’è la Borg tutt’ora più sexy che un trekker conosca pronta a collaborare non solo nella missione di salvataggio della dottoressa e di suo figlio ma anche nella pericolosa caccia al mutaforma nascosto sull’astronave con compiti di sabotatore.
Perché c’è un complotto ed un nemico nell’ombra: e questo nemico viene dalla Guerra del Dominio, ed è una frangia degli sconfitti che non si arrende ma cerca vendetta con ogni mezzo contro la Federazione. Tutto questo non basta, l’inseguimento senza quartiere deve spingere l’astronave dei nostri ad inoltrarsi in una singolarità astronomica: una nebulosa con al centro un pozzo gravitazionale che attira inesorabilmente l’astronave e il suo equipaggio facendoli letteralmente affondare.
In uno scenario del genere, e ben sapendo che non si tratta di una simulazione per cadetti dove una modifica del software può trasformare un giovanotto dell’Iowa in uno dei capitani più spregiudicati, il trekker rimane lì a pensare come diavolo si tireranno fuori da quella situazione. Il pensiero corre nei tubi di Jeffries del cervello alla ricerca di nozioni in Technobubble da applicare alla situazione: Q, purtroppo, pare sia morto nella stagione precedente e Wesley Crusher è in giro con i suoi amici fricchettoni ultragalattici a conoscere l’universo.
Ma la vecchia dottoressa, quella che in quattro e quattr’otto mette al suo posto la novellina responsabile dell’infermeria della Titan trattandola alla stregua di un collega olografico di facile spegnimento, forse proprio perché ne ha messi al mondo due (di figli) nota qualcosa nelle tempeste energetiche del pozzo gravitazionale. Stacco. C’è bisogno di un po’ di introspezione. L’ammiraglio e il capitano chiariscono le divergenze di comando, il capitano tira fuori il suo trauma e spinge l’amico ammiraglio a non perdersi l’occasione di specchiarsi in un figlio (che è anche figlio della dottoressa, quindi un tipetto da prendere con le molle, ma vabbeh) lui ci prova ma trova una resistenza che va ben oltre avere metà dei cromosomi di mamma.
La mamma, nel frattempo, elabora un’ipotesi sulle tempeste energetiche tanto da poterne prevedere l’insorgenza (dimostrando ancora una volta che intuito umano batte analisi computer di bordo due a zero) e parte la proposta technobubble. È il momento del riscatto e tutti insieme si mettono al lavoro, perfino l’idiota di Chicago che trova la sua giusta collocazione come meccanico. Ma non prima che Picard ricordi di avere risposto in un locale, cinque anni prima, ad un giovane civile, (dopo aver fatto uno show condiscendente ad un gruppo di adoranti cadetti) che la Flotta Stellare era l’unica famiglia di cui avesse mai avuto bisogno, e capisce solo oggi che quel giovane era suo figlio, ma non c’è tempo per altro, ora.
Ci siamo, si torna in plancia. Ryker cede il posto a Picard (esperto di volo alla cieca) che riesce a fare la sua manovra aggiusta giubba e poi…lo dice: “Make It So” (Lacrimuccia)
Il viscido mutaforma cerca di ingannare il capitano Shaw meccanico idiota di Chicago e Sette di Nove fingendosi la figlioletta di La Forge, ma Sette lo fulmina in stile Trinity senza manco dire: “Dodge this!”. Le gondole della Titan vengono aperte per farsi ricaricare dalla prossima scarica energetica del pozzo gravitazionale. Picard deve deviare l’energia dei sistemi vitali sui propulsori come aveva fatto tanti anni prima quando era guardiamarina birichino e incosciente per tornare da un rave party insieme all’amico Jack. Il Trekker trattiene il fiato anche se sa che ci riusciranno, ma quello che non sa è che la tempesta energetica cambierà del tutto la nebulosa. La Titan, con tutti i sistemi ricaricati, può così assistere alla nascita di migliaia di meduse stellari luminose, un vero parto di piccole nuove stelle, e la dottoressa Crusher commenta: “New life forms.”
Commozione.
Con Picard al suo posto anche Ryker diventa più tosto e si inventa una fionda con il raggio traente che lancia sull’astronave cacciatrice un grosso asteroide, la Titan finalmente può entrare in curvatura portando tutti in salvo.
Siamo solo al quarto episodio della terza stagione, ce ne voglio altri sei prima che la serie finisca.
Ma un vero Trekker con un episodio del genere è capace di andarci avanti anche quindici anni rivedendolo, perché averlo visto è esattamente quello di cui aveva bisogno, quello che ogni volta lo spinge ad accordare fiducia a ogni progetto Trek, nella speranza di non essere deluso.
Quello che ci fa sognare come dei ragazzini, ogni volta, tornando sulla strada delle stelle.
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