Tra i romanzi ascrivibili alla distopia e pubblicati nella prima metà del Novecento un posto d’onore merita sicuramente il romanzo Kallocaina (1940), che si deve alla scrittrice svedese Karin Boye. La storia narra della scalata di Leo Kall, un chimico che ha inventato una droga, la kallocaina, che agisce su chi la prende come un siero della verità, costringendo a rivelare anche i pensieri più intimi. Uno strumento perfetto per il regime mondiale. Boye traccia una distopia dove il controllo delle masse avviene a livello della singola coscienza. Le persone, infatti, sono convinte che fare il bene significa seguire le direttive dello Stato Mondiale.
Il libro
Chi non ha mai sognato di possedere il siero della verità e penetrare nel segreto della mente e del cuore degli altri e di se stesso? Quale giudice non lo vorrebbe, quale potere non lo riterrebbe l'ideale strumento di controllo? Kallocaina è appunto il nome del siero della verità che lo scienziato Leo Kall ha inventato per garantire allo Stato sicurezza e stabilità. Ma la verità sfugge alla strumentalizzazione, i suoi effetti sono sconvolgenti, rivelando la complessità dei rapporti umani e portando il germe della disgregazione nel sistema. Scritto nel 1940, quando era difficile nutrire grandi speranze nell'avvenire, Kallocaina ha in comune con Noi di Zamjatin, Il mondo nuovo di Huxley, 1984 di Orwell l'allucinata visione di una società spersonalizzata, dominata da uno Stato poliziesco che arriva a invadere anche la sfera privata dei cittadini sopprimendo ogni libertà. Benché le distopie appaiano spesso ingenue e superate dalle atrocità del reale, le questioni sollevate dal romanzo suonano di allarmante attualità.
La continua violazione dei diritti umani, l'uso strumentale della giustizia, la disinvolta interpretazione delle leggi, la delazione eretta ad atto civico, l'acquiescente conformismo fanno parte del nostro panorama quotidiano. Ma l'originalità di Kallocaina, rara voce di donna in questo genere letterario, sta altrove: nella progressiva presa di coscienza del protagonista che verità e ragione, verità e controllo, verità e potere restano inconciliabili, nel suo lento processo di liberazione dal proprio super-io, fino all'accettazione delle esigenze più profonde che aveva negato e soffocato dentro di sé: quel bisogno di amore, di libertà e di fiducia, senza i quali l'esistenza e la persona umana perdono di valore e di significato.
L’autrice
Karin Boye (Göteborg 1900 – Alingsås 1941) scrittrice svedese. La sua produzione poetica – Nuvole (1922), Terra nascosta (1924), I focolari (1927) – rispecchia il contrasto fra il retaggio di un’educazione religiosa e il desiderio di abbandonarsi ai sensi e alle passioni. Parte della sua opera è tradotta nella raccolta Poesie (1994). Alla vigilia della seconda guerra mondiale un viaggio nella Russia stalinista le tolse ogni speranza di palingenesi (come testimonia il romanzo Kallocaina, 1940). Morì suicida. La raccolta postuma I sette peccati mortali (1941) rappresenta una sorta di meditazione sul contrasto tra bene e male.
Karin Boye, Kallocaina. Il siero della verità, traduzione di Barbara Alinei, collana Gli Iperborei, Iperborea, pagg. 256, euro 17,50.
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