– Io ero là quel giorno – disse l'uomo.
L'osservai di nuovo: era magro, piuttosto basso di statura, aveva la carnagione bruna, i capelli brizzolati, una corta barba, un volto che sembrava scolpito nel legno, le guance solcate da cicatrici là dove la barba non le ricopriva.
– Io ero là –, proseguì. – Ma non mi chieda come ci sono arrivato, non lo so, non ero cosciente quando mi ci hanno portato.
– Ma qualche idea se la sarà fatta – dissi ingenuamente.
– Si –, rispose. – Ho avuto una quantità di tempo enorme per pensarci. Io ero morto, capisce? MORTO, non svenuto o addormentato. Quando ho ripreso conoscenza, mi sono accorto di trovarmi in una posizione estremamente scomoda, buttato a ciondoloni come un sacco, la testa il tronco e le braccia da una parte, l'addome, il bacino e le gambe dall'altra. Socchiusi gli occhi e mi accorsi di trovarmi sulle spalle di un altro uomo, e di essere nel posto peggiore di tutta Gerusalemme, la collina del Teschio, il luogo delle esecuzioni, quella che noi chiamavamo Golgota, e i Romani Calvario. Ero sulla sommità di una croce, buttato sulle spalle di un uomo crocifisso. Ai lati erano state erette altre due croci che reggevano altri due condannati. Mi resi conto anche che quell'uomo era stato trattato con estrema brutalità, non l'avevano soltanto crocifisso. Lungo la schiena riuscii a intravedere delle linee rossastre, sanguinose, i segni di una fustigazione e in testa gli avevano messo una specie di corona o casco fatto con un arbusto spinoso attrorcigliato, e lunghe spine gli trafiggevano la fronte, e come supremo spregio gli avevano anche messo addosso un cadavere, il MIO cadavere.
– Poi udii la Sua voce. “Stai fermo”, mi disse, “che non si accorgano che ti ho riportato in vita. Quando te lo dirò io, scendi e scappa!” Vidi che quell'uomo nonostante la sofferenza della crocifissione, manteneva un'ammirevole padronanza di sé. Non so dire quanto tempo passò, davvero non ero lucido. Poi, Lui mi disse: “Ora, presto, vai!”. Scivolai lungo il Suo corpo, e mi lasciai cadere a terra giù dalla croce. Raggiunsi l'abitato. Si era già verso il crepuscolo e non ebbi difficoltà a confondermi fra le ombre della sera. Rientrai a casa mia, ai miei familiari non dissi nulla, solo di essermi riavuto sull'orlo della tomba. Ripresi una vita pressappoco normale, se normale si può dire sopravvivere ai miei familiari, ai miei figli, a tutte le persone che conoscevo.
– I tempi cambiarono e si fecero sempre più tragici. I Romani sapevano essere generosi con chi si sottometteva, ma con chi si ribellava, non avevano pietà, e fra noi la ribellione covava di continuo, alimentata dalla differenza di religione. Mi ritrovai sulle mura della Città Santa stretta d'assedio, a cercare di difenderla dalla riconquista romana. Fui coinvolto in non so quanti combattimenti, riportai più di una volta ferite che sarebbero state letali per chiunque, e ogni volta sopravvissi e mi ripresi. Assistemmo alla distruzione delle mura della Città, e del Tempio, la distruzione del Tempio fu una ferita profonda nell'animo di tutti noi.
– Mi ritrovai alla resistenza della nostra ultima fortezza, a Masada.
– Un momento –, l'interruppi. – Ma tra la crocifissione e l'episodio di Masada passa almeno una quarantina d'anni.
– Mi fermai, capii all'improvviso quanto la mia osservazione fosse stata sciocca. Lui non fece caso alla mia interruzione.
– Masada –, disse. – Lei ne avrà certo sentito parlare, si raccontano tante cose su Masada, e sono perlopiù false. Lo lasci dire a me che ero là.
– Una fortezza assediata, e senza la possibilità di ricevere aiuto dall'esterno, finisce sempre per cedere, anche le sue mura sono imprendibili, e sa quando? Quando finiscono i viveri. La sete no, quella non era un problema, perché all'interno dello sperone roccioso su cui era eretta la fortezza, c'era una fonte d'acqua. Credo che fossero i Romani, più di noi a essere tormentati dalla sete, ma a un certo punto i viveri finirono, e le assicuro che anche la fame può essere una bestia davvero brutta.
– Conosco le storie che si raccontano su Masada: i resti di un intero popolo che si suicidano in massa pur di non cedere ai Romani, beh, non andò così. Mi creda, eravamo alla fame e la maggior parte di noi voleva arrendersi. Fra la morte e la possibilità di continuare a vivere, un essere umano normale, la maggior parte di noi, sceglie la vita. Non fu un suicidio collettivo, fu un'uccisione di massa. La notte prima del giorno fissato per la resa un gruppetto di fanatici, gli zeloti, fece strage di ogni uomo, donna, bambino che si trovava nella fortezza, e creda che ne ho sentiti di urla, pianti, invocazioni di pietà, prima di uccidersi a loro volta e di consegnare ai Romani niente altro che una grande tomba. Io mi finsi ciò che ero già stato e non posso tornare a essere, morto.
– In qualche modo ne uscii. In quei giorni tetri, dove non si vedevano altro che cadaveri e rovine, eravamo alla disperazione. Mi unii a un gruppetto deciso a un'impresa disperata: andare più lontano possibile dagli artigli dell'aquila romana, raggiungere il territorio dei Parti. Fu una lunga marcia nel deserto, sotto un sole implacabile, con poca acqua e poco cibo. Uno a uno, prima i bambini e le donne, poi anche gli uomini robusti cominciarono a morire per gli stenti e i colpi di calore. Quando arrivammo in vista della Patria, eravamo in tre o quattro della folta carovana che eravamo stati all'inizio.
– Non avevamo calcolato che i Parti avevano una brutta abitudine, quella prima di lanciare frecce, poi di fare domande. Ci accolsero con un nugolo di frecce, e credo che i miei compagni superstiti dovettero morire sotto di esse. Quanto a me, sebbene in quel momento somigliassi più a un puntaspilli che a un essere umano, ero ancora vivo. Questo li spaventò, pensarono che fossi uno stregone, e decisero di soccorrermi e curarmi.
– Li delusi. Quando mi ebbero rimesso insieme fu evidente che non ero capace di fare alcun tipo di magia. Mi lasciarono andare dopo una bella bastonatura, mi fanno ancora male le ossa se ci penso.
– Mi stabilii in una città persiana di cui ora non ricordo il nome, e mi rimisi a fare il mio antico mestiere, quello del ciabattino. Per un certo tempo vissi tranquillo.
– Appresi qualche tempo dopo che i Parti erano stati rovesciati e sul trono del Pavone sedeva ora una nuova monarchia nazionale persiana, i Sassanidi, ma per noi, per la gente comune non era cambiato nulla, erano solo chiacchiere da bazar.
– Sempre attraverso le chiacchiere del bazar, appresi che anche in Occidente le cose erano molto cambiate, che i Romani avevano perso tutta la parte occidentale del loro impero, sommersa dai barbari, e ora l'imperatore non risiedeva più a Roma ma a Bisanzio, non sapevo, non potevo sapere che per gli storici occidentali l'antichità era finita ed eravamo in un'età nuova, quella che avete chiamato medioevo, ma se l'avessi saputo, credo che non me ne sarebbe importato nulla. La vita era sempre uguale, coi ricchi e potenti che comandavano, e la gente comune che lavorava e serviva.
– I periodi tranquilli sono destinati a durare poco. Poi venne la peste. Credo fosse quella che i vostri storici hanno chiamato la peste – di Giustiniano –. Io neanche sapevo chi fosse Giustiniano, né l'avevo sentito nominare, ma dubito che se l'avessi saputo, me ne sarebbe importato.
– Quello che sapevo, era che era iniziato un altro periodo tremendo, eravamo attaccati da un nemico che non potevamo evitare, né vedere. La gente si ammalava e moriva a mucchi, uno si alzava la mattina per andare al lavoro come tutti i giorni, e la sera era morto stecchito. I cadaveri ingombravano le strade, c'era dappertutto il fetore ammorbante della decomposizione. Anch'io mi ammalai, stetti parecchio male, il corpo mi si ricoprì di piaghe e bubboni, ma guarii.
– Dopo la peste vennero gli Arabi, e con loro una nuova religione, la parola del Profeta. Scoprimmo di essere dhimmi, inferiori, ci era proibito montare a cavallo, avere case che si elevassero in altezza sopra quelle dei musulmani, dovevamo pagare più tasse.
– Ma una cosa buona c'era: fra la Persia, la Mesopotamia, la Siria e la Palestina non c'erano più confini. Gli Arabi avevano abbattuto il trono del Pavone e ricacciato i Bizantini fino all'estremità occidentale dell'Anatolia. Decisi allora, visto che le strade erano allora sicure, di tornare in Palestina.
– Ai califfi elettivi successero gli Ommayadi e a questi ultimi gli Abbassidi, ma di nuovo, qualunque cosa succedesse nei palazzi del potere a Damasco o a Bagdad, per il popolino non cambiava nulla.
– Poi arrivarono i Franchi, i crociati, in un primo momento fu tremendo. Presero Gerusalemme dopo un lungo assedio, e una volta espugnata la città, si sfogarono massacrando chiunque incontrassero, fu una strage peggiore di quella fatta dai Romani, le strade della Città Santa erano lorde di sangue, ma per fortuna, quella volta non ero lì, me l'hanno raccontato.
– Dopo però, quando gli animi si furono calmati e fu ristabilita una parvenza di ordine, iniziò un periodo abbastanza buono, anzi devo dire che all'epoca mi sono perfino divertito –.
– Divertito? – lo interruppi sorpreso.
– Si –, rispose lui, – Vede, quella gente, oltre che tremendamente ignorante, era terribilmente ingenua, si poteva gabbare con estrema facilità, credevano a qualsiasi cosa gli raccontassimo. Gli davamo dei pezzi di legno raccontando che era legno della croce di Cristo, e loro ci credevano, un pezzo di stoffa insanguinato, era stato il velo posto sul Suo volto nel sepolcro, e così via, delle ossa estratte dalla geenna erano reliquie degli apostoli e così via. Mi diedi alla fabbricazione di reliquie e non ero certo il solo. Era un commercio redditizio. Mi creda, la maggior parte delle reliquie che si trovano nelle chiese occidentali sono dei falsi, anche grossolani. Un giorno ho trovato la testa di una statua, una testa di un uomo barbuto, credo fosse romana. Davanti alla mia bottega passò un crociato, uno di quelli che avevano la croce sulla sopravveste nera invece che rossa, quelli che avevano preso dimora sulle rovine del Tempio. Mi misi a pensare rapidamente, era inverosimile che quando il cristianesimo aveva mosso appena i primi passi qualcuno si fosse preso la briga di scolpire un'immagine di Cristo o di uno degli apostoli, ma il Profeta degli Arabi, si, poteva andare, tanto più che nessuno sa che faccia avesse, perché la loro religione proibiva le immagini. Gli sarebbe interessato? Lo fermai e gli proposi l'acquisto. Lui accettò anche se mi sembra non capisse molto le mie spiegazioni, io dicevo Maometto, e lui ripeteva Bafometto o qualcosa del genere.
– Quel periodo fu una vera pacchia, ma finì bruscamente. Una nuova potenza era sorta nel mondo islamico: i Turchi guidati dai discendenti di Othman, che cacciarono rapidamente i crociati dalla Siria e dalla Palestina. La dominazione ottomana durò piuttosto a lungo, e in quel periodo il mio problema si fece sempre più pressante: un uomo che sembrava non invecchiare e non cambiare mai, poteva attirare troppo l'attenzione. Fui costretto a cambiare spesso città e identità.
– Nel frattempo ci giunse la notizia che gli Occidentali avevano varcato l'Oceano oltre le Colonne D'ercole e scoperto lontano a ovest nuove terre di cui nessuno aveva mai sospettato l'esistenza. Anche l'Età di Mezzo era finita, ma, mi creda, per me, cambiò ben poco.
– Le cose cambiarono davvero più tardi, quando cominciò ad arrivare una pioggia di nuove invenzioni: la macchina a vapore, l'elettricità, le ferrovie, l'automobile, la radio, le poste, la televisione, ma mi creda, ho avuto il tempo per abituarmi a uno stile di vita molto diverso da quello dell'epoca in cui sono nato. In Europa ci sono stati di nuovo periodi terribili con le due guerre mondiali, ma noi in Palestina ne siamo stati poco toccati, tranne che la dominazione inglese si è sostituita a quella turca, e poi è nato lo stato di Israele.
Si interruppe. Io lo fissai di nuovo e mi sentii sommerso da un'ondata di scetticismo per quella storia incredibile.
– E lei –, dissi. – E lei vorrebbe farmi credere di aver vissuto due millenni.
Lui mi fissò negli occhi con aria tranquilla.
– Vede –, rispose. – Ci ho riflettuto a lungo e sono giunto a una conclusione: quando Lui mi resuscitò, lo fece in un momento d'impeto, per togliersi un cadavere di dosso. Non pensò a fissarmi un'altra morte né a farmi riprendere il processo d'invecchiamento.
NOTA: geenna: luogo di sepoltura vicino a Gerusalemme, più volte citato nella bibbia.
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