Immaginate che tutte le persone con la pelle bianca comincino a trasformarsi in persone con la pelle marrone. È quello che accade ad Anders, un personal trainer, protagonista del romanzo L'ultimo uomo bianco di Mohsin Hamid, scrittore pakistano di cui in Italia sono già stati pubblicati diversi romanzi, tra cui il più noto è Il fondamentalista riluttante, pubblicato da Einaudi.
A suo modo, Hamid “riscrive” in chiave moderna il classico La metamorfosi di Franz Kafka, laddove Gregor Samsa si risveglia trasformato in insetto. La trasformazione di Anders però non è un fatto isolato, ma interessa un numero sempre crescente di persone, generando di fatto anche una tensione sociale non indifferente. Una premessa intrigante, per un romanzo che si muove tra speculazione fantascientifica e mainstream.
Il libro
Un mattino, Gregor Samsa, commesso viaggiatore, si sveglia da sogni inquieti e si ritrova trasformato in un immane insetto; anni dopo, Anders, personal trainer in un’anonima palestra di una città indefinita, si sveglia e scopre di essere diventato di un innegabile marrone scuro. L’incredulità presto cede il passo alla furia omicida: Anders si sente vittima di un crimine, «un crimine che gli aveva portato via ogni cosa, che gli aveva portato via se stesso», si scaglia contro la propria immagine allo specchio, si rimette a letto sperando che quell’uomo scuro se ne vada, chiama al lavoro per dire che è malato, molto malato, più di quanto immaginasse, si aggira per la città e scopre che «le persone che lo conoscevano non lo conoscevano più», e infine telefona a Oona. Oona, giovane insegnante di yoga, sta provando a prendersi cura di sua madre – e di se stessa – dopo la morte del fratello gemello; fra lei e Anders si è da poco riaccesa un’attrazione nata fra i banchi di scuola, ma quando Oona passa da lui dopo il lavoro, rimane di stucco di fronte all’uomo che le apre la porta, e sulle prime fatica a riconoscerlo. Ciò che Oona e Anders ancora non sanno è che la trasformazione sta prendendo piede ovunque: tutte le persone bianche stanno diventando scure, e la tensione sociale continuerà a crescere, sfociando in risse, sparatorie, suicidi e sommosse, finché «l’ultimo uomo bianco» verrà sepolto e la bianchezza non sarà che un ricordo.
Hamid, in un vortice di frasi che, come i personaggi che le abitano, sembrano sorrette da un disperato bisogno di stabilità identitaria, confeziona un romanzo di commovente lucidità sulla perdita del privilegio, un’opera in cui frustrazione e violenza si trasformano nella promessa di futuro: «a volte sembrava che la città fosse una città in lutto, e il Paese un Paese in lutto, e questo si addiceva a Anders, e si addiceva a Oona, dato che collimava con i loro sentimenti, ma altre volte sembrava il contrario, che stesse nascendo qualcosa di nuovo, e abbastanza stranamente anche questo si addiceva loro».
L’autore
Mohsin Hamid è cresciuto in Pakistan ma in seguito ha frequentato la Princeton University e la Harvard Law School, lavorando poi per diversi anni come consulente aziendale a New York.
Il suo primo romanzo, Nero Pakistan, tradotto in Italia da Piemme, ha vinto il Betty Trask Award, è stato finalista nel PEN/Hemingway Award ed è stato un Notable Book of the Year per il «New York Times». Suoi articoli e saggi sono apparsi su «Time», «The New York Times» e «The Guardian».
Grande successo internazionale anche per il suo romanzo Il fondamentalista riluttante (Einaudi Supercoralli, 2007 e Super ET, 2008), dal quale la regista Mira Nair ha realizzato un film – The Reluctant Fundamentalist (2012) – collaborando con lui per la sceneggiatura.
Mohsin Hamid, L'ultimo uomo bianco, traduzione di Norman Gobetti, Einaudi, collana Supercoralli, pagg. 132, euro 16,00, ebook euro 9,99.
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