Franci Conforti – cresciuta al Cairo, milanese d'adozione - ha due grandi passioni: la scrittura e le arti visive. Laureata in Scienze biologiche con indirizzo ecologico, è giornalista e docente all’Accademia di belle arti Acme di Milano. Da otto anni scrive anche libri supernatural e di fantascienza. I suoi testi si caratterizzano per l’esplorazione di nuovi immaginari, l’attenzione al world building e una narrazione carica di tensione, tipica del thriller. A Belfast, all'Eurocon 2019, ottiene il Premio Europa come autore emergente nella sezione Chrysalis.
Oltre a numerosi racconti, tra cui due usciti nelle antologie Millemondi Urania nel 2019 e nel 2021, ha pubblicato cinque romanzi: Spettri e altre vittime di mia cugina Matilde - Delos ed. (Premio Odissea 2016); Carnivori – Kipple ed. (Premio Kipple 2017); Stormachine, la macchina della tempesta – Delos ed. (Premio Vegetti 2019); Eden – Delos ed. (Premio Odissea 2021) e Spine – Urania 1701 – Mondadori, Premio Urania 2021, di cui parliamo in quest'intervista.
Hai vinto nel 2016 e nel 2020 il premio Odissea, nel 2017 il premio Kipple e nel 2019 il premio Vegetti, Al premio Urania sei arrivata più volte in finale. Cosa ha significato per te, in questa fase della tua carriera, vincere il premio Urania?
Tutti i premi sono importanti. Detto questo, credo che in Italia il premio Urania sia il massimo riconoscimento a cui si possa aspirare. Chi lo raggiunge solitamente non ha alle spalle una carriera letteraria nel senso professionale del termine, ed è anche il mio caso. Proprio per questo motivo credo sia un’illusione comune pensare che, vincendo l’Urania, qualcosa cambi e forse, oggi, è così. Questo grazie alle recenti iniziate messere in campo da Franco Forte, che cura alcune collane Mondadori. Mi piace pensare che questa illusione credo si sia trasformata in una speranza.
Sei laureata in biologia, sei giornalista professionista e hai lavorato in vari settori nel corso della tua vita. Una delle cose che hai fatto, ad esempio, è stata di lavorare alla base militare di Vandenberg per il lancio dei satelliti Cosmo Sky Med. Queste tue esperienze sono state utili per la tua carriera di scrittrice di fantascienza? E in che misura?
Sì, essere stata a più riprese nella Vandenberg Air Force Base, mi ha dato molto. Lo considero un privilegio sia per l’esperienze umane che per la possibilità di vedere il dietro le quinte di un’attività che considero al top tra quelle umane. Carnivori, il libro con cui ho vinto il Kipple, pesca molto da quella esperienza, soprattutto nell’ambientazione iniziale che è molto aderente alla realtà. Detto ciò credo che scrivendo sia normale usare il proprio vissuto, scientifico e umano, e io ho la fortuna di averne accumulato parecchio. Così cerco d'impiegarlo per migliorare al qualità dei testi e offrire un quid in più a chi mi legge.
Nel tuo romanzo Spine ci sono molti aspetti interessanti. Il primo che mi piacerebbe esplorare con te è il fatto che tu immagini che sulla Terra non ci siano più città di cemento, ma enormi Arbopoli, e che la biomica sia la nuova tecnologia che domina l'industria. Ci spieghi un po' come queste due idee sono nate e che risvolti hanno nella tua storia?
Era una vecchio sogno, uno di quelli che risalivano ai tempi dell’università. Ma l’ho sempre considerato solo un gioco di fantasia. Avevo cominciato a scriverci su un romanzo, ma poi persi il file. L’idea riaffiorò in veri racconti e, facendo ricerche, mio figlio mi segnalò che i Biobuilder del MIT (Massachusetts Institute of Technology,) non solo sosteneva lo stesso approccio ma ci credevano abbastanza da divulgarlo tra le nuove generazioni, provando a realizzarlo. Così ho pensato fosse il caso di aiutarli, anche se posso farlo solo con l’immaginazione.
Un altro aspetto interessante è che hai immaginato una umanità evoluta che si è liberata delle emozioni (evoluti), attraverso una biotecnologia, e una che invece è rimasta immutata nel tempo (nativi). Pensi che l'evoluzione dell'uomo passi necessariamente per un controllo delle emozioni?
No, non spero di no e lo chiarisco nelle ultime pagine della storia. Questo però non esclude che possa avvenire o che sia plausibile. In Spine, però, il controllo delle emozioni è soprattutto una forzatura letteraria ponderata durante il world building e usata per dare corpo alla storia e a una serie di riflessioni sull’umano e sulle dinamiche di rapporto. Del resto l’idea non è certo nuova, la troviamo pure in “Ma gli androidi sognano pecore elettriche? di Dick, anche se spesso resta in secondo piano. Come dicevo, sono stratagemmi funzionali, così, per l’anno 3959 dC ho immaginato un’umanità allargata composta da evoluti, nativi e animar. Una precisazione, però. Negli evoluti il controllo delle emozioni è genetico: hanno sentimenti ma sono scevri della componente che crea condizionamenti fisici. Per esempio, sanno di avere paura ma non provano effetti fisiologici che abbassano le prestazioni fisiche e mentali. E, visto che ci siamo, ne approfitto per ribadire una caratteristica che fa da base alla mia scrittura: metto in scena degli immaginari e delle suggestioni che esploro assieme a chi legge. Molti scrittori che ammiro hanno intenti educativi o credono in quello che scrivono, ma non io. È troppo lontano dalla mia volontà di cambiare e di esplorare usando la maggior libertà che riesco a guadagnarmi e a concedermi.. Lo raccontavo tra le righe del mio primo libro (Spettri e altre vittima di mia cugina Matilde). Credere e immaginare sono due verbi profondamente diversi. Posso immaginare Babbo Natale o il fantasma di Dino Buzzati (e mi piace farlo e mi è utile farlo) ma questo non significa che ci creda. Oggi è prassi accomunare molti termini per manipolarne i significati, cosa che personalmente cerco di evitare.
In Spine, anche alcuni animali si sono evoluti, ora vengono chiamati animar e sono molto intelligenti e dotati della parola. Eppure questo, almeno nella tua storia, non li aiuta nella convivenza con l'uomo. Cosa ci puoi dire di questo aspetto di Spine?
Tre annotazioni. La prima è che gli animar, a ben guardare, hanno un’intelligenti solo sufficiente per rendersi utili. La seconda è che, forse, in nostro amore incondizionato per gli animali deriva proprio dalla loro inconsapevolezza, dalla loro innocenza. Rimarrebbe identico se, con l’intelligenza, sviluppassero un senso critico? Terza e ultima annotazione: in Spine la convivenza animar-umani è, genericamente, buona e questo vale per molti miliardi d’individui. Inoltre la subordinazione degli animar è ampiamente giustificata anche se in alcuni casi gli umani se ne approfittano o, più banalmente, si dimostrano poco inclini alla pazienza e alla comprensione. Quella sensazione di scontro che si percepisce leggendo Spine nasce dalla scelta di ambientare la storia dove le tensioni sono più evidenti ottenendo il tipico effetto lente d’ingrandimento, po’ come succedere per alcuni problemi che affliggono noi ora e la nostra società. Mi piaceva l’idea di riprodurre questo meccanismo.
Nel romanzo c'è, a mio avviso, un connubio stretto fra natura e scienza, con l'uomo che fa da mediatore tra queste due forze. Qual è, a tuo avviso, il rapporta tra natura e scienza oggi e che tipo di evoluzione intravedi per il futuro?
A dire il vero parto da presupposti diversi. Per me la contrapposizione uomo – natura è un tipico retaggio di molte religioni, ma è privo di qualsiasi senso a livello biologico. La tela di un ragno è natura, la diga di un castoro è natura, la nostra scienza e le nostre tecnologie sono natura. Non c’è nessuna dicotomia. Si tratta solo di modulare le nostre attività con prudenza e lungimiranza perché la nostra impronta ambientale è spaventosa e le prime vittime saremmo noi. Detto ciò spero più nell’istinto di conservazione del genere umano che nella sua saggezza.
Apparentemente la protagonista di Spine è Eleonor Salgato, una sorta di attivista che si batte per difendere i diritti degli animali intelligenti che lavorano per gli umani. Ma in realtà, secondo me, i protagonisti sono tre: oltre ad Eleonor ci sono anche i due ex poliziotti Joe e Ivan. Ci racconti un po' chi sono?
Verissimo. In realtà Eleonor, pure essendo la protagonista della vicenda, ha soprattutto il ruolo di voce narrante. A lei comunque è affidato uno dei fili della narrazione, quello che mette in campo la riscoperta del pianeta, delle emozioni e dalla loro reale natura. Le vicende thriller della spy story invece sono scandite soprattutto delle azioni e i nodi personali che affliggono i due poliziotti. Altro protagonista, anche se più discreto, è l’ambiente che, attraverso il suo disvelamento ci racconta un altro aspetto dell’intera vicenda.
So che molti scrittori, sia italiani che stranieri, non amano che i loro romanzi vengano definiti o se vuoi etichettati con le denominazioni varie che sono nate nel corso degli anni sia per la fantascienza che per la speculative fiction in generale, ma nel caso di Spine non sono riuscito a togliermi l'idea che il tuo romanzo sia un eco-thriller, per un verso, e una storia un bel po' solarpunk, con un'umanità che, nonostante le tante difficoltà per sopravvivere, sta andando verso un futuro in qualche modo positivo. Che ne pensi di questa mia valutazione e qual è la tua posizione nei confronti delle etichette che possono essere appiccicate ai romanzi?
La tua valutazione per me è corretta. È decisamente un thriller e, per alcuni versi, è anche eco. Per quanto riguarda le attuali etichette me le sento sempre strette, anche se capisco che siano utili in libreria per scegliere gli scaffali in cui mettere i volumi. Per il futuro, però, caldeggerei una loro trasformazione. Preferirei usarle come fossero “ingredienti” per consentire al lettore di trovare più facilmente quello che desidera. Sai, tipo ricetta di cucina. Detto così forse suona strano ma questo tipo di descrizione è relativamente comune per chi legge i webtoon. Ecco come potrebbe essere Spine: thriller; trama: spy story di fantascienza; ambientazione: futuro solar e green di derivazione solarpunk; storia: dramma, tradimento aspettative, dipendenza emotiva e amicizia, redenzione e sacrificio, conflitto sociale, happy end. Questo però è solo un esperimento perché manca una sorta di codifica efficace e condivisa con cui redarre queste brevi descrizioni.
Nella tavola rotonda a Stranimondi sui 70 di Urania, hai sottolineato che Spine è soprattutto una storia di “redenzione”. Ci spieghi in che senso? E pensi che il futuro dell'uomo, in senso positivo, passi necessariamente per una fase di redenzione, visto quello che stiamo facendo alla natura, agli animali alla stessa Terra (basta pensare ai cambiamenti climatici)?
Sai come si dice, sbagliare è umano e lo facciamo tutti, sia a livello individuale, sia a livello collettivo. Prenderne atto e avere il desiderio rimediare è il primo passo. Senza non esiste redenzione. Fin quando le persone sono convinte di avere la verità in tasca, si ripeteranno gli stessi errori, all’infinito. E, proprio come per il clima, i danni sono sotto gli occhi di tutti. In Spine il tema della redenzione e del concedere una seconda possibilità a chi vuole rimediare, pervade tutti i fili di cui è composta la storia. Lo ritroviamo in quella molto umana di Joe come in quelle di Ellie e Ivan, ma anche nelle vicende politiche e sociali di prevaricazione in nome di un futuro migliore solo in linea di principio.
Spine è comunque un pezzo di un puzzle narrativo più ampio che stai costruendo. Vuoi illustrarcelo nelle sue linee essenziali e dirci quali storie sono state già pubblicate e cosa dobbiamo aspettarci dalla tua creatività per il futuro?
Per ora Spine è composto di tre racconti e un romanzo, tutti indipendenti tra loro. Ecco l’elenco in ordine narrativo e non di pubblicazione. Il primo racconto è Giochi di Luce presente nella prima antologia solarpunk curata da Franco Ricciardiello per Delos, il secondo è Il Giorno della Doppia Elica pubblicato nella prima antologia Fanta-Scienza curata da Marco Passarello sempre per Delos e infine c’è Come Concime uscito nell’antologia Stranimondi curata da Franco Forte per Mondadori. Gli ultimi due citati hanno alcuni personaggi in comune con Spine. Per il futuro so solo che ho tante idee e tante atmosfere da mettere in scena e non so da quale cominciare.
Ultima domanda: cosa ne pensi dell'illustrazione che Franco Brambilla ha creato per il tuo Urania?
Si può dire WOW? È quello che ho pensato quando ho visto la copertina la prima volta. Franco è bravissimo e il suo tratto inconfondibile, gli ho chiesto due poster da appendere nel mio studio e non vedo l’ora di ritirali.
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