Si è discusso molto questa settimana a proposito della dichiarazione di un ingegnere di Google secondo il quale un particolare implementazione di un'intelligenza artificiale studiata per la conversazione avrebbe acquisito l'autocoscienza. Quando si affrontano questi argomenti vengono spesso usati termini molto diversi come se fossero equivalenti: “è viva”, “è intelligente”, “è cosciente”. Il motivo per cui si fa questa confusione dipende da un motivo preciso: la domanda che ci si sta facendo in realtà è "è umana?”. Ovviamente, la definizione di “viva” è qualcosa che non potrà mai avere a che fare con un computer, essendo prettamente biologica. Uno degli argomenti di Google per contraddire l'ingegnere era che posta di fronte a problemi da risolvere il software non era assolutamente in grado di affrontarli. Non era quindi “intelligente”; plausibilmente altri software sarebbero riusciti a farlo, senza però saper sostenere conversazioni. In effetti, ciò che più sembra convincerci di questa presunta autocoscienza è l'espressione di sentimenti: la IA esprimeva le proprie paure, il proprio risentimento, i propri interessi. E questi per un umano sono argomenti davvero convincenti. Ma contano davvero? Un vulcaniano privo di emozioni non è autocosciente? Un corvo che sa risolvere problemi logici è più intelligente di un umano che non ci riesce? E fino a che punto siamo davvero in grado di distinguere un software che emula autocoscienza dall'autocoscienza vera? E c'è una differenza? Domande decisamente stimolanti.
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