1. La capacità di previsione insita nel genere fantascientifico
Nel suo saggio La Grande Cecità. Il cambiamento climatico e l’impensabile (The Great Derangement. Climate Change and the Unthinkable- 2016) lo scrittore indiano Amitav Gosh lancia una precisa e sottile provocazione chiamando in causa l’intera letteratura del Novecento, senza escludere dalla critica i propri romanzi precedenti. Gosh afferma che non esistono molte opere letterarie sinceramente dedicate all’ambiente, alla critica contro lo sfruttamento della Natura e all’esame accurato del rapporto Uomo Natura se non all’interno del genere Science Fiction e solo in alcuni, limitati, casi. La risposta è senz’altro affermativa nella sua prima indicazione e facilmente sostenibile dato che abitualmente la letteratura Mainstream del Novecento si è dedicata, come mai la letteratura prima di allora, all’Uomo e alle sue problematiche, alla pratica introspettiva e all’inconscio anche se spesso, dovendo andare al traino delle nascenti teorie Freudiane e Junghiane, prendendo di conseguenza anche strade non battute nei secoli precedenti e magari, almeno parzialmente erronee. Si è quindi, in genere, sottovalutato l’habitat naturale come oggetto di ricerca letteraria in quanto rappresentante il Non Umano, non meritevole secondo questa accezione, di attenzione particolare. Il genere fantascientifico ha invece indagato meglio il rapporto con il Mondo Naturale, spesso al passo della ricerca scientifica, dimostrando di essere un genere da sempre teso nelle sue pratiche migliori a scovare rapporti fra noi e gli altri, con il Diverso inteso anche come Non Umano, come espressione del Mondo che ci circonda o di mondi alieni. Una abitudine degli scrittori che praticano questo mondo letterario alternativo, così possiamo definirlo considerando che da quando il Verismo prima e l’Intimismo poi hanno preso il possesso delle correnti principali della letteratura, lo spazio dedicato al fantastico si è ulteriormente contratto: esso può solo albergare come ospite, non sempre amato, in settori marginali della letteratura ufficiale e apprezzato solo se presentato da autori noti per il loro impegno in altre categorie letterarie. Il genere Fantastico viene accettato, inoltre, se meticciato o articolato in modo tale da sembrare solo una inconsistente alternativa al Reale, in termini di sogno, inconoscibile, memoria illusoria, psicosi e mancato e/o erroneo contatto con la Realtà.
Alcune opere di Science Fiction, dal 1926 ad oggi, sono state cagionate nella loro genesi da particolari momenti storici che hanno costretto i loro autori ad ambientarle in mondi alternativi o dell’immediato futuro per analizzare compiutamente, evitando pesanti pistolotti moralistici, le storture comportamentali dell’Uomo, nella sua veste di individuo e di singola unità sociale. La critica corrosiva, che ha caratterizzato il periodo denominato Social Science Fiction, si è spesso espressa nei confronti delle modalità economiche di profitto determinate dalla vendita parossistica di beni di consumo, tipiche degli Stati Uniti degli anni fra i Cinquanta e i Sessanta, e dei conseguenti disagi sociali. Altre volte tali opere hanno scandagliato il tema della risposta della Natura alle provocazioni umane, in termini di sfruttamento e depauperamento delle risorse naturali, attraverso la propagazione di virus incontrollabili determinati da salti di specie, dall’animale all’umano, quando non anche di rivolte da parte di specie animali come I Topi di James Herbert, Gli Uccelli di Daphne Du Maurier e le formiche in Fase IV (Phase IV- 1974) di Barry Malzberg, animali previsti anche come successori dell’Uomo, dopo la fida specie canina, in City (id. 1952) di Clifford D. Simak. Facile vedere in una massificata società di insetti una risposta beffarda all’individualismo ( non quello anarchico e complottista di questi tempi, che anzi è manovrato da siti di oscura origine per allenare le menti semplici a divenire tutti uguali, magari schiavi dello stesso irrealistico diktat) e alla creatività che, nella sue migliori e geniali espressioni, hanno reso l’Umanità la specie dominante del pianeta Terra; ma anche la similitudine con le trasformazioni a cui la società umana potrebbe andare incontro, attraverso l’adesione a regimi dittatoriali e il costante, acefalo, perseguimento di fittizie richieste di libertà dirette in realtà alla definitiva trasformazione in perfetti consumatori dai comportamenti indirizzabili e ben prevedibili; tutto questo oscurando il dibattito reale che andrebbe invece svolto quale espressione critica rispetto all’operato dei governi su argomenti ben più fondamentali (Politiche verdi realistiche, riesame del Nucleare, miglioramento delle condizioni di lavoro e di soddisfazione personale con conseguente maggior produttività del singolo, realizzazione di infrastrutture realmente utili e salvaguardia delle esistenti, aumento delle spese dedicate alla Sanità, all’Istruzione e alla prevenzione del rischio idrogeologico).
Il riconoscimento che uno scrittore come Gosh ascrive al genere fantascientifico non è elemento di poco conto, anche se va tenuto conto che pure lui si è cimentato nel genere con Il Cromosoma Calcutta (The Calcutta Chomosome – 1996) vincitore del Premio Arthur C. Clarke nell’anno successivo, e costituisce un preciso riconoscimento in termini morali e di capacità predittiva da sempre motivo di fastidio per la critica letteraria ufficiale, che preferirebbe vedere altre opere assurgere a indicatori di tendenza. Questo elemento andrebbe considerato per continuare a battere una strada costellata da molte pietre miliari del nostro genere letterario preferito. La Climate Sf e il Solarpunk (seppur in questo ultimo caso con una visione più positiva ed estetizzante) sono movimenti che andrebbero studiati a fondo, pur avendo radici antiche, e che potrebbero riportare la Fantascienza, dopo i fasti del periodo Cyberpunk, di nuovo sulla cresta dell’onda anche presso un pubblico esterno al genere.
2. Le opere che hanno inquadrato il problema
Ma torniamo un passo indietro e vediamo brevemente quali opere possono essere agevolmente essere inquadrabili nel contesto che stiamo esaminando.
Vale ricordare soprattutto la figura di John Brunner, noto anche per avere anticipato la rete globale di internet e i pericoli insiti a riguardo delle nostre libertà individuali con il suo romanzo Codice 4-GH (The Shockwave Rider- 1975), con i suoi romanzi sui temi maggiormente scottanti di quegli anni, valgono sopra tutti Il gregge alza la testa (The sheep look up) del 1972 capolavoro che affronta il tema dell’inquinamento e Tutti a Zanzibar (Stand on Zanzibar – 1968) sull’allarme, sempre giunto a vuoto, circa i rischi dati dalla sovrappolazione della Terra, ma anche di John Christopher con la sua Morte dell’Erba (Death of Grass – 1956) e L’inverno senza fine (The World in Winter – 1962 ) oltre a Charles Eric Maine con Il grande contagio (The darkest night – 1962) opere rese terrorizzanti, oltre che per la raffigurazione realistica degli effetti di un disastro ambientale, anche dalla previsione di riverberi sociali tali da prefigurare una risposta politica antidemocratica quando non dittatoriale, operante in base a un esasperato Darwinismo nel senso più selettivo della specie.
Il risultato dell’abbandono del rapporto con la Natura porta spesso l’Uomo a vivere problematiche psicologiche poi confluenti in vere e proprie psicosi. A tale riguardo sopra tutti vale ricordare James G. Ballard e la sua tetralogia dei disastri ambientali; Ballard è l’autore che meglio di ogni altro ha espresso nell’arco della propria parabola creativa un intenso arcobaleno di impulsi e stimoli al miglioramento, condizione questa raggiungibile attraverso una dissacrante analisi delle incompatibilità ambientali a cui l’Umanità è andata incontro in una folle corsa verso uno sviluppo solo economico, privo di ogni referente umano e vero. Nei suoi romanzi i quattro elementi sfuggono al controllo dell’Uomo generando paure contingenti e reali ma anche mostri dell’inconscio che sembrano riverberarsi nelle sembianze della Natura, non solo offesa ma anche sconvolta dalla follia che l’Uomo riversa involontariamente su essa. Un panorama psichico degno dei maggiori incubi artistici di Max Ernst, Yves Tanguy e Salvador Dalì, artisti che tornano spesso, opera dentro l’opera, nelle collezioni detenute da alcuni dei personaggi più ricchi ed eccentrici dell’universo letterario ballardiano.
Allora sembra curioso che negli anni Sessanta, a parte gli specialisti del problema climatico che iniziavano a fare sentire la loro voce, solo nell’ambito della narrativa fantastica (soprattutto in quella prettamente britannica) si sentisse l’esigenza di meglio definire problematiche e disastri imminenti derivati dallo sfruttamento congiunto delle popolazioni meno abbienti e di tutte quelle risorse naturali patrimonio spesso non considerato dagli stessi paesi detentori. Un esempio tipico lo possiamo trovare nel colonialismo di marca britannica che tanti danni causò nella gestione della regione Indiana. Forse la coscienza critica si è andata sviluppando maggiormente nel Regno Unito proprio per una maggiore consapevolezza a riguardo di un certo retaggio di sfruttamento che non mancava poi di colpire indirettamente i ceti più indigenti della stessa nazione sfruttatrice, spostando le produzioni verso le Colonie, le quali assicuravano costi di produzione molto più leggeri ma a svantaggio degli operai inglesi che si trovavano senza lavoro e senza la possibilità di acquistare i beni di importazione, riservati solo alle classi più abbienti, questo creando un cortocircuito nel rapporto fra produzione e domanda. Forse proprio per queste ragioni anche in precedenza in Inghilterra si era affermata, seppur in modo più escapista ma non per questo di minor valore, un vero e proprio sottogenere: la Fantascienza del
Disastro che aveva visto i suoi maggiori alfieri in John Wyndham con opere quali Il giorno dei trifidi (The Day of Triffids – 1951) e Il risveglio dell’abisso (When Kraken wakes – 1953), di nuovo Maine con Il vampiro del mare (The Tide went out – 1958) e tanti altri. Successi reiterati più recentemente con il ciclo dei Micronauti di Gordon Williams, parzialmente pubblicato su Urania a inizio anni Ottanta, e che vede svolgersi un esperimento economico e sociale atto a risolvere il problema del rapporto fra sovrappopolazione e limitatezza delle risorse, tramite la miniaturizzazione di un primo gruppo di volontari, in un giardino ricco di risorse ma anche di insidie.
Le opere letterarie aventi a soggetto pandemie difficili da contrastare sono quelle che meglio di ogni altre hanno rappresentato le nostre paure di un contagio invisibile e fatale, paura quanto meno assimilabile a quella nucleare in quanto parimenti letale e soprattutto invisibile, portando il nucleo dei conflitti che da sempre hanno ucciso e sterminato intere popolazioni su un confine di insicurezza e instabilità maggiore. Un nemico visibile lo puoi affrontare, convincere a ritirarsi, confrontarcisi, trattare e magari imparare ad evitarlo, ma i dubbi che vengono affrontando tali minacce sono a più ampio raggio, coinvolgono la nostra stessa sicurezza giornaliera, ricordano ai più anziani fra noi, anche solo per i racconti dei propri genitori, che un tempo era consuetudine l’alternarsi di un periodo di guerra a uno di pace, magari anche lungo.
Nell’ambito fantascientifico incontriamo molti altri romanzi incentrati sul disastro conseguente alla diffusione di un virus come ne Il morbo di San Francesco (The Saint Francis effect – 1976) di Zagh Hughes o in I Sopravvissuti (Survivors – 1976) di Terry Nation tratto da una fortunata serie di telefilm inglesi degli anni Settanta ad opera dello stesso autore, opera nella quale fin dall’incipit si presume che un virus sia fuggito da un laboratorio cinese. La stessa fuga avviene, questa volta da un laboratorio americano nell’opera del 1969 di Michael Chrichton Andromeda (The Andromeda Strain) da cui è tratto l’omonimo film di Robert Wise del 1971. Ma anche mutazioni ambientali causate da eccessi di smog e di inquinamento da Nebbia (The Fog – 1975) di James Herbert a Dalle Fogne di Chicago (The Clone – 1965) del duo Thomas e Wilhelm fino a L’Uomo verde (The Green Man- 1969) di Kingsley Amis.
3. Cercando un rapporto di maggiore integrazione con la Natura
Passando infine ai contributi con valenza ottimistica, nel senso di riuscire a unire il lato umano a quello naturale la pena di segnalare il contributo, più eccentrico, di Raphael A. Lafferty che in alcuni dei suoi sulfurei racconti, narra eventi ambientati nel suo natio Oklahoma indagando il sottile confine fra Mondo Naturale e Società Umana, fra Mito e Cultura dei Nativi, fra materia e manifestazioni di spiriti naturali e leggendari. Molto nota in tal senso anche la visione sistemica Natura – esseri viventi quale quella descritta da James Cameron nel suo Avatar (Id. – 2009), anche questa facilmente identificabile con la cultura dei Nativi Americani. Anche Gregory Benford nel suo capolavoro Timescape (Id.-1981) propone accanto alla tematica principale del romanzo costituita dal viaggio nel tempo anche la visione di una società migliore possibile grazie alla trasmissione di dati fra il Futuro e il Passato, atta a prevenire i danni irreversibili creatisi nell’originale flusso temporale. Il tempo del ginepro (Juniper Time, 1979) di Kate Wilhelm descrive un tentativo di affrontare una crisi ambientale e le sue conseguenze sociali; La Trilogia dell’Orange di Kim Stanley Robinson propone in uno dei tre volumi la visione di un mondo fedele a un ideale ecologico e sostenibile. Parimenti affine al tema, affrontato con piglio positivo e propositivo, è infine il bel romanzo di David Brin Terra (Earth – 1991). Dal breve elenco di opere appena ricordate, si comprende come, proprio in questa direzione, molti scrittori potrebbero impegnarsi a indirizzare la propria ricerca narrativa. Vi è davvero molto da lavorare all’interno del genere per poter raggiungere ulteriori, proficui, risultati. È dalla narrativa che si possono raggiungere fasce sempre maggiori di lettori e creare una coscienza più profonda sul tema. La saggistica è utile per approfondire ulteriormente, ma solo la capacità di influire sull’inconscio può essere determinante e questo è il potere della narrazione che solo il romanzo e il racconto racchiudono in sé.
Aggiungi un commento
Fai login per commentare
Login DelosID