Nel Marzo del 1937, la casa editrice National Comics varò una testata dal titolo Detective Comics dedicata a storie poliziesche di genere hard boiled, dove videro la luce alcuni detective di vario genere finché nel maggio 1939 ne comparve uno che usava un costume davvero singolare: Batman. Quel personaggio ebbe talmente successo che la casa editrice cambiò nome da National a DC (detective comics).
Il detective vestito da pipistrello riconosceva diversi ispiratori tra cui Zorro, The Shadow, Phantom, (perfino i disegni di Leonardo Da Vinci) e, pur sfoggiando capacità atletiche superiori, non era dotato di superforza o altri poteri, ma la sua maggiore abilità consisteva in un intelletto di prim’ordine e una straordinaria tecnica di indagine, che coadiuvava anche con ritrovati scientifici all’avanguardia. La motivazione che lo spingeva nella sua solitaria crociata contro il crimine era la più pura vendetta.
A Matt Reeves, regista di The Batman va il merito di aver finalmente presentato un Batman così: vendicativo, rabbioso, noir e detective, e già questo basterebbe a giustificare le tre ore di film.
Anche se può suonare sminuente nei confronti di Reeves e del co-sceneggiatore Peter Craig, questo Batman si colloca a pieno titolo nel solco dei thriller di Fincher quali Se7en e Zodiac.
Sin dalle prime sequenze abbiamo in scena una coppia di detective costituita dal commissario Gordon (Jeffrey Wright), da poco arrivato a Gotham, e da un giovane Batman al suo secondo anno di carriera che riecheggia la dinamica tra Brad Pitt e Morgan Freeman in Se7en. Mano a mano che la storia procede le luci, le scene, i corpi delle vittime del serial killer, i messaggi del serial killer e l’aspetto/costume del serial killer stesso rafforzano questa impressione.
L’ambientazione è a tratti claustrofobica, Gotham City ci viene presentata marcia, corrotta e sporca a tal punto che nemmeno la pioggia costante riesce a lavarla, l’architettura, le automobili, la tecnologia suscitano l’impressione di uno steampunk anni ‘70, come se un serial tipo Police Story (Sulle Strade della California), di quelli in cui i poliziotti corrotti sono la maggioranza, fosse stato trasportato in una dimensione alternativa. E, per tutti gli appassionati degli universi espansi, va detto che questo The Batman va considerato come un universo a sé stante rispetto a quello di Nolan, di Burton e del Joker di Todd Philips. Ottima trovata visto che ormai il multiverso è stato sdoganato e niente vieta di girare prima o poi qualche film per mescolare tutte le realtà alternative se proprio ce ne fosse bisogno.
Il cattivo centrale del film è l’Enigmista, qui in una versione particolarmente psicopatica e ossessiva, guidato dal desiderio di alzare il tappeto per far vedere quale sporcizia si annidi sotto l’apparente rispettabilità di Gotham e dei suoi abitanti più illustri, vivi e defunti, compresa la famiglia Wayne di cui giovane erede Bruce/Batman dovrà scoprire i segreti per perdere la residua innocenza anche nel ricordo dei suoi genitori assassinati.
Accanto a lui troviamo Oswald Cobblepot alias il pinguino, un Colin Farrel bravissimo nel rendere la figura di un ras del crimine tronfio e arrogante, e il Carmine Falcone interpretato da John Turturro, altro casting ottimo e perfetta prova d’attore.
Il Joker sfiora il film in un solo punto e, a detta di Reeves, non ci sono progetti futuri di portarlo in scena almeno per ora. Una scelta coraggiosa e, diciamolo, del tutto condivisibile. Nei fumetti il dualismo Batman/Joker è diventato fin troppo inflazionato, quasi come se in questo gioco di Yin Yang i due fossero condannati a coesistere per sempre pena l’annullamento di entrambi. Una situazione che spesso sfocia in trame arzigogolate con finale monotono. Eppure all’epoca delle prime storie della collana Detective Comics Joker era solo uno dei criminali che componevano il serraglio dei nemici di Batman, un gruppo di freak che tanto si ispirava ai nemici di Dick Tracy, altro fumetto noir di quegli anni.
E qui sorge la questione sottesa sin dai film di Nolan: la comparsa di Batman ha determinato quella dei cattivi in maschera oppure il sottobosco criminale di Gotham era già pronto a produrre dei figli così disturbanti?
È una questione di non facile soluzione. Quello che da pensare, però, è che Batman, i supercriminali e Gotham City stessa sono nati come maschere fumettistiche per poter narrare crimini, indagini e corruzioni senza fare riferimenti alla realtà delle grandi metropoli americane.
E prova ne è che tra i progetti generati da The Batman quello che avrebbe dovuto narrare la corruzione della polizia di Gotham è stato abbandonato perché la HBO non ha voluto una serie che mettesse in cattiva luce la polizia considerando la situazione reale negli USA.
A fare da ponte tra il mondo dei cattivi e quello dei buoni c’è l’unico personaggio femminile del film: Catwoman, interpretata da Zoe Kravitz. A rischio di essere ripetitivi, anche qui casting e attrice funzionano alla perfezione. Questa Catwoman non ha nulla da invidiare alla versione “non morta” di Michelle Pfeiffer, né a quella di “ladra stylish” di Anne Hathaway (glissiamo su Halle Berry in quello sfortunatissimo film), anche lei è all’inizio della carriera, ma porta da subito la sua quota di ambiguità, instaurando un rapporto con Batman di provocazione, sensualità e rispetto reciproco creando la propria firma di originalità con un “catwalk” (la camminata delle modelle che sfilano è definita così) che sarà difficile superare.
La chimica tra Zoe Kravitz e Robert Pattinson che interpreta Bruce Wayne/Batman è perfetta nella corporeità, nella recitazione e negli sguardi. E qui tutti quelli che hanno avuto dubbi riguardo al casting del protagonista dovranno ricredersi. Innanzitutto, finalmente, Batman è tanto in scena ed è in scena in costume, un costume costruito a partire da una tuta da motociclista con tutti i rinforzi del caso, un costume ché è parte integrante del personaggio insieme a chi lo indossa e che porta un messaggio di rabbia, vendetta e violenza. I colpi di Batman si sentono e si percepiscono nello sforzo della lotta, i gadget sono ridotti al minimo, la moto è quasi onnipresenti, la batmobile è più una auto con supertuning che un carrarmato da guerriglia urbana, e lui, il detective, osserva, ragiona, deduce, tiene nota delle proprie riflessioni e discute con Alfred, anche lui più giovane, affidato ad Andy Serkis, che, nel non enorme lasso di tempo in cui è in scena, assurge al ruolo di Sensei piuttosto che di canonico maggiordomo inglese.
Nel corso dell’indagine si andrà anche strutturando il conflittuale rapporto tra la polizia e Batman, con Gordon costantemente dalla parte di quest’ultimo e il batsegnale che fora la coltre di pioggia, un po’ fuori fuoco, a far tremare i piccoli criminali.
Nel finale, il giovane Batman parla addirittura di speranza, e se può apparire singolare ascoltare qualcosa di simile dalle sue labbra in realtà è coerente con la sua giovane età: solo chi spera di poter ripulire una città come Gotham diventerà un cinico, disincantato guardiano negli anni a venire.
Gotham e Batman, ricordiamolo, nascono come contraltari a Superman e Metropolis, un po’ come il cyberpunk nei confronti dello steampunk. E se negli anni gli emuli di Superman sono stati tanti e hanno ingrossato le fila dei cavalieri senza macchia e senza paura possiamo tranquillamente ammettere che di cavaliere oscuro ce n’è uno solo: Batman. E questo film riesce perfettamente nel suo scopo di raccontarcelo all’epoca dei primi casi.
Non si può chiudere senza una menzione d’onore per la colonna sonora di Michel Giacchino, forse la migliore fin qui scritta da lui, parte fondamentale della storia in ogni singola scena.
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