Prologo 

Tre tonnellate di acciaio, nanocarbonio e policeramica.

Non molte per un mezzo corazzato, ma bastanti a vestire un singolo uomo per la battaglia.

Sotto la corazza, grigi muscoli inerti bramano la vita, vogliono che in loro fluisca l’emolinfa che li renderà potenti, invincibili.

E la vita arriva, sia nella scarica elettrica dell’impulso d’avvio, gigawatt modulati come un singolo, potentissimo codice cibernetico, che nella più modesta forma biologica.

L’uomo, la carne, la polpa nel guscio.

Tre tonnellate di acciaio, nanocarbonio e policeramica, impossibili da muovere senza l’ausilio di montacarichi o attuatori; un gigante per gli uomini che deve proteggere, un mostro per quelli che deve uccidere.

Eppure null’altro che una pagliuzza nella vastità del fronte, figuriamoci nelle correnti inflazionistiche tra le dimensioni del multiverso, là dove compare l’ombra della sua potente complessione muscolare, la singolarità oscillante del suo generatore, già un secondo dopo essere stata implementata.

Il caso vuole che proprio contro questa minuscola pagliuzza di nera energia, nelle trame dei suoi muscoli, resti impigliato qualcosa, qualcuno, e là rimane. Valore aggiunto e ora potenza immanente alla struttura, attende il momento per manifestarsi.

Tre tonnellate di acciaio, nanocarbonio e policeramica; cariche di cannoni, missili, proiettori di energia letale; una massa a cui nulla manca per la battaglia, armi così fantastiche, precise e pericolose che a controllarle non può essere l’uomo, ma chi dall’uomo è stato creato per proteggerlo da se stesso, uccidendo altresì i suoi simili.

L’esotuta è ora pronta, avanza tra le trincee sotto un cielo solcato da traccianti e scie di condensa, dove missili esplodono a mezz’aria investiti da invisibili muri di microonde, dove lampi di luce coerente bruciano il metallo e la roccia. Giunge alla sua buca e vi si cala, attendendo immobile l’arrivo del nemico.

O della morte.

1. 

Tra le siepi di gardenie tutt’intorno al praticello, rigido come un cicisbeo in trepida attesa della sua amante, l’uomo se ne stava seduto in camporella.

Di tempo da aspettare ancora ce n’era, lo sapeva bene, eppure negli ultimi minuti non era proprio riuscito a distogliere lo sguardo impaziente dall’abbozzo del mirroring, ovvero dall’ombra proteiforme e multicolore, ancora solo vagamente antropomorfa, che stava lentamente delineandosi accanto a lui.

Sfuggire a quel tormento, ecco l’imperativo; via da quell’impasse soffocante in cui la percezione del tempo malignamente s’allungava a dismisura.

L’uomo ci provò imponendosi la calma, respirando profondamente e chiudendo gli occhi; ma poi, improvvisamente riavutosi e ancora più irritato dall’insensata e fallimentare mimesi del training autogeno, s’era deciso ad alzarsi e a fare una camminata.

Al suo passaggio le siepi, arpeggiando angeliche, s’erano scostate con grazia mentre le sue dita, sfiorando inavvertitamente i fiori, evocavano tralucenti icone, note e collegamenti che subito svanivano. I piedi scalzi avevano delicatamente scandito quel suo vagare, soffici passi tra verzure umide e fragranti e candidi fiocchi di polline, mentre sotto il cielo splendente si disegnava passo dopo passo la pianura a perdita d’occhio: l’orizzonte rigoglioso, splendente e irraggiungibile d’un paradiso bucolico in altissima definizione.

Nulla distraeva l’uomo dal suo tetro raccoglimento, però. Non le bellezze del paesaggio come i sussurranti messaggi che esso gli inviava.

Lassù, nell’armonia dei loro movimenti, greggi di piccole nuvole sbavavano corsivi inviti a comprare questo o quel pacchetto azionario; laggiù lo stormire di pioppi sussurrava l’opportunità di sostenere lo sforzo bellico del Patto Atlantico, prenotando da subito obbligazioni di guerra, ovviamente con investimento garantito. E quaggiù gnomi minuscoli discutevano ora tra i suoi piedi esigendo la giusta attenzione per la loro animosa diatriba.

– L’Abu Jihad non ha voluto ancora firmare la resa, eppure, già si intravedono le prime crepe nell’alleanza; insomma non vorrà dirmi che tra il Patto Atlantico e il Libero Mercato Orbitale è tutto un idillio.

– Non nego che ci siano problemi, ma non ritengo incrinata la compattezza d’intenti della coalizione.

Non erano più alti dei fili d’erba che li circondavano, eppure le loro voci, stentoree e acrimoniose, sembravano ruggite da tonanti mostri; giganteschi rumori per quant’erano piccole le loro bocche.

Ma giusto il tempo necessario all’uomo per inginocchiarsi e, con la vicinanza, il volume della discussione s’era subito regolato automaticamente alla normale tolleranza uditiva dello spettatore medio.