Editor, coach di scrittura, curatrice di collane e di antologie, saggista e, dulcis in fundo, scrittrice. In due parole: Giulia Abbate. L’autrice di Nelson è nata a Roma nel 1983, ma dal 2004 vive a Milano. Ha esordito nel 2011 con Lezioni sul domani, antologia di racconti di fantascienza. Ha pubblicato recensioni su portali di genere (Continuum, MilanoNera, ThrillerCafé) e racconti apparsi in varie antologie (Fuga da mondi incantati, Crisis, Canti d'abisso, Terra promessa, Occhi di Tenebra, La cattiva strada, Le Variazioni Gernsback e Strani Mondi). È cofondatrice di Studio83, agenzia di servizi editoriali specializzata nel sostegno agli autori esordienti, e cura la collana Futuro Presente per Delos Digital. Nel 2019 è uscito da Odoya edizioni Manuale di scrittura di fantascienza: Passaporto per l'eternità, scritto con Franco Ricciardiello, ed è quindi a lei che abbiamo rivolto alcune domande su cosa significa scrivere fantascienza e quali sono gli aspetti più rilevanti della scrittura, ma anche sull’importanza dell’editing e dei premi.
Sei autrice, con Franco Ricciardiello, del "Manuale di scrittura di fantascienza". Ci racconti come è nato questo progetto editoriale e in definitiva di cosa si tratta?
Tanto Franco che io, all'inizio separatamente, sentivamo l'esigenza di parlare di fantascienza in modo allora nuovo in Italia, legandola cioè alla scrittura creativa ed esortando autori e autrici un po' troppo “adagiati” sul concetto di "letteratura di idee" a non dimenticare l'importanza dello stile, dell'efficacia, dello scrivere bene le proprie pur belle idee. Io ne parlavo in una rubrica sul blog di Daniele Barbieri, e Franco la trovò mentre preparava un suo panel in merito, che tenne a Stranimondi nel 2018. Mi contattò e quasi subito mi propose l'idea di un manuale nel quale le risorse della fantascienza e quelle della scrittura creativa potessero rinforzarsi reciprocamente. Da subito siamo stati d'accordo sul rivolgerci a chi non conosce né l'una, né l'altra, per fornire un vademecum tanto teorico che pratico e trasmettere la voglia di scrivere fantascienza bene oggi.
Partendo per l’appunto dal Manuale, indicaci tre elementi essenziali a cui uno scrittore esordiente deve assolutamente attenersi per scrivere una buona storia di fantascienza.
Nel Manuale parliamo di aspetti tecnici e diamo strategie pratiche, senza mai dimenticare, però, che la fantascienza è un messaggio in una bottiglia e che ognuna/o di noi ha storie e necessità espressive diverse. Mi concentrerei su questo, dunque, proponendo come necessarie: convinzione, profondità, lealtà.
Quando si inizia a scrivere (non solo fantascienza, ma soprattutto fantascienza) bisogna avere la convinzione di poter dire qualcosa: non necessariamente qualcosa di nuovo o fatale, ma di certo qualcosa che crediamo di poter lasciare a chi legge, qualcosa che per noi è importante, qualcosa che crediamo meritevole di essere detto e passibile di contribuire in qualche modo alla vita delle altre persone. Può essere anche la meraviglia di un divertentissimo viaggio avventuroso, o la delicatezza di un racconto di tre pagine. Ma quello che abbiamo in mente deve convincerci e darci la speranza di passarlo in modo efficace, perché è qualcosa che in qualche modo conta.
Quando poi scriviamo la nostra storia, dobbiamo costruirla con una certa profondità, ovvero dopo un lavoro di scavo: costruire un mondo, o un alieno, o un paradosso, significa averlo abitato per un po', essersi fatte tante domande e aver sviluppato luci e ombre che non necessariamente riverseremo tutte sulla pagina, ma che, se ben esplorate, daranno anche a chi legge l'idea di una complessità affascinante. Suscitare domande e voglie insoddisfatte è importante tanto quanto dare risposte e descrivere bene: un testo capace di fare entrambe le cose è un mondo nel quale abbiamo abitato abbastanza a lungo noi per prime/i.
La lealtà è l'ultimo ma non ultimo elemento importante nel racconto di una storia. Consiste nel non rifilare "trucchi da quattro soldi" a chi legge, nel non voler "catechizzare" anche in presenza di messaggi forti, nel lavorare al massimo delle proprie possibilità e soprattutto nell'aver chiarito a sé stesse/i perché si sta scrivendo quella storia, rispettando quell'anelito senza "imbellettarlo" o adeguarlo a un supposto tempo o a una ipotizzata moda.
Tu sei anche una coach di scrittura, cioè una persona che aiuta uno scrittore esordiente a imparare gli strumenti di base per poter scrivere bene. Qual è la tua opinione sui concorsi per racconti e romanzi: sono utili per mettersi in mostra?
Essere coach di scrittura significa in effetti “aiutare”, come hai ben detto tu. Non solo aiutare a imparare, ma anche a coltivarsi: ognuno di noi ha doti e difetti diversi, ognuna di noi ha in sé la necessità di dire qualcosa, di seguire una certa strada diversa dalle strade altrui. Come coach, io ascolto, osservo, leggo, e poi aiuto la persona a farsi le domande che l'aiuteranno a sviluppare quel percorso.
La mia opinione sui concorsi è positiva, con solo una piccolissima riserva. Partecipare a un concorso letterario è un ottimo modo in primis per mettersi alla prova. Scrivere un testo e poi correggerlo, avendo in mente che verrà “giudicato”, ci mette in una condizione diversa già in partenza, ci dà occhi diversi, alza l'asticella di ciò che pretendiamo da noi stesse/i. Mandarlo, poi, e aspettare il verdetto… e magari, come succede con i concorsi Delos Digital, ricevere una valutazione breve e incisiva… altre tappe formative che reputo imprescindibili.
I concorsi, poi, specialmente nell'ambiente della fantascienza, permettono anche di emergere e come hai detto tu di mettersi in mostra: sono un modo per farsi conoscere, per entrare in questa comunità piccola e attenta con un piccolo riconoscimento di base che rassicura e fa sentire meglio accolte/I.
La mia riserva quindi non è legata alla partecipazione ai concorsi, piuttosto alla scelta. Alcuni concorsi sono più validi di altri, e non ha tanto senso, ad esempio, partecipare a decine di concorsi pulviscolari per il piacere pure godibile di conquistare una targa in più. Secondo me è anche bello alzare gradualmente l'asticella di cui sopra, e man mano che si fa esperienza scegliere mete ogni volta un po' più difficili.
In questo modo possiamo crescere, diversamente rischiamo persino di involvere: e nel nostro ambiente fantascientifico involvere non è difficile, perché i premi sono pochi, e se sei brava/o il rischio di sentirtelo dire troppo a lungo porta a un comodo e caldo posticino sugli allori, che poi è difficile abbandonare.
E le scuole di scrittura? Possono essere un passaggio fondamentale per chi vuole iniziare a scrivere storie e, in particolare, quelle di fantascienza?
Quest'anno Franco e io abbiamo condotto il nostro primo corso di scrittura di fantascienza, quindi ovviamente la mia risposta è sì. Le scuole di scrittura non sono molte, quindi la scelta non è così ampia né potenzialmente confusiva. E frequentare un luogo anche virtuale dove confrontarsi secondo me è prezioso.
Al contrario, mi capita spesso di sentire giudizi sprezzanti sulle scuole di scrittura (d'accordo, ogni tanto scappano anche a me) quando si deplora un certo livellamento dello stile e delle tematiche, difetti imputati spesso anche all'editing. Diciamo quindi che ogni "scuola" ha in sé il rischio di "formare" in un certo modo, nel contesto attuale è quasi fisiologico – sarebbe bello costruire una pedagogia della libertà anche per la scrittura, e in generale per gli insegnamenti tecnici!
Resta comunque importante la terzina di cui sopra: la tecnica è la base imprescindibile sotto i nostri passi, il confronto e l'educazione ci danno forza, la strada però compete a noi.
Con Elena Di Fazio curi anche la collana Futuro Presente per la Delos Digital, dove pubblicate storie di fantascienza sociale. Quali elementi deve avere un racconto o un romanzo breve affinché possa essere pubblicato in questa collana?
Futuro Presente accoglie racconti dalle 45.000 alle 110.000 battute, con il motto: "guardare al futuro per capire il presente". Come da tradizione del genere, chiediamo che la storia contenga agganci con il qui e l'ora, magari una critica, ma non solo, va bene qualsiasi modalità che apra finestre di riflessione sul nostro presente. Per il resto, massima libertà: abbiamo pubblicato space opera, avventura, cyberpunk, solarpunk, fantascienza umoristica, o lirica, o fiabesca, o rigorosamente scientifica, o con tratti horror e avventurosi, e così via. Preferiamo ambientazioni italiane, proprio perché una riflessione utile è quella che ci riguarda e ci coinvolge da vicino, ma questa condizione non è obbligatoria: nel momento in cui un'autrice o un autore è convinta/o della necessità del suo setting a noi va bene.
Nella collana è apparsa recentemente l’antologia Le donne di P, che è il frutto del concorso Tomo Contest. Ci spieghi di cosa si tratta e che genere di racconti troveranno i lettori?
Il Tomo Contest è nato dall'idea di una libraia, Nicoletta Frasca, e di una scienziata e astrofisica, Barbara Negri, entrambe socie della libreria indipendente Tomo di Roma. Mi hanno coinvolta per fare da giurata, dato che il tema scelto è stato "Il futuro secondo noi" e il genere richiesto era dunque la fantascienza. I racconti che ci sono arrivati, tutti entro le 20.000 battute, sono stati interessanti, a tratti sorprendenti: per me è stato naturale proporre la pubblicazione in Futuro Presente, favorita dal fatto che le storie selezionate (e quasi tutte quelle arrivate!) contenevano interessanti agganci sociali.
“Le donne di P” contiene quindi i cinque migliori racconti arrivati al Tomo Contest: i tre sul podio, più due menzionati dalla giuria come meritevoli. Li ho naturalmente editati e accompagnati da una prefazione che racconta la genesi del concorso. E li consiglio perché sono storie brevi, fulminanti, divertenti, varie, da penne nuove che spero ci daranno presto altre belle storie.
Sempre con Elena, dal 2007, siete le animatrici dell’agenzia di servizi editoriali Studio83. Una delle fasi più importanti della scrittura di un romanzo è l’editing. Ci spieghi di cosa si tratta e quanto è importante questa fase?
L'editing è un momento importante che segue la scrittura della prima bozza ma fa parte a tutti gli effetti del processo di scrittura professionale tout court. Io sono editor indipendente, quindi ho quello che considero un privilegio: lavoro al servizio del testo e in aiuto all'artista, slegata da considerazioni editoriali e "di scuderia" che a volte rendono le cose più difficili.
L'editing che svolgiamo da indipendenti è un intervento che aiuti il testo a dire ciò che intende dire: e per far questo spesso "interveniamo" prima su chi lo scrive, per aiutarlo/a a capire cosa si vuole dire, che non sempre è scontato! La "sistemazione" della frase o del passo in termini stilistici è una parte del lavoro, noi sentiamo di dover andare più alla radice: anche la scelta di uno stile letterario merita una riflessione.
In generale, comunque, quello che ci prefiggiamo di fare è aiutare l'autrice/autore a trovare la sua voce, e da lì poi a svilupparla con consapevolezza. Noi facilitiamo questo percorso e ci siamo anche dal punto di vista "morale": segnaliamo editori e consigliamo concorsi, diamo conforto e incoraggiamento quando qualcosa non va, riceviamo con gioia gli aggiornamenti e festeggiamo i traguardi.
La scrittura è un mestiere a volte troppo solitario, avere un editor significa anche poter contare su una persona amica che ci conosce, ci riconosce e tifa per noi.
Ovviamente sei anche autrice di racconti e romanzi. Vuoi dare un consiglio ad un giovane che vuole esordire su come individuare l’editore che più fa al caso dell’opera che ha scritto e come approcciarlo?
È un consiglio molto semplice, ma, mi rendo conto, ancora controintuitivo: trova storie pubblicate che assomiglino alla tua, e rivolgiti a chi le pubblica.
Nel “senso comune” mi pare valga ancora il contrario, in una mal compresa idea di “nuovo”: si vorrebbe insistere sull'originalità, sulla novità, sul coefficiente di “rottura” di un testo… ma queste sono politiche pubblicitarie che ormai solo le big si ostinano a foraggiare, e che fanno più male che bene, in primis alle autrici e agli autori così spinti, che poi vengono buttati via una volta che il "nuovo" della stagione si è esaurito.
Una buona prima pubblicazione si fa con un editore indipendente, che ha un pubblico ben preciso al quale piacciono certe storie precise. Proporre anche la propria in una cornice del genere, fatta di persone formate e motivate da entrambe le parti, significa darsi l'opportunità di dialogare e di crescere, e spesso di pubblicare tout court, visto che avere attenzione dalle CE indipendenti è più facile. Ma lo è, beninteso, a certe condizioni.
Dando per scontato che il testo che proponi sia di qualità e già ben lavorato, la presentazione è importantissima: una proposta editoriale professionale fa spesso la differenza, non solo per la pubblicazione, ma anche solo per la considerazione. Per non tacere del fatto che a un editore fa davvero comodo avere bei testi di presentazione… mi capita spesso di vedere i miei redazionali sulle quarte di copertina dei volumi pubblicati, e la cosa mi fa immensamente piacere, perché un mio buon lavoro ne ha facilitati almeno altri due, quello dell'autrice/autore e quello della casa editrice.
Una delle cose fondamentali è leggere prima ancora di scrivere. Quali sono gli scrittori, di fantascienza e non, che in qualche modo hanno ispirato sia i contenuti delle tue storie sia lo stile?
Leggo talmente tanto e talmente da sempre che non saprei indicarti dei riferimenti sopra altri.
Leggo tanta letteratura non italiana e non anglosassone, forse se dovessi trovare dei riferimenti indicherei libri che mi hanno "formata" perché letti quando ero molto piccola (e già incallita): come i grandi russi, Cechov, Puskin, Turgenev, Tolstoj, con il loro respiro trascendente, la loro vena di surreale follia. Oppure le autrici sudamericane come Gioconda Belli, il suo splendido sincretismo anche stilistico tra corpo, tradizione, sesso, politica, e la prima Isabel Allende e la sua indimenticabile ferocia. Quasi mio malgrado torno spesso a Yukio Mishima, il suo insopportabile massimalismo è anche un esempio di coraggio dell'arte sulla vita, e non esclude passi di grande delicatezza e sensibilità. Una maestra sempre amica è Ursula K. Le Guin, che mi ispira anche per le tematiche.
Leggo anche tantissimi saggi: in ogni storia che scrivo sento di avere una voce diversa, legata a quella specifica storia, e il lavoro per me è capire cosa metterci dentro, scegliere tra i miei tanti e ossessivi filoni di indagine per capire dove si colloca quella storia, e cosa potrà dare a chi la leggerà.
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