Per la sesta uscita dedicata alla riproposizione dell’opera omnia di Attilio Micheluzzi, Npe porta sugli scaffali delle librerie l’edizione integrale di Roy Mann, personaggio pubblicato in origine su Comic Art dal 1987 al 1991.

Correva l’anno 1987, il 15° della (troppo) breve carriera di Attilio Micheluzzi, il più famoso architetto del fumetto Italiano, noto già all’epoca anche al di fuori del nostro continente. Attilio da poco ha concluso un romanzo grafico vagamente ispirato a Dove finisce l’arcobaleno (Cry Wolf, 1976) di Wilbur Smith, o meglio una riscrittura riveduta e corretta dell’opera dello scrittore sudafricano, il meraviglioso Bab El Mandeb. La redazione di Comic Art gli propone di lavorare a Roy Mann, soggetto su cui già aveva effettuato alcune tavole di prova Roberto Raviola (in arte Magnus) ma che poi si era diretto su altri progetti.

La sceneggiatura è firmata da Tiziano Sclavi, autore da poco reduce della creazione di Dylan Dog, personaggio che in quell’epoca era ancora lontano dal suo vero boom. Micheluzzi aveva già incrociato Sclavi al Corriere Dei Ragazzi all’inizio degli anni ‘70 dove entrambi avevano cominciato a lavorare, ma mai insieme. In uno strano mondo, iniziale episodio di Roy Mann, nasce come storia autoconclusiva ma aperta ad eventuali sequel nel caso avesse ricevuto il plauso del pubblico, cosa che non tardò ad arrivare.

New York, 1936. Roy Mann, sceneggiatore di fumetti per la casa editrice Wonder Comics esce di casa per andare a lavoro con la sua decapottabile gialla e: imbroccando il ponte di Brooklyn l’auto si solleva e comincia a volare nel cielo azzurro fino all’amaro suono della sveglia, che riporta l’uomo alla realtà con l’amarezza di non sapere come continui quel sogno. Mentre si veste dalla cucina un frastuono gli fa immaginare il titolo del giornale (che rimarrà una delle frasi più famose dell’opera): “Esplosione nella diciottesima strada: il noto scrittore di fumetti Roy Mann vittima di un attentato? La polizia sospetta di una caffettiera, nota pregiudicata”. L’esplosione della caffettiera sarà un motivo ricorrente in tutta l’opera, una sorta di segno che separa la realtà dall’inizio dell’impossibile. E l’assurdo non tarda ad arrivare: ripercorre come nel sogno le stesse strade affollate ed effettivamente al ponte prende il volo, con lo stupore dell’ignaro guidatore che non controlla il velivolo. Dopo avere rischiato una collisione con un piccolo aereo da turismo, scena che è un omaggio a una delle storie più famose di Floyd Gottfredson: Mickey Mouse e il mistero dell’uomo nuvola (1937), Roy giunge su una avveniristica aeronave mimetizzata alla vista da una finta nuvola. Qui esplorando il mezzo disabitato incontrerà Lara, una formosa bruna vestita solo di gioielli che lo attende con aria lasciva in un letto a forma di valva, novella venere di Botticelli. Lara si presenta come le esotiche discinte protagoniste che campeggiavano sulle copertine dei pulp anni 30, descrivendo particolari situazioni che in quei romanzi portavano però di solito con un nulla di fatto, così come racconta Harry Harrison nel suo Great Ball of Fire (1977) , una piccola storia illustrata del sesso nella fantascienza. In questo caso, però, la situazione si capovolge (o forse si normalizza), poiché il nostro eroe farà una piena e soddisfacente conoscenza biblica della ragazza. Lara rappresenta una sintesi delle eroine dell’epoca d’oro del fumetto americano: la Diana Palmer di Phantom, la Dale Arden di Flash Gordon e la Wilma Deering di Buck Rogers. Proprio citando uno dei disegnatori di quest’ultimo Roy esclamerà vedendo delle avveniristiche armi “Dick Calkins non le disegna cosi”. 

Una serie di incredibili avvenimenti, familiari in qualche maniera al malcapitato protagonista perché presenti nei fumetti da lui stesso scritti, condurranno Roy lungo tutto il globo, da New York al Tibet, passando per Napoli, inseguendo Ling, lo spasimante di Lara, archetipo del cattivone, molto simile al Ming del Flash Gordon di Alex Raymond.

L’idea alla base della nostra opera è presa in prestito da un piccolo classico di Hollywood, Sogni Proibiti a sua volta tratto dal racconto La vita segreta di Walter Mitty di James Thurbe. Mitty, vessato da una madre ossessiva che vuole imporgli una antipatica consorte, è un correttore di bozze di una editrice di letteratura popolare di proprietà del Signor Pierce, suo principale, che gli ruba anche le idee. Profondamente infelice di questa vita spesso sogna letteralmente ad occhi aperti. Di volta in volta è un pilota della Raf, un pistolero nel West, un famoso chirurgo, sempre inseguendo una bella e impossibile che scoprirà poi essere reale e non un parto del suo inconscio. Nel 1983 Neri Parenti ne realizzerà  una versione Italiana con  protagonista Paolo Villaggio (Sogni Mostruosamente Proibiti) mentre nel 2013 nel remake I sogni segreti di Walter Mitty ritroveremo Ben Stiller nel ruolo di Walter.

Altro spunto fondamentale per la struttura di Roy Mann è il romanzo Assurdo Universo (What made Universe, 1949) di Fredric Brown, autore cardine della fantascienza mondiale, molto famoso anche ai non appassionati per il racconto La sentinella, presente anche nelle antologie scolastiche e al reading che Arnoldo Foà ne fece nel programma Racconti di Fantascienza, per la regia di Alessandro Blasetti, della Rete Due (oggi Rai Due) nel 1979. Ritornando ad Assurdo Universo, in alcune vignette Roy legge proprio questo libro e il primo episodio si chiude con una citazione dello stesso. Nel capolavoro di Brown il protagonista Keith Winton è il responsabile di una rivista di fantascienza; a causa di un incidente dovuto al fallimento della prima missione lunare, Winton finisce in una realtà alternativa, in qualche modo quella a lui più congeniale tra le infinite possibili.  L’elemento che divide la nostra realtà da quella del protagonista è l’esplosione di un razzo che in Roy Mann sarà sostituita da quella della già citata Caffettiera.

Il secondo episodio è un omaggio al cinema (e al fumetto) di guerra classico, già nel titolo omaggia il classico kubrikiano Orizzonti Di Gloria. Il direttore Wonder è su tutte le furie con Roy, non è contento dell’ultima storia che sta leggendo che poi è niente altro che “uno strano mondo”, le avventure vissute nel primo numero. Nel momento in cui suggerisce che ci sarebbe bisogno di una storia di guerra un’esplosione scuote il palazzo che letteralmente affonda nel suolo. Gli Stati Uniti sono in guerra contro… se stessi! L’America cinematografica combatte contro quella iconica newyorkese. Roy Mann perde la memoria e viene ricoverato in un ospedale di guerra, dove Lara fa infermiera e Ling da medico da campo. Indiani in assetto da combattimento fronteggiano sbarchi di Marines mentre Cecile B. De Mille gira reportage al fronte rivoluzionari simil castristi si aggiungono alla scena. L’atmosfera richiama il divertentissimo film 1941: Allarme ad Hollywood (1979), dove i due non ancora Blues Brothers (che gireranno l’anno dopo) Dan Akroyd e Jim Belushi recitano nella prima commedia di Spielberg. Come l’opera del papà di E.T. demoliva l’ideale di invincibilità dell’esercito americano e l’ipocrisia della cinematografia hollywoodiana così in questo episodio Roy Mann si smonta la stucchevole retorica di opere come il Sergente York (1941, interpretato da Gary Cooper), con omaggi anche a un altro classico kubrikiano, il dottor Stranamore.

Riannodati i fili della strana esistenza e battuto di nuovo il perfido dottor Ling, Roy Mann si dedicherà alla sua Lara amoreggiando su una semisommersa Statua della Libertà fin quando il suono della sveglia lo riporterà alla realtà. Il tutto avviene all’inizio dell’episodio finale, dove la riflessione sui suoi strani sogni (che altro non sono che i precedenti episodi) si scontrano con una strana inquietudine e una particolare quotidianità fatta di piccoli dettagli che volta per volta cambiano o scompaiono come in una vecchia puntata de “Ai confini della realtà” di Rod Sterling. L’episodio perde la (apparente) scanzonatezza dei precedenti ma in un crescendo ricostruisce e annoda particolari che, apparendo precedentemente privi di senso, ridanno forma e senso a tutta la trama, rovesciando punti di vista e sensazioni, sia dei protagonisti che del lettore.

Nato come piccolo esperimento in Roy Mann ritroviamo temi riguardanti la percezione della realtà che la cinematografia avrebbe tratto anni dopo in titoli come Dark City (Alex Proyas 1998), Matrix (diretto dai fratelli poi sorelle Wachosky) o il Truman Show di Peter Weir consolidandosi come uno dei capisaldi della letteratura disegnata.