Nei film di fantascienza che parlano di alieni c’è sempre stato un atavico problema: come rappresentarli fisicamente senza scadere nel ridicolo. Impresa non facile, soprattutto agli inizi della cinematografia quando gli effetti speciali (però non sempre necessari) latitavano.
Infatti ci sono film di buon livello, come ad esempio Occhi dalle stelle (1978) diretto da Mario Gariazzo e di cui ci siamo già occupati, che però hanno un limite oggettivo negli extraterrestri rappresentati con delle tutine elastiche.
Una delle poche eccezioni, pure essa recensita in questa rubrica, è stato Signs (2002) interpretato da Mel Gibson e diretto da Manoj Nelliyattu Shyamalan, in cui gli alieni sono solidi e potenti “lucertoloni” che spaventano.
In questo articolo ci vogliamo occupare di un ottimo film di fantascienza/horror, spesso i generi sono contaminati, che ha l’angoscia come protagonista: Dark Skies – Oscure presenze, diretto da Scott Stewart, prodotto negli Usa nel 2013 e della durata di 97’. La trama sembra quella del classico film sulle case infestate ed infatti il produttore è lo stesso di Paranormal activity e il gran numero di telecamere utilizzate sta lì a ricordarlo. Ma veniamo alla trama.
Una tipica famiglia americana è composta dai genitori Daniel (Josh Hamilton) e Lacy Barrett (Keri Russell), padre e madre di Jesse (Dakota Goyo) e Sammy (Kadan Rockett), il maggiore e il minore dei figli.
Le atmosfere solari e ventose, ma di una luce troppo vivida che inquieta e turba e non promette nulla di buono, sono alternate a notti lunari, prodighe di eventi numinosi.
In questo clima si inserisce la vicenda della una crisi lavorativa di Daniel che viene licenziato e non riesce a trovare un nuovo lavoro e questo stato di ansia si propaga a tutti i membri della famiglia.
Dopo questo evento nella casa in cui abitano si verificano due “poltergeist” notturni consecutivi. Nel primo viene svaligiato il frigo e si pensa ad un animale selvatico entrato in casa e non gli si dà troppa importanza, mentre nel secondo c’è del metodo: in cucina viene allestita una specie di “scultura” impilata, fatta con barattoli e utensili disposti in un equilibrio improbabile. Una composizione che inquieta molto Lacy e di cui sono sospettati i figli.
Il più piccolo, Sammy, pare al centro delle azioni di infestazione. Riferisce infatti di ricevere di notte le visite di un “omino del sonno” che gli parla. La madre è spaventata e pensa che il figlio stia male e per questo si attivano anche controlli medici.
Il film è molto ben congeniato nella trama con il soggetto e le sceneggiatura firmata sempre dal regista.
Inizialmente lo spettatore è portato a credere che si tratti di un classico film horror con una dinamica prevedibile e cioè un caso di infestazione spiritica di una vecchia abitazione americana, un genere ben noto e collaudato.
Ma con lo scorrere del tempo e dell’avanzare della trama ci si rende conto, si è quasi trascinati per mano a farlo, che il film tratta d’altro e cioè di alieni, extraterrestri della specie più conosciuta e cioè i famosi “grigi”.
Lo spettatore è condotto per gradi a rendersene conto. In una avvincente epifania. I “poltergeist” non sono veri fenomeni spiritici quanto invece manifestazioni aliene (i protagonisti notano delle cicatrici dietro le orecchie che nascondono dei chips) che sembrano vertere intorno al piccolo Sammy. Ma in realtà quasi tutti i membri della famiglia cadono in una sorta di trance che procura loro anche guai fisici, come lividi, che insospettiscono le autorità.
Daniel sistema diverse telecamere di videosorveglianza che alla fine riescono a catturare in un fotogramma una “presenza”. Si tratta di un alieno grigio.
La svolta della storia si avrà solo quando la moglie Lacy incontrerà in una chat un esperto di abduction che spiegherà a loro (e a noi) che sono vittime di un tentativo di rapimento da parte dei grigi.
Daniel si procura allora un fucile a pompa e si barrica in casa, ma appena giunta la notte la famiglia viene aggredita dagli alieni che risultano appunto “grigi” di aspetto molto alto rispetto alla norma, che alla fine di sequenze di vera paura rapiscono il figlio maggiore, Jesse.
Si scopre così che Jesse è stato attenzionato da piccolo dagli extraterrestri, lo scopre la madre tramite dei disegni che ha fatto nell’infanzia e che lo ritraggono insieme a tre alieni e che solo adesso riesce a vedere.
Durante le drammatiche scene finali Jesse viene rapito.
Ed infine il finale con una perla dell’orrore.
Qualche mese dopo il fratello più piccolo prende in mano una radio trasmittente giocattolo con cui era uso giocare con il fratello maggiore e stabilisce un contatto: dall’altra parte, da una distanza remota e siderale, si ode una voce lontana e disturbata: è quella di Jesse che chiede aiuto. Un finale particolarmente inquietante con una colonna sonora di sottofondo che rende ancora più tetra la scena.
Un film forse non molto noto al grande pubblico, ma di sicuro interesse per gli specialisti, un’opera che dal punto di vista della suspense non ha nulla da invidiare ad altri lavori più blasonati.
Va rimarcata ancora una volta l’eccezionale capacità del regista di produrre un continuo stato di tensione irrisolta e di aver prodotto alieni di ottimo livello, per così dire.
1 commenti
Aggiungi un commentoE anche la sintetica ma essenziale rappresentazione qui fatta da Vatinno, mantiene intatta la suspense.
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