È uscito nelle sale italiane il documentario Jodorowsky’s Dune, documentario opera del regista newyorkese di origine croata Frank Pavich.
Il sottotitolo sulla locandina recita cosi: “Il più grande film di fantascienza mai fatto”. Il trattino che sottolinea il mai non è un errore, ma una semplice anticipazione: quella che avrebbe dovuto essere la più grande opera di fantascienza cinematografica (e non solo) per le idee, i nomi coinvolti nel cast e nella produzione, non si è (purtroppo) mai realizzata.
Il documentario nasce grazie ad una serie di chiacchierate, filmate nel corso di tre anni, che Pavich ha avuto con il poliedrico artista cileno naturalizzato francese Alejandro Jodorowsky, unita ad una serie di interviste a personaggi coinvolti a suo tempo nel progetto e alle animazioni dei concept e dei disegni provenienti dagli storyboard originali.
Il primo a pensare ad una trasposizione filmica della saga di Frank Herbert fu Arthur P. Jacobs nel 1971. Il produttore californiano, che doveva il suo successo tra l’altro alla saga del “Pianeta delle scimmie”, rileva i diritti dell’opera. Per regia e sceneggiatura Jacobs vuole andare sul sicuro con la coppia David Lean e Robert Ball, che avevano realizzato i capolavori: “il Dottor Zivago” e “Lawrence d’Arabia”. Jacobs purtroppo non vedrà realizzato il suo film poiché morirà l’anno seguente a causa di un attacco di cuore e il progetto si momentaneamente arena.
Nel 1974 i diritti per la realizzazione cinematografica passano a un consorzio francese. Michel Seydoux, milionario parigino, futuro presidente della squadra del Lille, finanzia l’opera e solo anticipando verbalmente la trama a Jodorowsky, che all’epoca non aveva neanche letto il libro, ottiene il suo completo ed entusiastico coinvolgimento. L’autore cileno qualche tempo dopo racconterà:
“Il tema del romanzo mi è piaciuto molto. Con Dune avevo trovato un romanzo che era la continuazione dei film che scrivevo. Quel tema mi permetteva di fare questo film una profezia e di pormi al servizio di un’idea capace di realizzarmi”.
A quell’epoca il regista (ma anche poeta, scrittore, autore di fumetti, saggista e molto altro) aveva realizzato tre pellicole. Il paese incantato (Fando y Lis, 1968), film surrealista con temi che richiamano Luis Buñuel e Fellini, narra il viaggio di due innamorati in un mondo post apocalittico verso un paese dove ogni desiderio può realizzarsi. Il film visionario e sconvolgente, tanto da essere bandito dal Messico fino al 1972, grazie anche al plauso di registi come Roman Polansky che avevano potuto visionarlo, diventa un successo. Questo gli permette di mettere in cantiere la sua seconda opera, il western El Topo, del 1970 in cui Jodorowsky interpreta il protagonista. El Topo (la talpa) è un pistolero che si muove in un deserto senza nome tra mutanti e personaggi grotteschi in cerca di una filosofica illuminazione. John Lennon considera la pellicola come il suo film preferito e insieme a Yoko Ono finanzierà il suo terzo film, La montagna sacra: Opera fantasy/drammatica che mescola filosofia orientale e teologia cristiana che parteciperà alla ventiseiesima edizione del festival di Cannes.
L’idea di realizzare Dune o meglio la sua personalissima visione è per Jodorowsky la naturale continuazione della sua produzione. Si circonda di un gruppo di collaboratori, ognuno fondamentale per l’opera, che definirà i suoi personali sette samurai, di cui il primo è il già citato Seydoux. Il secondo Samurai è Jean Giraud al secolo Moebius, uno dei massimi autori mondiali di letteratura disegnata (Arzach, Il Garage Ermetico, L’incal), che realizzerà 3000 disegni per l’opera tra cui l’intero Storyboard. Il terzo è il britannico Chris Foss, noto per le copertine delle edizioni inglesi dei cicli della Fondazione di Isaac Asimov e dei Principi Demoni di Jack Vance, che deve per Dune visualizzare gli scenari galattici e le astronavi più incredibili. Il quarto è il genio del surrealismo Salvador Dalì che dovrà vestire il ruolo dell’Imperatore e che introduce il quinto samurai: il non ancora noto (a quei tempi) Hans Ruedi Giger, futuro ideatore del design delle creature di Alien, che dovrà occuparsi delle scenografie. Una di queste ultime doveva essere il castello del Barone Harkonnen, una scultura titanica raffigurante il barone stesso dove le astronavi sarebbe atterrate su una gigantesca lingua di granito. Il sesto è Dan O’Bannon, il compagno di corso all’università di John Carpenter con cui aveva realizzato Dark Star, che ha il compito degli effetti speciali. Settimi sono i Pink Floyd che in quel periodo stavano registrando “The Dark Side of the Moon”. I grandi nomi legati al progetto non erano però di certo finiti: Mick Jaeger, leader dei Rolling Stones, sarebbe stato Feyd-Rautha Harkonnen, nipote del malvagio Barone Harkonnen, a sua volta interpretato dal mitico Orson Welles. Charlotte Rampling, che aveva recitato con Liliana Cavani e Luchino Visconti, sarebbe stata Lady Jessica. Ancora Gloria Swanson, la diva de Il viale del tramonto di Bill Wilder e la Agrippina di Mio figlio Nerone di Steno, avrebbe interpretato la Revenda Madre Gaius Helen Mohiam. Jodorowsky avrebbe voluto interpretare Leto Atreides, ma i troppi impegni lo avrebbero messo in difficoltà e decise quindi di dare tal ruolo a David Carradine,famoso per Kung Fu, ma ancora lontano dal Kill Bill Tarantiniano. Altri ruoli dovevano andare ad Amanda Lear (all’epoca compagna di Dalì), Geraldine Chaplin ed Alain Delon. Nelle scene di massa nel deserto i figuranti sarebbero stati prestati dall’esercito algerino.
Nel 1976, dopo due anni di lavoro, Jodorowsky va negli Stati Uniti per proporre il progetto alle varie Major, ma queste, temendo l’alto costo dell’impresa unita alla paura di realizzare un film così complesso con un regista di sicuro non facile, rifiutano tutte. Alejandro, non trovando altra via, è costretto a sciogliere il gruppo e terminare qualsiasi attività.
Qualche anno dopo il musicista Jean-Michael Jarre, marito di Charlotte Rampling, avrebbe voluto salvare parzialmente il progetto. Avrebbe realizzato il film in versione animata sfruttando la squadra di disegnatori selezionata da Jodorowsky. Pur avendo pronta la considerevole cifra di dieci milioni di dollari da investire, i diritti erano nel frattempo già stati venduti a Dino de Laurentiis che, poi, avrebbe prodotto il Dune di Lynch del 1984.
Il progetto non realizzato di Jodorowsky avrebbe vissuto riflesso nelle successive opere che avrebbe direttamente o indirettamente influenzato. Alien, sceneggiatura scritta da Dan O’Bannon, scenografie di Chriss Foss, gli Xenomorfi disegnati da Giger, Moebius avrebbe collaborato ai costumi. Alcune idee per le scenografie e i Costumi di Dune si sarebbero viste in Guerre Stellari (che ha nel proprio script clamorose somiglianze con Dune). Jodorowsky e Moebius avrebbero poi trasferito molte delle loro idee nella graphic novel a tema spaziale L’incal (il cui titolo originale era Un'avventura di John Difool)
Il Dune di Jodorowsky è un film Mai realizzato, ma senza cui molto del nostro immaginario fantastico non esisterebbe.
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