Non esiste critica capace di demolire una moda.

C’è qualcosa di “religioso” in questa impenetrabilità

alla critica, per quanto ristretto e settario possa essere

il suo modo di manifestarsi. Ma talune mode culturali

sono estremamente significative per lo storico delle

religioni, anche al di là di questo aspetto generale.

La loro popolarità, specialmente tra gli intellettuali,

ci rivela qualcosa dell’insoddisfazione, degli impulsi

e delle nostalgie dell’uomo

Mircea Eliade

La cambusa era stivata, i turisti alloggiati, gli ufficiali in plancia stavano aspettando che il Capitano desse l'ordine di partenza. Nell’aria si respirava eccitazione: quello non sarebbe stato il solito viaggio di routine perché si stava inaugurando il vascello di prima classe turistica Solar, uno dei migliori incrociatori intergalattici da diporto mai prodotti sulla Terra.

Ben Tour, un aitante giovanotto di razza caucasica, occhi e capelli scuri, nonché aiuto cuoco e dottore fresco di laurea in Arte Culinaria, era al suo primo incarico. Si aggirava laborioso per la cucina di bordo mettendo a punto l’ultima simulazione di prova delle tre stampanti da cucina, splendide e raffinatissime macchine di ultima generazione che tutti chiamavano con l'affettuoso nomignolo di pentolacce. Un termine il cui significato originale nessuno avrebbe più saputo spiegare, perso nella notte dei tempi.

 

La voce della relatrice cominciava a diffondere tra il pubblico un filo di sonnolenza.

– Ora… non si deve pensare che una laurea in Arte Culinaria fosse in diretto rapporto con del cibo, a quei tempi. Si trattava più che altro di mandare a memoria un mucchio di schemi elettrici, conoscere le infinite variabili dei tre sensi, gusto odorato e vista, oltre a imparare sofisticate nozioni di neuroscienza cognitiva. Il prodotto commestibile finito doveva infatti possedere i requisiti necessari a soddisfare i tre sensi. Non è un caso se tra gli esami più onerosi c’era appunto psicologia cognitiva. Nell’Anno Tremila dell’Era Intergalattica, la cui numerazione dell’Anno Primo corrispondeva all’inizio del primo allunaggio, ormai più nessuno ricordava che, molto tempo addietro, l’umanità si cibava di vegetali e animali terrestri e marini. Con l’avvento delle stampanti tridimensionali si cominciò a mangiare solo cibo digitalizzato, ma non era stato facile cambiare l’appetito delle masse.

Per abbreviare i tempi i Cinque Governi Globali, di comune accordo, avevano proibito la raccolta di qualunque forma di vita, promuovendo una campagna capillare che faceva appello alla salvezza dell’ecosistema terrestre prossimo a collassare. In realtà, come si è scoperto solo cinquant'anni fa, il modo per continuare a sfamare la gente nel modo tradizionale ci sarebbe stato ancora, ma per le maggiori compagnie produttive di quell’epoca risultò essere molto più remunerativa una produzione artificiale che non sfruttasse tecniche di coltivazione integrate con l’ambiente.

È anche vero che alcune tribù asiatiche avevano continuato a gestire traffici sotterranei di insetti commestibili e che presso alcune etnie sudafricane ogni tanto spariva un viaggiatore incauto, e che addirittura in Europa si erano scoperte piccole piantagioni di segale, per non parlare di quella volta in cui, nell’antica Colombia, era stato sventato un traffico illecito di funghi. Ma si era trattato di episodi sporadici e comunque taciuti al grande pubblico. Sporadici perché le pene erano severissime e i trasgressori venivano trasferiti, a processo concluso e spesso per sempre, sul gelido Plutone.

Per sradicare ogni conoscenza alimentare, i Cinque Governi avevano anche provveduto a togliere dalla circolazione ogni libro di cucina e biologia alimentare, e dopo l’entrata in vigore della Legge Biosistemica nemmeno i fondi bibliotecari possedevano più un solo testo consultabile in materia. Il cibo poteva essere prodotto solo dalle stampanti, le quali, una volta inserite le complesse variabili di cui occorrevano, provvedevano a sfornare blocchi di tonalità cromatiche spesso molto originali e dalle ricercate forme astratte.

              

L’astronave si staccò da terra e in pochi minuti attraversò l’atmosfera terrestre. Era previsto un attracco su Marte per la messa a punto necessaria a completare il viaggio di andata, e poi sarebbero partiti per l’iperspazio. Destinazione: Nano Blu, un piccolo pianeta vergine con caratteristiche simili a quelle terrestri, situato nella lontana galassia di Andromeda. Da qualche tempo il pianeta era diventato una meta turistica ambitissima, seppure proibitiva per il costo della crociera, perché si presentava come la Terra prima che la tecnologia umana ne modificasse l’ecosfera. Cioè, intatto.

In qualche modo, l’inconscio collettivo umano ancora soffriva per le ferite inferte al pianeta natale, e alcune piccole sacche di popolazione terrestre erano profondamente attratte da un sistema di vita secondo natura che, con il suo indiscriminato passato tecnologico, l’umanità si era preclusa. Vero è che la mancanza di una reale memoria del retaggio culturale aveva trasformato questo desiderio, dimenticato e soffocato senza pietà nei tempi antichi, in un’eccentricità per facoltosi. Era un po’ una moda, insomma, senza una reale conoscenza a monte, ma forte di una passione collettiva sempre più evidente che però non sapeva verbalizzare in altro modo questa pulsione.

Ben Tour stava trafficando con le coordinate da inserire nelle pentolacce. Aveva a disposizione quindici basi qualitative per soddisfare i tre sensi e, con queste nuove macchine, riusciva ad arrivare addirittura a venticinque, accedendo alle impostazioni avanzate. Le possibilità di interazione erano molto ampie, seppure la costante più importante rimanesse sempre e solo quella estetica, dal momento che il prodotto finale si assomigliava un po’ tutto nel sapore e nell’odore.

Quel mattino Ben continuava a sbirciare l’orologio, pensieroso, perché ancora il suo capo non era entrato in cucina quando, all’improvviso, si accese l’olotelefono  e comparve sullo schermo un vice cadetto. Con voce atona e uniforme, gli comunicò che il capo cuoco era stato messo in quarantena preventiva. Causa: febbre altissima e sospetti sintomi influenzali.

– Quarantena preventiva, vice cadetto Dick? – sbottò Ben Tour, cadendo dalle nuvole. "La licenza a New Delhi non gli ha portato fortuna" pensò tra sé. 

– Confermo, aiuto cuoco Tour. Il Capitano chiede se potete farcela da solo perché, in caso contrario, dovremmo chiedere un sostituto e, dal momento che il vascello in questo momento si trova già al limite della Via Lattea, la richiesta significherebbe bloccare la velocità a propulsione, due settimane di ritardo sui tempi previsti, costi enormi aggiuntivi e una pessima pubblicità per la Compagnia. Tutto deve essere perfetto e, se non lo è, lo deve essere comunque. Ordine del Capitano – concluse il vice cadetto.

Il graduato tirò un respiro lungo alla fine della sua tirata e Ben, che cominciava a rendersi conto della responsabilità che gli stava calando addosso, si dichiarò disponibile.

– Dite al Capitano che posso farcela, vice cadetto Dick. E mandate i miei saluti al capo cuoco Brad.

Chiusa la comunicazione, Ben cominciò a imprecare tra i denti per il doppio carico dei turni. Questo poteva significare solo una cosa: lavorare, dormire, e poi lavorare ancora. Non una pausa per giocare, nessuna per vedere un olocinema, nemmeno un’ora per andare alla Sala Sociale dove aveva adocchiato una hostess dell’equipaggio, uno schianto di capelli rossi e occhi verdi.

Il ciclo diurno successivo si rivelò anche peggio: il regolamento prevedeva la costante copertura di tre giorni di pasti, perché eventuali riparazioni fuori programma potessero essere effettuate con comodo in caso di emergenze, incidenti o contrattempi di qualsiasi natura. Aveva appena terminato di inserire le impostazioni dei nove pasti regolamentari e stava per stivarli in ghiacciaia, quando, in una successione da incubo, le pentolacce cominciarono a dare i numeri, una dopo l’altra. 

Venne a sapere solo qualche istante dopo che il vascello stava attraversando una tempesta magnetica di proporzioni mai viste. Il risultato scoraggiante fu che alla fine della giornata tutte e tre le stampanti producevano prodotti non finiti, cioè materia immangiabile. Andò all’olotelefono e chiese con la morte nel cuore di parlare direttamente col Capitano, nonostante non fosse la prassi.

Dopo un feroce attimo di silenzio in cui Ben Tour non sapeva più che pensare, il Capitano, compresa finalmente l’entità del disastro, parlò: – Vice cuoco Tour, capisco e la prego di mantenere segreta, e nel modo più assoluto, questa nostra conversazione. Le do carta bianca. Riceverà un lasciapassare passepartout con il quale avrà accesso a ogni singola parte della nave, tranne il ponte di comando. Faccia il miracolo e mi ricorderò di lei. Diversamente, non sarà nelle mie possibilità perché posso dire addio al comando.

E qui chiuse la comunicazione ancor prima che Ben, nel più totale sconforto, potesse rispondere Sissignore!.

Aveva tre giorni di tempo per pensare a qualcosa. Ordinò che nessuno entrasse in cucina e cominciò subito ad armeggiare con le schede interne. Dopo ore tragiche e un mal di testa potente, riuscì a programmare le stampanti per un assortimento base di singoli ingredienti che avrebbe fatto urlare di piacere un antico chef, ma che, allo stesso tempo, riempiva Ben di un orrore sacro al solo pensiero che un agente di polizia culinaria potesse sbirciare il suo operato: tutto quello che stava facendo andava contro la Legge Biosistemica!

Ma non riusciva a sottrarsi al fascino di quello che man mano stava progettando. Non si era mai vista una tale abbondanza di cereali, verdure, frutta, animali di terra e pesci, conchiglie e legumi, crostacei e perfino uova!, zucchero, marmellate e cioccolato, farine di ogni tipo. Uno spettacolo per gli occhi se non fosse stato che, a rigor di logica, Ben Tour non avrebbe dovuto nemmeno sapere dell’esistenza di quello che stava lì in bella mostra, davanti a lui. E soprattutto non avrebbe dovuto avere l’idea di che cosa farsene.

Si precipitò come un pazzo allo stadio inferiore del vascello dove stava l’Officina di bordo, dando ordini a destra e a manca per la costruzione di strani oggetti. I tecnici si guardavano perplessi ma, alla vista del lasciapassare del Capitano, non osavano chiedere nulla, mentre le macchine sfornavano pentole e casseruole, forni e refrigeratori, mestoli, coltellacci, tritacarne, frullatori e scolapasta, e ogni sorta di attrezzatura di cui nessuno riusciva a capirne il significato e la destinazione.

Al mattino del terzo giorno aveva già fatto trasferire tutto in Sala Cucina e, asserragliato, cominciò frenetico a tagliuzzare, salare, cuocere, mescolare, sfornare… finché non venne l’ora della cena, il pasto più importante del ciclo diurno, quello dove il Capitano e gli ufficiali convergevano insieme ai passeggeri, in ghingheri e in abito di gala.

Quella sera il Capitano stava seduto al tavolo centrale, teso e pallido per il disastro di tre giorni prima, e si chiedeva come diavolo l’avrebbe salvato quel giovanotto della cucina. Pensava sconsolato a che cosa avrebbe potuto fare, una volta buttato fuori dalla Viaggi Stellari, la compagnia turistica da cui era stato assunto. Di malavoglia si decise ad alzarsi per il brindisi iniziale che costituiva, al tempo stesso, il segnale perché i camerieri potessero cominciare a servire. Ormai pronto alla disfatta, vide costernato che i presenti incrociavano perplessi gli occhi sui piatti di portata già pronti da smistare, tutti col naso a fiutare e un’aria interrogativa.

Nella sala si era creato un profondo silenzio e ognuno contemplava il proprio piatto, man mano che le pietanze venivano servite, stupito dalle forme inusuali e ipnotizzato da effluvi sconosciuti. Qualcuno cominciò a inghiottire un boccone e, alla vista dell’espressione che sortiva dal volto dei primi curiosi, tutti presero ad assaggiare. A mangiare. A sbranare. Si scatenò il delirio. Al silenzio si era sostituito, in un crescendo generale, un mormorio sommesso, mugolii di piacere sempre più forti, urla entusiastiche, un baccano infernale che da certe tiepide signore mai ci si sarebbe aspettati. Il Capitano rideva felice. Intorno a lui solo grida di gioia.

Una forchetta si alzò e prese a battere su un piatto, una seconda forchetta seguì a ruota, in capo a pochi minuti tutta la sala risuonava di decine e decine di posate che battevano a reclamare la presenza del misterioso artefice di quella magia.

Ben Tour venne fatto chiamare all’istante. Si mise in tutta fretta l’uniforme migliore e caracollò terrorizzato verso la Sala, non sapendo ancora degli effetti sortiti dalla sua cena. Fu accolto con un diluvio di Bravo! come una volta, molto tempo prima, erano accolti dal pubblico i cantanti d’opera alla fine di una magnifica esecuzione. Fu un trionfo. Ben si aggirava per la sala strattonato qua e là perché tutti volevano complimentarsi, con facce felici e congestionate, stupite, facce che di solito non sorridevano, tutt’al più simulavano.

In mezzo a festose acclamazioni, il Capitano lo nominò Capo Cuoco seduta stante (nessuno vide l’occhiolino che gli fece, mentre lo insigniva del nuovo titolo) e quella sera stessa uno dei rappresentanti della Viaggi Galattici che si trovava in crociera volle convocarlo per chiedergli di firmare, dietro richiesta di un facoltoso passeggero, l’assenso a diventare il Presidente esecutivo dell’Accademia Mondiale di Cucina, con assegnazione di fondi illimitati per l’insegnamento.

Ben Tour sorrideva indeciso e preoccupato, ma il Capitano, già messo al corrente di tutto dal giovane, gli disse di stare tranquillo: il rappresentante della compagnia aveva informato il governo e in quel momento stavano già mettendosi al lavoro per legiferare su un importante aggiornamento alle leggi in vigore. Tanto può una moda culturale, quando raggiunge qualche vertice che sia, se non illuminato, almeno afflitto da un senso di disagio.

Il giovane cuoco tirò un sospiro di sollievo. Criptata nella sua testa, dentro un chip, c’era un’eredità familiare trasmessa in gran segreto da innumerevoli generazioni: quindicimila volumi di biologia alimentare, cucina e strumentazione da cucina!

La biblioteca dei suoi trisavoli era salva.  

 

La luce tornò ad accendersi, mentre l’auditorium del Museo del Cibo rimbombava ancora delle parole della relatrice. Dai giovani allievi ormai si profilavano sbuffi evidenti d’impazienza. In fondo all’enorme salone alcuni assistenti stavano terminando di allestire il menù della prima splendida cena che un tempo il mitico Ben Tour aveva cucinato. Più di uno voltava la testa con l’acquolina in bocca.

– … ed è per questo che oggi, miei cari ragazzi, nell’Anno Quattromila dell’Era Intergalattica, voi ancora potete sapere che cosa sono spaghetti, pane, pizza, gelati e un mucchio di altre buonissime diavolerie. Fu in seguito a questo episodio e grazie a Ben Tour, infatti, che un importante politico, in viaggio sul vascello Solar I, presentò la proposta di rivoluzionari emendamenti alla Legge Biosistemica. Fu l'inizio di una nuova era. Proponeva l’utilizzo delle stampanti come fornitrici di ingredienti primari e, non ultimo, chiese e ottenne dietro suggerimento di Ben Tour la riabilitazione dei libri ancora esistenti di arte culinaria, biologia alimentare e attrezzatura da cucina, che oggi conserviamo tutti in questo museo.  E se ne scoprirono parecchi: circa quindicimila! – aggiunse, facendo l’occhiolino.

Chiuse il microfono con un sorriso e si avviò, impaziente, verso il tavolo sistemato in fondo all’auditorium. La seguì uno scalpiccio misto a sospiri di sollievo eccitato.