Si usa ironizzare sulla possibilità che alcuni giudichino un libro dalla copertina (che è pur sempre un importante “gancio” del prodotto editoriale, e a cui io quale autore anche di arti visive, sono sensibile) o dal titolo, tuttavia ogni autore o artista riflette sempre non poco su quanto il titolo dell’opera possa o debba essere rivelatore, iconico e accattivante. Nel caso di un classicissimo della Fantascienza come “Io sono leggenda”, di Richard Matheson, uno degli assi storici del genere, un lettore young adult potrebbe pensare che il romanzo sia ottimo per gasarsi immaginando corse selvagge da vero invincibile lungo rotostrade percorse da sauri maniaci con le rotelle sulla pancia, da abbattere con scariche di mitragliatrici postpostqualcosa posizionate sul sedere della propria ragazza in coma. Oppure, con un po’ di faciloneria e irruenza si può immaginare che ci riterremmo delle leggende viventi se imparassimo a fare gli hacker-Robin Hood dell’iperspazio mezzo subacqueo scardinando le difese cangianti e contorte di multinazionali thailandesi del porno basato su radiazioni e pezzi di animali congelati in rituali mafiosi… Giusto?
E invece… Matheson ci mostra sì un eroe solitario, peggio di come stiamo messi singolarmente noi nella pandemia escrementizia che ci scassa i cosiddetti, e cioè rinchiuso in casa, asserragliato per metà giornata, resiliente grazie a sue conoscenze tecniche, in modo da non farsi ghermire da nemici che nelle ore serali e notturne lo assediano schernendolo e invitandolo a uscire… e non c’è dubbio che la nostra identificazione con quest’uomo prestante che simboleggia l’ultimo avamposto della società normale sia molto spinta, e ancor più quando lui dimostra che in caso di suo errore o imprudenza riesce a rimediare brillantemente… tuttavia la domanda che angoscia lui e l’altrettanto solitario lettore è: fino a quando potrà resistere?
La sua cittadina di provincia è territorio di saccheggio per lui solo, che può quindi procurarsi il cibo prelevandolo dai negozi (senza preoccuparsi di scegliere tra payback e contante), che a casa ha un generatore che lo rifornisce di corrente elettrica, e che può anche contare su un’automobile utilitaria che riesce a rifornire di benzina per le sue ricognizioni, certo, ma intanto il futuro non è un territorio vergine da conquistare: c’è un mondo notturno abitato da una nuova umanità, nuova sì ma orribilmente regredita e funerea, che preme alla sua porta per cancellare anche lui, ultimo residuo, dalla Storia. E allora lui, Neville, per non cedere al rimpianto del passato, un’emozione più violenta che per ogni essere umano in condizioni normali, cerca di analizzarlo, per capire scientificamente – ecco l’aggancio solido al genere SF, che evita lo slittamento nel fantasy urbano – come questo nuovo, orrendo, scenario si sia prodotto: i morti che dominano quel territorio, forse il mondo intero, come possono muoversi? E quelli di loro che in realtà sono ancora vivi? Di cosa sono infetti? E poi, COME si sono infettati? Il processo è dovuto a cause organiche (batteri), ambientali (tempeste di sabbia) o psicologiche (superstizione, panico mediatico, “recrudescenza di fervore religioso”, trauma di fronte alla realtà di quell’orrore)? Robert Neville cerca di mantenersi razionale e si reca in una biblioteca ovviamente deserta, per documentarsi opportunamente su testi di biologia, ma spesso – più spesso di quanto si addica a un eroe da romanzo young adult, appunto – si lascia andare a umanissime crisi di disperazione o gesti isterici da duro impotente per le circostanze.
La vicenda rappresenta un’innovativa inversione del classico schema da storia di vampiri: non il non-morto succhiasangue che si muove di soppiatto tra i vivi, rappresentandone la sfuggente ma di notte incombente minaccia, ma bensì il vivo unico superstite assediato da una massa di esseri privi di vera vita che vogliono trascinarlo nel loro stesso abisso. D’altronde, come spiega il nostro Valerio Evangelisti nella completa analisi in postfazione, Matheson è scrittore di genere che però sfugge alle definizioni: quale genere? Il fantastico, certo, ma il sottogenere non è propriamente Fantascienza, dato che in questo romanzo in particolare ma anche in generale lui dispone nel testo “embrioni di verità scientifiche”, ma non sufficienti a rassicurare, ma solo a dare concretezza alle situazioni narrate. Al contempo, non si può neanche dire che Matheson faccia dell’horror viscerale e istintivo, perché cerca sempre in qualche misura di circoscrivere logicamente l’ignoto. D’altronde, come sanno coloro che sono aggiornati sul dibattito fantascientifico, e non fossilizzati su vecchie formule, la questione della percentuale di scientificità nella Fantascienza è piuttosto oziosa. Negli autori di razza più vicini a noi il ricorso a tratti horror, fantascientifici o thriller è il corollario di un fondamentale senso modernista della crisi dell’Uomo. In questo romanzo domina l’angoscia e il presagio della sconfitta, ma in altre prove narrative dell’autore si illustra una incrinatura della realtà. In Io sono leggenda i fatti si svolgono nella cittadina di provincia del protagonista, e questo rende appunto l’inquietudine derivata dallo stravolgimento di una quotidianità, ma va detto che sono stati molto amati anche gli adattamenti cinematografici dell’opera: il primo fu fedelissimo, ma i secondi due, 1975: occhi bianchi sul pianeta Terra e l’Io sono leggenda con Will Smith (del 2007), sono ambientati invece in una metropoli, allargando il respiro alla dimensione globale del truce morbo che ha quasi del tutto sterminato la popolazione.
Va precisato che nei film ci sono diverse differenze rispetto al libro: nella pellicola più recente il protagonista è un ex ricercatore dell’esercito USA che così riesce ad escogitare una cura contro il virus, e il suo obiettivo sarà quello di conservarla e offrirla ai sopravvissuti. In questo modo il personaggio acquista un valore eroico che il Neville di Matheson, che è un semplice civile che si sforza di capire e resistere, non ha. Nel film con protagonista Charlton Heston, invece, 1975: occhi bianchi sul pianeta Terra (del 1971), gli infetti non sono vampiri ma, come suggerisce il titolo stesso, fotofobici albini divenuti tali in seguito ad un olocausto batteriologico sviluppatosi originariamente per un conflitto Russia-Cina, ed anche in questo caso il protagonista elabora un vaccino sperimentale ed è particolarmente motivato perché scopre di non essere completamente solo e cerca dunque di proteggere gli altri sopravvissuti. Bisogna anche rilevare che l’attribuzione della catastrofe alle due superpotenze asiatiche e il tema della lotta tra l’uomo sano, normale, e una comunità di diversi che ritengono di rappresentare il futuro dell’umanità (alludendo probabilmente, com’è stato osservato da altri critici prima di me, alle generazioni della Controcultura americana tra anni ’60 e ’70) sono due aspetti che connotano in senso ideologico (di destra, ahimè) la rappresentazione.
Dal punto di vista stilistico Matheson non è un autore particolarmente sofisticato, non arricchisce di barocchismi la sua prosa per dare forma a singolari e morbose evoluzioni del pensiero – tratto che distingue autori che cercano una maggiore letterarietà – ma la sua stringatezza è comunque magistrale, efficace. Peraltro, questa qualità gli ha permesso di essere anche sceneggiatore cinematografico e televisivo: basti citare il magnifico esordio di Steven Spielberg, Duel e la celeberrima serie cult Ai confini della realtà.
Sul piano dei contenuti e della struttura narrativa e dell’evoluzione dei personaggi, è invece da sottolineare appunto la grande efficacia dell’autore, che affonda nel tessuto più molle e dolente dell’interiorità. Quando Matheson ci presenta questo novello… Robinson Crusoe (…) prigioniero su un’isola notturna circondato da oceani di morte
, alterna, come già detto, considerazioni sue sui problemi pratici a stati emotivi oscuri o critici: particolarmente comunicativi per il lettore medio possono essere gli accenti sul profondo disagio provato col pensiero (Ma tornare al passato gli dilaniava il cuore
, e comunque lui si rimprovera per le infinite meditazioni su ciò che è stato: Quasi non riusciva a evitarlo e si infuriava con sé stesso
). E però queste, doverosamente, non restano considerazioni isolate o episodiche: il passato in questione – non in generale quello del mondo com’era prima, ma suo personale, dei suoi affetti… – viene poi esplicitato (e persino rimaterializzato…), con fugaci accenni o in altri modi non prevedibili, in un caso ad esempio col tornare quasi meccanico del personaggio in un luogo… molto significativo, dove, inconsolabile, gli capiterà di dire a proposito del canto degli uccelli che Un tempo pensavo che cantassero perché tutto andava bene nel mondo (…). Ora so che mi sbagliavo. Cantano perché sono stupidi
. Queste sono idee che si fanno strada in un uomo che abita un mondo in cui l’omicidio era più praticabile della speranza
.
E veniamo ai contenuti, anche in termini di legami con la tradizione del genere: anche se leggendo si è coinvolti, non può sfuggire come Matheson abbia voluto riflettere e ricontestualizzare tutti gli elementi tipici delle storie classiche di vampiri, problematizzandoli e attualizzandoli: l’aglio, il pipistrello, il paletto da piantare nel corpo del non-morto, e anche la croce… nonché i predicatori.
La gente si contorceva, gemeva, si batteva la fronte, strepitava in preda al terrore mortale, urlando dei fragorosi alleluia. Robert Neville fu spintonato, venne urtato e si perse in una macina di speranze, sotto il tiro incrociato di una devozione frenetica.
“Dio ci ha punito per i nostri indicibili peccati! Dio ha scatenato la terribile furia della Sua onnipotenza! Dio ha rovesciato sul nostro capo il secondo diluvio – un diluvio, un’inondazione, un torrente di creature infernali che distruggeranno il mondo! Ha scoperchiato l’avello, dissigillato la cripta, strappato i morti alle loro nere tombe, per scagliarli contro di noi! (…)
E allora, la croce? La croce, come il paletto di legno, è strumento legato alla leggenda dei vampiri, mentre questa storia riguarda un flagello moderno. Il paletto funziona, ma in modo diverso, e anche i corpi delle creature reagiscono in modo diverso. Ma, in particolare, la croce viene espressamente ricondotta alla sua matrice culturale europea e cattolica, quindi in America non protegge granché perché – ragiona Neville: Ma per quanto riguarda la croce, be’, non farebbe paura a un [vampiro/infetto] ebreo, né a un induista, né a un musulmano, e a rigor di logica neanche a un ateo
.
Questo perché il morbo ha diverse origini, forse, su cui Neville si interroga passando brevemente in rassegna anche le epidemie storiche e cercando di capire se le spore si diffondono con le pesanti tempeste di polvere che flagellano quel mondo oppure solo con la trasmissione del batterio dai vampiri agli umani; e peraltro alcune di queste creature non sono morte, ma vive, e allora si può supporre che siano dementi e che il virus si propaghi anche per via psicologica, ad esempio a causa della stampa scandalistica, che a suo tempo aveva attuato una campagna di terrore assoluto concepita per vedere più giornali
. Ci sono pagine dedicate alla psicologia di questi vampiri, che avevano scoperto che la morte non aveva portato il riposo
e che avevano sviluppato un intenso disprezzo cerebrale nei loro stessi confronti
.
S’è accennato, prima, all’evoluzione del personaggio: qui è bene non fare spoiler, tuttavia si può dire che Neville Per non soffrire, aveva imparato a neutralizzare l’introspezione
, e però in compenso l’assoluta, schiacciante, solitudine viene quasi miracolosamente spezzata da due apparizioni non ostili, a distanza di diversi capitoli l’una dall’altra. In occasione della prima il personaggio si comporta esprimendo un gran desiderio di questo contatto… e lo sviluppo della situazione ci rende desolati e altamente solidali – ancora di più – con Neville. In occasione del secondo incontro il protagonista invece, in parte giustificatamente, ha un comportamento diverso, anche se non da subito, e questo ci dà la dimensione di un suo declino, e fornisce una chiave che conduce poi al finale, in cui anche l’altro personaggio ha una mutazione: c’è un ribaltamento… Un aspetto cruciale, in quest’ultima dinamica, aspetto che è anche un grande tema umano in assoluto, è quello della comunicazione: Non capiva perché, ma le parole gli parvero grottesche, comiche, gli strascichi di una civiltà scomparsa
.
Anche chi scrive questa recensione indugia spesso su queste considerazioni, una mia piccola ossessione, assai fertile creativamente, peraltro: la parola letteraria ha il potere di plasmare il linguaggio comune, restituendone le storture ironicamente o per denuncia ma anche raddrizzandole.
Affido la chiusura alle inquietanti somiglianze con la situazione pandemica reale del 2020-2021, che rendono il romanzo attualissimo: il virus è un lurido, piccolo bastardo
, e i vaccini non bastano quando il morbo è in fase avanzata
; inoltre I batteri possono subire mutazioni
, frase che suggella la terza parte del romanzo come un dato noto che però all’improvviso acquista una rilevanza che è un sinistro presagio.
Un presagio sulla nuova società che, presa forma, sta prevalendo sulla vecchia?
E chi soccombe come sarà ricordato? Verrà detto all’ultima pagina…
10 commenti
Aggiungi un commento[table][tr][td][table][tr][td]Furio Petrossi ha scritto:
"Il romanzo ha una complessità tale da impedire una identificazione con uno dei personaggi.
Neville come ultimo baluardo di umanità estinta o come Kurtz in Cuore di tenebra che «Aveva tirato le somme e aveva giudicato. "L'orrore!"»?" [/td]
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D'accordo con lei sulla complessità, ma a volte questa è un sapiente rivestimento per un'idea più semplice alla base. L'idea della Rigenerazione può anche essere accettata e senz'altro è futuribile e affascinante. Ma se la nuova genìa era davvero così evoluta, perché non è riuscita a comunicare più efficacemente con Neville? La colpa dell'incomprensione con la donna era tutta sua o effettivamente anche lei ha cercato di ingannarlo?
Di certo mi sembra notevole la distanza tra Neville e il Colonnello Kurtz, che chiunque ami il cinema di spessore non può dimenticare: a me pare chiaro che, al di là dell'abile ribaltamento finale, Matheson si impegni nel mostrarci un individuo che se perde in parte la sua umanità è solo perché è lasciato a lottare da solo, al punto che quando incontra la donna non ha già più la disponibilità a fidarsi. Eppure si rattrista quando i nuovi uomini uccidono il suo vicino, che pure s'era messo a capo dei suoi assedianti. La sua è un'involuzione che attira però pietà e non riprovazione, perché a suo modo si impegna ad esssere razionale.
Diversissima è la figura di Kurtz, scolpita sin dall'inizio in un indefinito oscuro che si dà come irrecuperabile come provano tutti i segni che si lascia dietro.
Aggiungo che però oggi, contestualizzando nel dibattito attuale sui prossimi futuri il messaggio di Matheson, probabilmente in molti vi scorgono un'anticipazione del postumanesimo. Se vogliamo leggere il finale del romanzo in questa chiave ci troveremmo comunque a dover sorvegliare eticamente il programma di rigenerazione/rifondazione dell'Uomo, il che richiederebbe uno spazio qui non concesso. Basti dire che sarebbe positivo scongiurare molti morbi che affliggono il Sapiens Sapiens e ne limitano il benessere e la vita, ma fino a che punto siamo disposti a superare i benefici medici e passare ad un tipo di esistenza che oblitera buona parte o tutta la nostra essenza?
Comunque, ringrazio io lei per gli stimoli.
Buon giorno. Premetto che non vanto una lettura recente del libro e magari alcune sfumature non le ho presenti, ma da quanto ricordo non mi pare che il protagonista fosse pienamente consapevole di un processo di evoluzione in termini razionali e senzienti, quanto meno di una parte della nuova specie.
Lungamente Neville vaga e uccide indiscriminatamente chiunque trovi e consideri infetto senza mai porsi l’interrogativo di un cambiamento in corso. Solo con l’incontro della donna ne avrà forse consapevolezza. E quando lei lo lascia perché scoperta “infetta”, gli fa appunto trovare un biglietto in cui lo esorta a fuggire, perché, gli rammenta, ha ucciso anche molti di loro (neo senzienti, direi) e che quindi a breve sarebbero venuti a prenderlo per ucciderlo. Come di li a pochi mesi avverrà; ma lo sviluppo del romanzo non tratteggia i pochi mesi che separano la scomparsa della donna e la lettura del biglietto, dalla sua cattura. Cosa pensa Neville in quei mesi di quanto ha appreso?
Il solitario protagonista è pertanto a mio avviso una sorta di eroe suo malgrado che cerca di resistere in un mondo ostile, ma un mondo ostile nei termini a lui solo in parte conosciuti (quella degli infetti fortemente snaturati). Questi sono gli unici post umani che lungamente conosce: del rimanente non sa nulla. La sua epopea è per certi versi la rappresentazione di una di lotta ancestrale contro una natura sconosciuta.
E qui viene quindi a mio avviso meno il concetto di consapevole “non adesione” a una nuova società. Personalmente non ho mai percepito o interpretato questa volontaria e cosciente presa di posizione e rifiuto nei confronti di una maggioranza inquietante. Semmai una finale rassegnazione dettata dalla presa di coscienza – tardiva - di quanto lo circonda e a lui prima non noto
Non è comunque esatto parlare di auto-avvelenamento come scelta di Neville per sfuggire all’esecuzione. Al contrario è la donna che di sua iniziativa gli fornisce in cella il veleno perché abbia una morte più rapida e indolore (e a onor del vero questa chiosa del libro appare un poco inutile: come si suppone l’avrebbero giustiziato? - termine che è la stessa donna che lo visita in cella a usarlo - delle nuove genti che armi alla mano uccidono anche altri infetti non evoluti per aiutare la nascita di una nuova società?)
Parimenti la futura identificazione di “leggenda” è un concetto che interessa solo ed esclusivamente Neville. Lui e lui solo – novello uomo nero - è destinato a diventare tale, in termini negativi, proprio per via di quello che ha fatto, ovvero aver nel tempo ucciso indiscriminatamente – e per quanto si capisce, lungamente senza neppure rendersene conto – sia infetti dementi, sia potenziali nuovi esseri senzienti.
In conclusione non penso o quanto meno non so se Matheson “voglia farci immedesimare in chi soccombe ma mantiene la schiena dritta piuttosto che in una maggioranza inquietante”, o voglia piuttosto indurci a riflessioni sul concetto di “normalità” o “diverso” (chi ricorda il racconto “Nato d’uomo e di donna” sempre di Matheson), che come molto spesso accade dipendono da pregiudizi e cliché consolidati i cui nodi talvolta vengono tragicamente al pettine.
P.S.
E uno scandalo che abbiano titolato il film con Smith "Io sono leggenda", dal momento che la sola ragione e diritto per avere questo titolo, come nel romanzo, sta proprio tutta nella medesima frase finale del libro, che nel film non arriva neppure per caso.
Più onesti e coerenti quelli di "The Omega man - 1975 occhi bianchi sul pianeta terra"
Sono abbastanza d'accordo. Sono stato un po' deciso nel sostenere che Matheson, in ultima analisi, abbia teso a farci identificare col perdente perché stavo rispondendo ai commentatori precedenti, uno dei quali era un po' polemico, ma non c'è dubbio che le opere segnate da capovolgimenti o complesse contrapposizioni inducono alla riflessione. Le sfumature sono importanti. Ma il fatto stesso che la donna abbia infine proposto a Neville un veleno per scampare a un'esecuzione più dolorosa indica che lei, avendolo conosciuto ed essendosi immedesimata pur appartenendo alla nuova specie, l'abbia ritenuto meritevole di quell'atto di clemenza. È questo stesso che fa pensare che anche se il protagonista non sarà proprio una leggenda per chi l'ha voluto eliminare, tuttavia sarà ricordato. E comunque si sa che anche molti "common men" (medici durante la pandemia, pompieri nella stagione degli incendi, ad esempio, e in generale chi si sacrifica per altri senza essere neanche ben compreso) hanno lo spessore di leggende anche se non ci saranno organi istituzionali a serbarne memoria, e questa consapevolezza - pur con la dovuta modestia - li sorregge lungo il cammino.
Grazie del commento!
Interessante discussione.
Anche a me sembra che Neville abbia agito in una situazione di informazione incompleta e abbia inizialmente pensato di voler salvare l'umanità sua e degli altri.
Avendo inizialmente giudicato che non ci fosse negli altri alcunché di umano o animale ha catturato, sperimentato e distrutto (forse non ucciso, in una prima fase) i "simulacri" umani, non-persone.
Tuttavia il dubbio si insinua. Lui stesso ad un certo punto si domanda perché abbia sperimentato soprattutto sulle donne, meditando sull'esistenza in lui di una componente sadica.
L'esistenza di una soluzione alternativa, di compromesso con il virus non la accetta.
E' vero che - salvo che nell'idea di un complessivo "Orrore!" - la sua figura non può essere paragonata a quella di Kurtz.
Anzi, in fondo potrei rovesciare il riferimento: anche nel libro l'orribile "leggenda" per i suoi nemici - l'"Orrore!" che loro stessi provano - non consiste solo nel dolore che Neville ha provocato, ma nell'impossibilita di accettare che possa ancora esserci un "umano", la cui diversità essi odiano.
La odiano, come odiano "vampiri" - che "uccidono" con crudeltà - perché la loro identità si basa proprio sul rifiuto della possibilità di una diversità.
Non posso dire se ci sia in essi anche la sensazione che la sua presenza testimoni la perdita completa di un paradiso perduto.
La sua leggenda perdurerà? Oppure ci sarà una dannazione della memoria? In fondo il suggerimento di avvelenarsi può avere un duplice aspetto: un atto di misericordia, una scintilla di luce nei nuovi post-umani, oppure un pragmatico atto per risolvere in fretta l'anomalia e non portare ad atti che avrebbero celebrato la figura di Neville.
Grazie per la discussione, che - se pur non risolutiva -mi ha portato con nuovi occhi a rileggere questo capolavoro.
Pienamente d'accordo: sicuramente gli spunti usciti sono un fortissimo stimolo per rileggere il libro.
In parte anche per testare quanto le estrapolazioni qui fatte trovino effettiva conferma nel testo o quanto invece vadano un po' oltre i propositi di Matheson, financo quelli lasciati alle libere interpretazioni di noi lettori.
Ma io penso che l'autore abbia in qualche maniera voluto muovere a riflessioni sul concetto di "diversità".
Come avevo detto in precedenza non ho una recente lettura del libro (per quanto un paio di passaggi nel tempo li abbia fatti), del quale mi restano più che altro elementi oggettivi sui quali costruisco le mie considerazioni.
E sono elementi semplici:
a mio avviso emerge che Neville ignora l'evoluzione che sta avvenendo;
i post-umani (concordiamo di chiamarli così), sono ex infetti che hanno trovato il modo di curarsi;
altri infetti invece, sono rimasti a uno stadio più "primordiale" di vampiri;
Neville uccide indiscriminatamente gli uni e gli altri;
i post-umani considerano gli "infetti vampiri", un'anomalia non risolta e pertanto un pericolo da eliminare.... ma forse in alcuni casi anche da curare e recuperare alla loro nuova post-umanità (d'altro canto alcuni il modo l'hanno trovato...)
E qui vengo a quello che considero il punto centrale del romanzo.
Per come la vedo l'Orrore, alla fin fine, è diventato suo malgrado solo Neville. Uomo senziente e (in?)-consapevole di un nuovo eccidio. E non ci sono dubbi che la sua leggenda perdurerà; e di certo perdurerà in senso negativo, né più né meno con i connotati di dannazione, mistero, timore - e forse in futuro romanticismo - che per secoli e secoli avevano incarnato i vampiri rispetto gli umani. Ironico e amaro rovesciamento della prospettiva.
L'offerta del suicidio pertanto è da leggersi meramente come atto di "umanità" da parte di una persona che ha conosciuto Neville e ne ha percepito la sua umanità a dispetto della sua apparente "disumanità". Un gesto per sottrarlo al ludibrio cui sarebbe stato costretto, una volta accompagnato all'esecuzione, tra una folla di esseri che lo conoscono solo attraverso le loro paure (di cui è stato causa) e lo odiano profondamente per quanto ha tolto a molti di loro... e per tali ragioni lo connoteranno e faranno assurgere a futura negativa leggenda.
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