All’alba degli anni Ottanta, un manipolo di giovani scrittori nordamericani gettò il proprio sguardo sulla società in cui vivevano con un occhio critico, al limite del ribelle, e ne scrissero in termini di un futuro allucinante, dominato dalle multinazionali, dove l’informazione è merce di scambio e l’uomo diventa sempre più una propaggine delle macchine, attraverso un’inesorabile fusione tra carne e metallo in un unico corpo nuovo. Erano (e sono) i cyberpunk, autori di racconti e romanzi che hanno esplorato temi che oggi sono più che mai attuali: l’intelligenza artificiale, le contraddizioni della globalizzazione, l’irruzione della simulazione nella realtà (un tema già caro a Philip K. Dick), le conseguenze economiche e sociali dell’informatizzazione della società e lo spaesamento dell’individuo di fronte a tutti questi epocali mutamenti. Senza dimenticare la stretta relazione con la cultura pop.
Il romanzo che diede l’input a quello che diventerà un irriverente movimento letterario è stato Neuromante (Neuromancer, 1984) di William Gibson, il cui titolo è formato dalle parole “negromante”, che significa mago, e “neuro”, da intendere “attinente al sistema nervoso”. Un titolo che allude agli hacker, a chi naviga nella rete e sa come ottenere le informazioni che contano, ma anche al fatto che la ricerca di questi dati coinvolge il sistema nervoso. Il protagonista è, infatti, uno dei migliori cowboy d'interfaccia, un uomo che con la mente e le giuste protesi tecnologiche riesce ad entrare e muoversi nell'incredibile del cosiddetto cyberspazio, l’universo virtuale creato dalla connessione di migliaia di computer.
Gibson dischiuderà così la strada a un nutrito gruppo di scrittori, che il critico americano Gardner Dozois battezzò per l’appunto cyberpunk: Bruce Sterling, Rudy Rucker, Lewis Shiner, John Shirley, Pat Cardigan, Tom Maddox, Marc Laidlaw, James Patrick Kelly, Greg Bear e Paul Di Filippo. Questi ribelli della scrittura amavano definirsi “Mirrorshades Movement”, e proprio Mirrorshades, ossia “Occhiali a specchio”, era il titolo dell’antologia manifesto del 1986 curata da Sterling, l’ideologo del movimento, che in qualche modo gettava le fondamenta di una nuova estetica che dalla fantascienza si proponeva di invadere l’immaginario collettivo. I protagonisti delle loro storie sono hacker, prostitute, biscazzieri, punk, trafficanti, ladri, pirati informatici, balordi, senza un lavoro e desiderosi solo di sperimentare nuove tecnologie o droghe che producano una effimera felicità. In altre parole, sono degli emarginati, eroi solitari, costretti a combattere contro le multinazionali senza scrupoli, semplicemente per sopravvivere in un mondo distopico, intriso di tecnologia. Fanno tutti parte di un gioco che, loro malgrado, li vede coinvolti fino alle estreme conseguenze.
A oltre trentacinque anni di distanza dalla nascita del movimento, i cyberpunk hanno nutrito il nostro immaginario e la cultura pop – basta pensare alla trilogia cinematografica di Matrix o al manga Ghost in the Shell per avere contezza dell’influenza del cyberpunk, ma anche a serie TV come Black Mirror – e sono diventati loro malgrado dei “profeti del nostro presente”, perché il mondo in cui viviamo è molto simile a quello che hanno raccontato.
A questo divinatorio movimento, la Mondadori ha dedicato un corposo volume di oltre 1350 pagine della collana Oscar Draghi, dal titolo Cyberpunk. Antologia assoluta, curato da Franco Forte, con una introduzione di Sterling e una postfazione di Francesco Guglieri, contenente i romanzi Neuromante, La matrice spezzata (1986) di Bruce Sterling, l’antologia manifesto Mirrorshades e il romanzo Snow Crash di Neal Stephenson, del 1992.
Stephenson, pur non essendo strettamente un autore del movimento, con Snow Crash segna la mutazione del cyberpunk e il passaggio ad una fase nuova, denominata semplicemente postcyberpunk, in cui allo scenario cupo e senza speranza tipico delle opere del movimento si sostituisce una maggiore fiducia nelle tecnologie informatiche e delle scienze hard in generale, come fattori positivi di mutamento sociale.
Il cyberpunk, i suoi profeti e la loro lezione sono più che mai attuali, se pensiamo che oggi portiamo un’intelligenza artificiale nella tasca dei pantaloni, i nostri dati personali sono continuamente acquisiti da app e software per essere trasformati in proposte commerciali e la nostra vita sociale è sempre più vissuta davanti ad uno schermo.
Loro ci avevano visto giusto, in un’epoca in cui i computer cominciavano timidamente ad affacciarsi nella vita quotidiana.
1 commenti
Aggiungi un commentoBellissimo articolo, in effetti ci avevano visto giusto: l'informazione sarebbe diventata la merce di scambio del futuro prossimo...
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