L’Escuela de Barcelona, l’avanguardia cinematografica ispirata dall’estetica della Nouvelle Vague francese, fa da incubatrice a un gruppo di intellettuali raccolti nel movimento che Joan de Sagarra battezzerà “Gauche Divine”. Tra la fine anni ’60 e l’inizio ’70, nella città catalana proiettata verso la modernità e accesa dal dibattito politico, l’arte, la letteratura, il cinema, esplorano territori comunicativi accomunati da antifranchismo, rinnovamento e tanta sperimentazione.
C’è del pepe in questo mondo, un vento eccitante che viene da Londra e le trasgressioni di Carnaby Street, dalle irrequietudini parigine che sbocceranno nel maggio ’68, dall’analisi dei mass media di Marshall Mc Luhan e Umberto Eco che ridefiniscono le categorie di cultura alta e bassa. Insomma, si respira un’atmosfera che porta una nuova sensibilità, attenta ai linguaggi della fotografia, della canzone, della pubblicità, intesi come veicoli di estetiche e contenuti.
L’ampliamento della coscienza passa per un lucido allontanarsi dalle tradizioni, ma anche attraverso l’esperienza delle droghe (Carlos Castaneda insegna), oltre all’affermarsi di correnti di pensiero alternativo portate alla ribalta dai libri di fanta-archeologia di Erich Von Däniken o dal dirompente saggio “Il mattino dei maghi” di Pauwels e Bergier.
Con un magmatico retroterra del genere appare chiaro come un medium giovanile per eccellenza, il fumetto, potesse andare in avanscoperta in direzioni controcorrente. È dunque il momento adatto per vedere il “Tebeo” spagnolo evolvere attraverso l’opera dei suoi autori più innovativi, espressione di una sofisticata cultura pittorica, in cui spiccano insieme a Enric Siò Guardiola i nomi di Luis Garcia, Fernando Fernàndez e Josep María Beá.
Prima di parlare di Pop Art e di azzardi linguistici è opportuno soffermarci sulla formazione di Siò, per seguire i passaggi che portano l’autore catalano alla produzione delle complesse tavole di Aghardi, la serie che lo consacra come un idolo dell’intellighenzia iberica.
Il giovane Enric, rampollo di una famiglia medio borghese, sfugge agli studi di Economia cui è avviato sul finire dei ’50 trovando più gusto nei numeri di un historieta che in quelli di un computo statistico, inizia quindi a misurarsi con il mercato inglese producendo con Selecciones Ilustradas diversi fumetti romantici tratti da 45 giri di successo.
L’esperienza con l’agenzia di Josep Toutain è un passaggio d’obbligo per molti
disegnatori di Barcellona e se ne può trovare l’affettuosa rievocazione negli episodi del serial Los Profesionales di Gimènez. Il lavoro è molto, la paga scarsa, per cui Siò abbandona il campo e si dedica a un tirocinio redazionale con le Edicions 62/Ediciones Península, incarico che gli consente di leggere molto materiale straniero e ampliare la sua formazione cosmopolita. Ritornerà al disegno nel ’66 con la serie di guerra Battler Britton, realizzata senza entusiasmo per la Fleetway, ma è l’anno seguente che sboccerà su Oriflama il suo primo lavoro impregnato di satira politica e ricerca, Lavinia 2016 o la guerra de los poetas.
Con questa storia grottesca sceneggiata da Emili Teixidor, la coppia di autori bersaglia sia il regime che la classe intellettuale catalana, in modalità troppo libere per non incappare nella disapprovazione del Vescovato, che non gradisce la pubblicazione, interrompendola a causa di una copertina troppo discinta.
Il tratto di Lavinia 2016 è caricaturale, simile allo Jack Rickard di Pauline McPeril, nel contempo si alterna a sperimentazioni grafiche/cromatiche che saranno sviluppate per l’Editoriale Salvat con le serie successive Nus y el atleta e Sorang.
Immagini psichedeliche e un uso pop del colore a campiture assolute in stile Warhol, caratterizzano la ricerca sempre più raffinata del disegnatore, le cui figure iperrealistiche ad alto contrasto si stagliano su composizioni che comprendono anche inserti fotografici, retini e caratteri di stampa.
L’influenza del belga Guy Pellaert e della sua Jodelle stimola Siò nella concezione unitaria della tavola, concepita come un organismo simultaneo, privo di divisioni in vignette regolari, mentre dal cinema di Antonioni arriva il rapporto figure/spazio, diventato uno straniante protagonista della scena. Altrettanto forte è l’attenzione per il lavoro di Guido Crepax, che usa i codici del montaggio cinematografico per ampliare le possibilità espressive del racconto.
Segnali di una stagione che sta cambiando radicalmente il modo di intendere i comics.
La capacità di analisi verso gli strumenti del comunicare rende Enric Siò lo “tio carnàl” del saggio semiologico che Romàn Gubern pubblicherà nel ’72, dimostrando quanto il fumetto sia un arte matura e dotata di una grammatica propria.
Appena tre anni prima, questa coscienza ha preso forma nella serie Aghardi, vedendo per la prima volta Siò nella duplice veste di disegnatore e sceneggiatore. Un impegno che nonostante la titubanza iniziale affronta con la spregiudicata autonomia di un artista.
Il metodo di costruzione del testo, infatti, segue un flusso di scrittura automatica, di stampo surrealista, cui segue il processo di organizzazione finalizzato alla sceneggiatura vera e propria. Il disegno nasce dopo un lungo lavoro di documentazione fotografica, formando un archivio d’immagine che verrà reinterpretato con tecniche, effetti e segni diversi.
Risultato di questo processo è un impatto visivo “pensato” ma coinvolgente, che rompe lo schema della tavola con soluzioni provenienti dal cinema d’avanguardia. La contemporaneità è parte integrante della storia, ritratta attraverso gli ambienti, le tecnologie, la moda e l’arte, unite ai sogni dei protagonisti, alle soggettive e l’uso di ellissi temporali.
In Aghardi il NICAP, un ente non governativo, inviare in giro per il mondo un gruppo di operatori formato da scienziati e giornalisti alla ricerca di testimonianze storiche della presenza extraterrestre sul pianeta. Gli interrogativi sulle civiltà scomparse di Pauwels e Bergier forniscono spunti per un’interpretazione eterodossa delle tracce comuni (e inspiegabili) presenti nelle culture Maya, Incas e Tibetana.
Attori di questo viaggio in parte fisico, in parte interiore e psicologico, sono Samantha detta “Sam” e Jo, due scienziati dalle idee opposte sull’ufologia, insieme al fotografo rubacuori Steve e Martha, una giornalista che ha i tratti della cantautrice Guillermina Motta, compagna di Siò.
La trama procede su più piani, mescolando il triangolo amoroso Sam/Steve/Martha a squarci di tumulti di piazza sudamericani e frammenti onirici, oltre ai sopralluoghi in siti archeologici carichi di mistero come le piste di Nazca, il lago Titicaca o il Tibet, alla scoperta della nascosta Aghardi (o Agarthi) inseguita anche dall’Ahnenerbe nazista.
I capitoli portano i nomi di divinità Maya o Inca (Kukulkan, Viracocha, etc.), esponendo con l’alternarsi dei vari viaggi le tesi sull’esistenza di un filo conduttore “alieno” annidato nella storia ufficiale. Un concetto oggi reso folkloristico da trasmissioni tv alla Voyager, ma che negli anni ‘60/’70 aveva ancora la forza eversiva di un’eresia scientifica.
L’elemento di novità del fumetto pubblicato in Italia da Linus e riedito in Spagna da Mundo Joven e poi (in versione integrale) da Nueva Frontiera e da Editores de Tebeos, sta nella novità del tema e nell’approccio rivoluzionario della narrazione, le cui vignette sono impregnate di cinema, di realismo fantastico e forti istanze politiche.
Una stratificazione di discorsi in cui il risveglio dell’illuminato Maitreya, può essere una metafora della consapevolezza rivolta a una realtà fatta di dittature e conflitti sociali. Forse per questo la giovane Martha, che vive svagata nel proprio piccolo mondo in cui non “capita mai niente”, viene raffigurata nella tavola conclusiva come un ottocentesca bambola di carta da ritagliare.
Simbologie, speculazioni filosofiche, utilizzo di un linguaggio che esplora appieno i suoi mezzi, fanno di Aghardi un lavoro assolutamente memorabile.
Per quest’opera Siò riceverà un premio nel 1969 come miglior autore d’avanguardia nel Salone Internazionale dei Comics di Lucca.
Con la consueta onestà intellettuale, l’autore catalano non se ne lascerà imprigionare replicandosi in facili manierismi, piuttosto si metterà di nuovo in gioco con scritture sempre più personali e inquietanti come la serie Mara del ’71 e molti altri racconti dal taglio lucidamente critico.
In un’intervista rilasciata al principio degli anni ‘80 Siò affermerà: Nel 69, quando finii “Aghardi” mi dissi: “Son finiti gli anni 60 e le preoccupazioni formali. Gli anni 70 saranno quelli della gente che ha qualcosa da dire.” Oggi si tratta semplicemente di raccontare storie nel miglior modo possibile.
Tocca al fumetto del 2015 rispondere se stia accadendo sul serio.
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