Delos 23: Davide Pinardi di Franco Forte

intervista con

davide pinardi

Un'intervista con un autore fuori dal ghetto e fuori dai canoni, che affronta nel suo ultimo romanzo temi fantastici.

Milanese, classe 1952, un passato di giallista e di educatore in carcere, oltre che una discreta carriera come sceneggiatore di film e documentari, Davide Pinardi è una voce discreta ma potente della capacità mediterranea d'integrare gli scenari, le correnti e le tecniche della narrativa di genere con il metodo più semplice di fare letteratura e poesia: scrivere in modo pacato, pulito, intrigante e qualitativamente inappuntabile. Per merito di un editor sapiente come Marco Tropea, Pinardi è riuscito a dare pubblica espressione a questa sua voce, qualche anno fa nella collana Interno Giallo con il romanzo "A sud della giustizia", e adesso con questa prova per l'omonima Marco Tropea Editore. Altre sue opere pubblicate sono il romanzo d'esordio "L'isola nel cielo", l'antologia "Il ritorno di Vasco e altre storie dal carcere" e un romanzo uscito agli inizi di quest'anno per la Liber Internazionale di Pavia, intitolato "Viaggio a Capri, i 10 giorni che sconvolsero Lenin".

Delos: Davide, ci sono dei simboli nella tua scrittura, o forse dei punti fermi, da cui non ti discosti. La giustizia, il carcere, la solitudine. Che cosa rappresentano, per te?

Davide Pinardi: Certamente quelli che hai enumerato sono alcuni tra gli argomenti che più mi interessano. E tra questi quello della giustizia è il più sentito, nasce fisiologicamente dentro di me da un senso di netta percezione dell'impossibilità di capire la verità, le tante verità nascoste del nostro paese (e non solo). La dimensione del mistero, del sotterraneo, è nettamente in contrasto con la trasparenza della verità e del libero scambio d'opinioni. Io credo che in una vera democrazia debba esserci piena trasparenza, soprattutto in materia di giustizia. Tangentopoli ha portato a galla un'esigenza che era già viva da qualche tempo, limitandosi ad aprire spiragli che prima erano negati. La giustizia, di qualunque forma e livello, ha il dovere d'intervenire sulle storture del reale, e per questo mi risulta tanto affascinante.

La struttura clericale del nostro paese cancella il termine democrazia, e leggendo i giornali o guardando la televisione ci si accorge che le idee non sono affatto chiare. La modernizzazione del paese passa attraverso una maggiore democrazia dei diritti individuali, attraverso, se è possibile dirlo, una glasnost della trasparenza.

In definitiva, quindi, i miei libri che trattano l'argomento giustizia nascono da una sensazione d'impotenza. I miei personaggi sembrano i più informati sull'argomento, ma poi in realtà riflettono la confusione che ci appanna.

Questo della giustizia è insomma il tema dominante a cui tendo con la mia scrittura, quello che mi è più vicino, soprattutto ora che la letteratura d'impegno non ha più protagonisti proletari, non esiste più una critica militante, e neppure un pubblico insensibile ai veri problemi.

Per quanto riguarda il carcere, il mio interesse deriva dalle mie esperienze personali. Contrariamente a quanto si pensa, la prigione è un luogo profondamente formativo. Forse si fatica a crederlo, ma nel luogo più reietto della società esiste una forma di riorganizzazione degli uomini che apprezzo fino in fondo, la conferma che dopo tutto la vita continua.

Infine la questione della solitudine, che deriva da una mia situazione familiare d'infanzia ma che adesso si esprime come richiamo a più vasti orizzonti. Solitudine come autonomia rivendicata da utilizzare dialetticamente per uscire nel mondo.

Delos: Con il tuo ultimo libro accantoni il giallo ed entri nel fantastico, ma anche nel romanzo storico, nel mainstream e più in generale nella letteratura senza etichette. E' stata una maturazione conscia o un processo del tutto casuale?

Davide Pinardi: Quando si scrive, tutto si calcola a puntino, e poi inevitabilmente si viene a scoprire che poco si è calcolato. Questo mio romanzo è stato molto pensato, ma poi molte cose sono mancate. Il giallo è un'ottima palestra per uno scrittore, e dà la possibilità di apprendere le regole basilari della scrittura, che servono a confrontarsi con il lettore.

Inoltre, il giallo mi ha subito attirato perché è stato uno dei pochi modi per parlare del male.

Devo dire che il passaggio alla letteratura del fantastico è stato molto positivo, anche perché mi sembra che ormai il giallo si sia chiuso un po' troppo su se stesso. Abbiamo poche informazioni sull'Italia, sulla nostra geografia e sulla nostra storia, e con la fantasia mi sono accorto che si può entrare i dimensioni diverse, più ampie, che consentono di seguire meglio, dall'alto, l'evoluzione del nostro paese.

Inoltre, il fantastico è indubbiamente più piacevole. Riesce a combattere contro la quotidianità della cronaca, e in una dimensione più creativa vince il giornalismo incalzante che giorno dopo giorno toglie spazio a una narrativa come quella del giallo, portandoti nella cronaca in tempo reale.

In Italia siamo sommersi dalla mediocrità, non abbiamo slanci di fantasia. Forse allora guardando le cose da lontano si può avere l'arma vincente per emergere nella vita.

E poi, dài, come sinistra siamo sempre stati anticlericali, e adesso sarebbe ora di entrare un po' di più nel trascendente, come ho fatto io con questo mio romanzo, anche se in forma moderata, magari non troppo... clericale.

L'ULTIMO ROMANZO: TUTTI I LUOGHI DEL MONDO

Marco Tropea Editore, pp. 187, lire 25.000

Strano amalgama di romanzo storico, viaggio fantastico, estrapolazione fantascientifica, compendio sull'uomo e sullo storture dell'io recluso, questo libro segna la conferma di un autore che ha compiuto un significativo passo avanti, ha allargato le sue radici nel difficile mondo della letteratura infischiandosene dei pregiudizi di certa critica verso le impennate dell'immaginifico a discapito del mero mimetismo.

L'espediente utilizzato da Pinardi per scorrazzare liberamente nel tempo e nello spazio è la forza della mente umana, la straordinaria capacità del pensiero di prescindere da imposizioni di qualsiasi genere, anche quelle che inchiavardano il corpo ai mattoni umidi di una prigione.

La forza della mente e l'amore, sentimento spurio da ogni vanagloria che catalizza le capacità latenti di Victor, giovane detenuto di una sperduta fortezza su un'isola nel Tirreno condannato all'ergastolo per manifesta insofferenza alle prepotenze di regime (in questo caso regime fascista, che nel 1927 rastrella tra i giovani esuberanti quei possibili oppositori del futuro da eliminare una volta per sempre).

Sarà l'amore, dicevo, per la figlia del carceriere di Victor, Margherita, a generare quegli enzimi psichici che ben presto, dopo la morte prematura della ragazza, daranno vita a una forza trascendente in grado di separare l'anima del protagonista dalle sofferenze e dalle catene del corpo, consentendogli di seguire i sobbalzi della storia fino ai giorni attuali, e di continuare quel rapporto autentico e scevro di compromessi che era l'amore per Margherita, più forte della morte, più forte della prigionia, più forte delle restrizioni sociali e delle regole imposte da un rigido ordine di prepotenza, più forte del meschino disprezzo per la trascendenza che da certi uomini s'innalza in oscure barriere di gnosticismo.

"Tutti i luoghi del mondo" è il più bel libro di Davide Pinardi, ed è anche l'anima poetica di ogni istinto ribelle che non si voglia consumare nel rogo della ragione.