Tante cose avevamo immaginato di questa edizione: gente distanziata, mascherine tutto il giorno, feste limitate. Ma la realtà ha superato la fantasia, costringendoci a una immersione a distanza tramite la partnership con MyMovies, che sblocca man mano i film e tutti gli altri contenuti calendarizzati. Insomma, il tanto immaginato presente distopico è finalmente qui.
"Sembra un film di fantascienza". L'ultima volta in cui abbiamo pronunciato questa frase è stato un paio di estati fa al mare, quando – entrati per sbaglio in un enorme villaggio vacanza – siamo rimasti intrappolati tra bungalow, muri di cinta alti tre metri, con residenti sospettosi e alcuni sorveglianti che ci ponevano incessantemente un'unica domanda: “Come avete fatto a entrare?”.
2020. Un virus altamente contagioso, il mondo al collasso, sistemi mediatici asserviti alla dittatura dello scandalistico, che confondono l'informazione con il gossip e il dissing, classi dirigenti di inetti a livello mondiale, movimenti di complottisti che buttano nello stesso calderone Covid, vaccini, microchip per la sorveglianza, cure miracolose a base di acqua, un governo mondiale di supercattivi e l'arrivo imminente degli alieni. Abbiamo sperimentato la chiusura di scuole, cinema, teatri e attività commerciali, l'assalto ai supermercati per accaparrarsi fagioli in scatola e farina, le strade deserte, il coprifuoco, il divieto di uscire di casa e soprattutto la paura. «Non toccare nessuno. Non parlare con nessuno. Stai lontano da tutti.» Come la tagline di Contagion, un film che pare narrare per per filo e per segno questo sfigatissimo Ventiventi, se non fosse che è stato girato nel 2011. Spesso e volentieri la fantascienza ci imbrocca.
Come vedete dalle immagini, noi non facciamo parte di quell’umanità che si accascia in attesa di predatori postatomici. Ci siamo riorganizzati per trasportare l’emozione del Trieste Science+Fiction in casa nostra. Ammettiamo pure che la nostra sala principale non è il Rossetti (location che non avrebbe ospitato il festival nemmeno in presenza, dati gli elevati costi in rapporto alla capienza limitata), né il Teatro Miela, né l’Ariston. Tutt’al più sembra il bagno dell’Aqvedotto Caffè, sede di incontri pre e post festival. Dopo esserci loggati, appare una schermata chiara e funzionale: film e contenuti divisi per giornata, con tanto di countdown, che riescono a trasmettere un pochino dell'urgenza necessaria a distinguere l’esperienza del festival in streaming da una normale maratona Netflix.
Alle otto di sera spaccate, prima del film, lo storico presentatore del festival Lorenzo Bertuzzi ci toglie le parole dal cuore: sì, anche a noi manca il festival. Poi appare Liam O’Donnell, che qualche anno fa depennavamo dalla terribile lista nera, e ci introduce al suo ultimo lavoro Skylin3s, terzo e conclusivo capitolo della saga Skyline (che come ci ricorda il regista stesso ha ormai dieci anni). Riassunto delle puntate precedenti: il primo film è un po’ un casino ma ha tirato su una settantina di milioni con un budget di circa una quindicina; il secondo – Beyond Skyline – ha secondo noi elementi di pregio, ma è stato un flop bestiale. Attore più noto della saga: Frank Grillo (il Crossbones dell’MCU, per intenderci).
Siamo attenti e financo un po’ emozionati quando parte il primo film del festival, preceduto da una scritta informativa che esorta il pubblico a casa a urlare “raggi fotonici”, a tutti gli effetti il motto del TS+FF.
Skylin3s. La lotta umani contro alieni è ormai militarizzata e seguiamo le peripezie di Rose, la bambina ibrida del capitolo precedente, che con l’aiuto del fedele alieniforme Trent va a blastare cattivi con i suoi superpoteri. Il racconto è un po’ tutto qui e sostenuto – più che da recitazioni da Oscar e colpi di scena – da una buona dose di umorismo, creato anche grazie a Trent e al suo linguaggio incomprensibile sottotitolato. CGI di pregio in molte scene, in altre forse un po’ sotto gli standard (che ormai sono altissimi). Belle luci volumetriche e in generale la fotografia, che però di questi tempi è di ottima fattura anche in roba scritta coi piedi. In questo cocktail un po’ fracassone, avremmo volentieri tolto un goccio di action per aggiungere una spruzzata di caratterizzazione dei personaggi, che praticamente vivono di vita riflessa dai precedenti capitoli. Qualche cambio di acconciatura immotivato e inspiegabile viene perdonato per il fatto che – come spesso accade in sequel con poche aspettative – il film non mira nè a profondità nè a serietà, ma cerca solo di catturare l'occhio dello spettatore a colpi di gag e esplosioni. A confermare queste sensazioni, a fine pellicola partono dei bloopers (scarti di produzione) che mostrano green screen e attori prima della CGI. Quasi a dire che ciò che abbiamo visto è stato fatto tra amici, con un paio di camere e un sacco di divertimento.
Superati i lunghi titoli di coda attendendo il presentatore (che non arriva), capiamo improvvisamente di dover essere noi a cambiare pagina per approdare al primo edisodio della serie coreana appena sbloccata, SF8. Più che di una serie episodica, abbiamo a che fare con una serie di mediometraggi slegati tra loro. Questa caratteristica, unita all’ossessione tematica per la tecnologia, non può che ricordare Black Mirror. Il tentativo è sempre quello: parlare del presente tramite il futuro, facendo deflagrare le tematiche con contrasti narrativi.
Azzeccata l’idea dell’infermiera robot che, accudendo i pazienti, inizia a sviluppare la propria concezione di eutanasia. Simpatica la storia della poliziotta che, dopo un upgrade, lavora assieme a un intelligenza artificiale umanizzata che può essere vista solo da lei, creando la classica commedia degli equivoci e ricordando alcune ghost comedy. La sensibilità coreana rende la visione interessante, anche se nella maggior parte dei casi i temi sono trattati senza troppi guizzi di sceneggiatura.
Degno di nota è il quinto episodio, Manxin, in cui un’intelligenza artificiale in grado di prevedere il futuro viene venerata come un dio. Conoscere il nostro avvenire ci renderebbe più felici? Il tema del destino e della scelta si snoda con grazia tra personaggi e gag davvero divertenti, riuscendo a non cadere con entrambe le scarpe in cliché triti e ritriti. Chi ama l’hi-tech, troverà di che sfregarsi le mani.
Per quanto fare confronti non sia mai elegante c’è da dire che a differenza di Black Mirror, in cui la narrazione è affidata a soluzioni visive efficaci e dialoghi asciutti, questa serie accusa una verbosità talvolta eccessiva. E sembrerebbe essere un problema di grana, visto che il creatore del progetto Min Kyu-dong ha affermato che “sfortunatamente molte idee non sono state realizzate a causa delle limitazioni di budget e mercato”. Perciò ci sentiamo di salvare SF8 da giudizi negativi, dato che la serie inglese di Charlie Brooker aveva certamente più grana (anche se sarebbe bello immaginare cosa avrebbero fatto con un budget dieci volte maggiore, come grossomodo è stato quello stanziato per The Pacific di Spielberg).
Terminate le proiezioni, vorremmo farci un cocktail e rientrare in hotel. E lo facciamo in realtà, ma tutto nell’arco di cinque, cortissimi metri.
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