Delos 23: Come nasce un ciclo di Gregory Benford

gregory benford:

come nasce un ciclo

Abbiamo contattato Gregory Benford per chiedergli un'intervista, ma l'autore di Nell'oceano della notte, Attraverso un mare di soli e Timescape in questo periodo è impegnatissimo. Molto gentilmente, però, ci ha messo a disposizione questo suo articolo nel quale racconta come è nato il suo ciclo più famoso.

Gregory Benford - fisico, educatore, scrittore - è nato a Mobile, Alabama, il 30 gennaio 1941. Nel 1963, ha conseguito il B.S. dall'Università dell'Oklahoma e si è poi iscritto all'Università della California a San Diego dove ha conseguito il Ph.D. nel 1967. Ha poi lavorato, per i seguenti quattro anni, al Lawrence Radiation Laboratory (California) come studente post-dottorato e poi come ricercatore.

Al momento, Benford è professore di fisica all'Università della California, a Irvine, dove è membro del Consiglio di Facoltà sin dal 1971. Benford conduce ricerche sia teoriche che sperimentale sulla turbolenza del plasma e in astrofisica. E' un "Woodrow Wilson Fellow" nonché professore ospite presso l'Università di Cambridge ed è stato collaboratore del Dipartimento di Energia della NASA e del Consiglio della Casa Bianca sulla politica spaziale.

Nel 1989 Benford è stato sia ospite che sceneggiatore della serie televisiva A Galactic Odyssey, che descrive la fisica moderna e l'astronomia dal punto di vista dell'evoluzione della galassia. La serie, in otto parti, è stata prodotta per un pubblico internazionale dalla rete televisiva nazionale giapponese.

Benford è autore di piu' di una dozzina di romanzi, compresi Jupiter Project, Against Infinity, Great Sky River e Timescape. E' stato vincitore due volte del premio Nebula e ha vinto il John W. Campbell Award, l'Australian Ditmar Award e la United Nations Medal per la Letteratura.

Non ho deciso di scrivere una serie di romanzi interconnessi per un periodo durato oltre 25 anni. Il progetto è cresciuto con me e ho anche fatto molti errori nel realizzarlo.

Potrei descrivere qui soltanto le mie sofferenza interne, il lavoro interiore senza fine che uno deve compiere davanti alla pagina bianca - ma gli eventi estrerni sono altrettanto importanti. Sospetto che ciò avvenga più frequentemente di quanto la maggior parte di noi desidererebbe.

Nel 1977 pubblicai il mio primo romanzo In the Ocean of Night, che narrava di un astronauta irritabile che scopre la prova di una rete di macchine intelligenti il cui scopo era quello di distruggere la galassia. Ricevette una nomination per il premio Nebula e io continuai con il mio normale lavoro come professore di fisica presso l'Università della California, a Irvine.

Ma il mio subconscio non voleva lasciarmi da solo. Continuavo a pensare alle implicazioni di quelle idee e cosi' scrissi, fino al 1982, Across the Sea of Suns, il cui protagonista era lo stesso personaggio che esplorava stelle vicine.

A questo punto il fisico entrò in conflitto con lo scrittore. Avevo fatto ricerca in astrofisica fin dal 1974 e avevo notato che il centro della nostra stessa galassia era al limite di intriganti nuove osservazioni.

Nel centro, entro pochi anni luce dal centro esatto, ci sono milioni di stelle entro un solo anno luce di distanza. In media, le stelle più vicine sono lontane soltanto qualche centinaio di anni luce, diecimila volte la distanza della Terra dal sole. Immaginate: avere tante stelle così vicine da oscurare la luna.

Come uno si aspetterebbe, questa è una brutta notizia per i sistemi solari intorno a tali stelle. Collisioni tra tutte queste stelle avvengono circa ogni centinaio di anni, producendo variazioni nelle orbite dei pianeti, provocando delle piogge di comete su di essi.

Il centro della galassia è come una sterminata Time Square... e molto più pericoloso dei nostri confortevoli sobborghi. Il racconto John Davis's Journey to the Center of our Galaxy racconta in dettaglio come tutto ciò sia terrificante, mettendo in risalto come il tempo di sopravvivenza di un essere umano senza scudi, entro un centinaio di anni luce dal centro, sia probabilmente di poche ore. In The Ocean of Night esplorai la scoperta che la vita basata sui computer sembrasse essere dominante in tutta la galassia. L'astronauta britannico, Nigel Walmsley, scoprì le implicazioni del fatto che "macchine calcolatrici evolute", come le definiva lui, abbiano ottenuto la rovina delle precedenti società aliene naturali.

Lavorare con Walmsley mi creò seri problemi. Avevo deciso per un personaggio con un punto di vista britannico perché era un outsider nel programma spaziale normalmente comandato dagli americani. Io avevo avuto un certo feeling per i britannici da un anno sabbatico vissuto là nel 1976, anche se avevo scritto storie, che ho poi incorporato nel primo romanzo, fin dal 1972. Un romanzo può tracciare gli eventi che riguarderanno una persona negli anni - magari una vita intera - ma non sapevo come Walmsley sarebbe cambiato nel corso della stesura del secondo libro.

Finii quel libro in una sorta di confusione mentale. Il mio subconscio aveva cominciato a presentarmi, senza essere stato invitato, una serie di eventi che sarebbero accaduti alla fine del libro. Nella prima versione del libro numero 2, una versione rilegata di Simon & Schuster, ho finito per avere una sensazione di difficoltà e sconfitta.

Poi intervennero i pubblicitari. La Timescape Books è fallita e la Pocket Book prese in ostaggio parecchi libri, ansiosa di recuperare il proprio investimento. Irwin Applebaum, della Pocket, disse al mio agente (nessuno di loro avrebbe mai parlato con un umile scrittore) che non avrebbero pubblicato il mio libro in versione economica e che volevano 80000 dollari - sì, 10000 dollari più di quanto mi avevano dato - per i diritti. Io rifiutai e così il mio libro rimase in condizioni di stasi per parecchio tempo. Sfuggii a tutto ciò pagando i 10000 dollari, se mi ricordo.

Durante tutto questo tempo scene, idee e personaggi vorticarono nella mia mente mentre lavoravo ad altri libri. Avevo imparato a seguire il mio subconscio. Se non l'avessi fatto, sarei stato bloccato su tutti gli altri progetti. Lentamente capii che una serie più grande di romanzi stava sonnecchiando dentro di me.

Brutte notizie, lo seppi immediatamente. Come Gene Wolf disse nello "Spring Bulletin" del 1996, i romanzi facenti parte di una serie devono avere ciascuno una propria fine, e contemporaneamente suggerirne un'altra. Io non avevo fatto questo nei primi due libri. Oppure sì? Il libro numero 1 finiva con un accordo, mentre il numero 2 non aveva ancora raggiunto la maggior parte del pubblico.

Quando Lou Aronica, alla Bantam, mi offrì di pubblicare l'intera serie, colsi l'opportunità al volo. Aggiunsi qualcosa al finale del numero 2 e Lou Aronica commentò il nuovo materiale, dicendo che si accordava bene con il resto del romanzo. Ammiccai; non avevo neanche mai pensato di rileggere Across the Sea of Sun. Era rimasto semplicemente vivo in me per tutto quel tempo. Rassicurato, cominciai a pensare al numero 3.

Arrivai immediatamente a un punto morto. Una serie racconta dell'arco di tempo corrispondente alla vita di un personaggio, ma un romanzo sull'esplorazione della galassia occupava così tanto spazio e tempo che non potevo pensare che Walmsley vivesse così a lungo da andare ovunque.

Peggio ancora, il centro della galassia era il posto più ovvio in cui andare a cercare le macchine. All'inizio degli anni '80, sapevamo che laggiù era presente un grande - e pericoloso - flusso di raggi gamma, nuvole bollenti, e processi enormemente energetici. La maggior parte di tutto ciò l'abbiamo appresa dalle emissioni radio, che penetrano le nuvole di polvere, rivelando così, per la prima volta, l'intensa attività presente nel centro della galassia. L'astronomia a raggi infrarossi presto prese piede, rivelando regioni calde e caotiche.

Mentre finivo Across the Sea of Suns, nel 1983, mi resi conto che potevo fare ricerca per conto mio sul centro della galassia. Avevo pubblicato articoli, fino a quel momento, sulle pulsar e sui vapori galattici, e avevo quindi sia curiosità sull'argomento che una certa pratica.

Molto presto, strane cose cominciarono ad apparire sulle mappe radio. Nel 1984, stavo parlando ad una conferenza a UC, Los Angeles sui vapori galattici, e il mio ospite era Mark Morris, un radioastronomo. "Spieghi questo", mi disse, mostrando una mappa radio che aveva appena ottenuto a Very Large Array, in New Mexico. La mia prima reazione fu: "E' uno scherzo?". Mostrava qualcosa che io chiamavo "artiglio", che Mark, più propriamente, aveva chiamato l'"arco": un qualcosa di curvo, composto da fibre allungate. Anche se l'arco è lungo oltre un centinaio di anni luce, questi filamenti sono larghi circa un anno luce, e curvano verso l'alto rispetto al piano galattico, come archi di ampi cerchi centrati vicino al centro della galassia, che si trova a parecchie centinaia di anni luce dalla loro posizione. Questi intricati filamenti emettono elettroni energetici (di fatto relativistici), che irradiano in forti campi magnetici, allineati lungo I filamenti stessi.

La mia prima intuizione, vedendo la radio-mappa degli Archi, fu: "Tutto ciò sembra artificiale". L'astronomia assume che tutto ciò che si trova nel cielo sia naturale. Lo scrittore di SF che vive in me esplorò immediatamente l'opinione opposta. Decisi di estendere I libri di Walmsley almeno ancora di uno, ambiantato nel centro della galassia.

Lavorai sulla teoria per spiegare quei sottili filamenti che splendevano di luminosità elettronica, un centinaio di volte più lunghi che larghi. Ho pensato alle luci al neon, che sono scariche sostenute da correnti di elettroni in tubi allungati. Potrebbero quelle fibre essere una specie di luminosità che, muovendosi lentamente, ci mettono magari un centinaio di migliaia di anni per scaricarsi?

Quegli archi diventarono il punto focale di molte pubblicazioni sul centro, un modello che è ormai generalmente accettato - per il momento, in attesa di nuovi dati. Mentre stavo meditando sulle mappe e cercavo di mettere insieme delle equazioni, continuavo a scrivere. Negli anni, lo scrivere ha sfamato la fisica, e viceversa. Situazioni intriganti sono necessarie nella stesura di una serie di romanzi, o altrimenti si avverte un senso di monotonia. Utilizzai tutti I colori e gli effetti speciali che potevo nel numero 3 di ciò che cominciai a chiamare "Galactic Series (pensato dal mio editore), Great Sky River" - un riferimento all'antico nome indiano per la via Lattea.

Mi concentrai su pochi anni luce vicini al centro, per motivi drammatici, anche se sapevo che il flusso di energia laggiù rendeva gli esseri umani abbastanza vulnerabili. Per proteggerli li feci grandi, grossi e con l'armatura. Il protagonista era un uomo di nome Killeen, che sorvolava un paesaggio devastato, dominato dal buco nero, che la sua gente chiamava il Divoratore di Tutte le Cose - anche se non sapevano esattamente perché.

Questo panorama desolato mi sembrò un palcoscenico sufficientemente ampio da ospitare il tema principale della mia serie, la superiorità delle macchine nella maggior parte della galassia. Dovetti anche variare le loro dimensioni alla fine della serie, quando incontrano Walmsley, che esse scambiano per un nano. Le misure di velocità orbitali delle stelle molto vicino al centro della galassia, chiamato Sagittarius A, suggerirono che nel centro giaceva una massa puntiforme corrispondente a circa un milione di masse stellari, che emetteva pochissima luce.

Questo punto fu però molto controverso: alcuni dicevano che era necessario soltanto un migliaio di masse stellari. Optai per un milione, perché, in questo modo, una nave poteva volare attraverso l'ergosfera, il limite estremo di un buco nero, e non essere distrutta dalle forze presenti. Questo sarebbe stato cruciale nell'ultimo volume, il numero 5 - pensai.

L'estrema energia nel centro avrebbe distrutto le macchine, lo sentivo. Il buco nero sarebbe stato estremamente interessante per qualunque forma di vita intelligente, per il combattimento che avrebbero dovuto sostenere per la loro sopravvivenza in un territorio ostile. Gli esseri umani sarebbero stati una parte del tutto, ma certamente non i protagonisti.

Così cominciai a immaginare come sarebbe stato il centro della galassia, dove la presenza di particelle e fotoni è ricca e variata. Soltanto macchine molto robuste potrebbero sopravvivere a lungo in un posto del genere. Nel quarto romanzo, Tides of light, misi in risalto questi contrasti. Lavoro duro, ma divertente. Inventai "mangiatori di fotoni" e "mangiatori di metallo" come adattamenti in nicchie evoluzionistiche speciali. Dopo tutto, macchine che si possono riprodurre cadrebbero, inevitabilmente, sotto le leggi della selezione naturale, e si specializzerebbero nell'utilizzo delle risorse locali. L'intera storia della biologia si ripeterebbe: parassiti, predatori, vittime. Come rappresentare tutto ciò? In genere mi preparo per i romanzi scrivendo passaggi descrittivi di posti e personaggi. Nei momenti liberi comincio a pensare a degli schizzi delle possibili forme di vita e dei lori modi per sopravvivere. Anni prima avevo trovato un modo per superare le cosiddette "ostruzioni" - una parola che secondo me descrive meglio l'orribile "blocco" dello scrittore; inoltre secondo me ha un significato ancora più subdolo. A volte semplicemente non riuscivo a convincere il mio subconscio a digerire il nuovo materiale lungo I meandri del romanzo. Quindi mi convincevo che stavo lavorando su una storia completamente diversa e scrivevo quella. A volte scoprivo di avere ragione - non c'era nessuna connessione con il romanzo. La maggior parte delle volte, con un po' di sforzo, funzionava. Mettevo in pratica la politica pubblicare il lavoro indipendentemente, se appena possibile, poiché credevo in modo superstizioso che il mio subconscio non se ne sarebbe accorto. Finora non c'è riuscito.

Questo è il motivo per cui, occasionalemente, parti dei miei romanzi vengono prima pubblicate come racconti. Spesso non so se andranno bene per il romanzo fino a molti anni più tardi. Dovetti usare questo trucco molte e molte volte, perché il mio subconscio è estremamente pigro e testardo. Avevo pensato di scrivere tre romanzi e di finire per il 1989, ma il numero 3 apparve nel 1987, il numero 4 nel 1989...e poi cominciai ad interessarmi ad un altro romanzo, scritto in tre duri anni, che era giunto ad un punto morto. Il perfido subconscio non aveva alcuna intenzione di cooperare con I miei piani di gioco. Ciò mi costò parecchio, perché passò il momento d'oro della serie e, indubbiamente, molti lettori persero il filo. Nel 1990 dovetti ricominciare ancora dagli appunti iniziali, pensando al filo logico che collegava la serie. Lentamente venne alla superficie che parte di me non aveva voluto scrivere l'ultimo romanzo poiché non potevo riconcigliarmi con le molte forze che animano la narrativa. Capii, e con non poca sofferenza, che un solo libro in più non sarebbe stato sufficiente.

Macchine intelligenti avrebbero creato, nel frenetico centro della galassia, un tipo di società che noi fatichiamo ad immaginare - ma potremmo provarci. Gran parte del numero 5, The Furious Gulf, narrava proprio di questo - l'abisso intorno ad un buco nero, e l'abisso tra intelligenze nate da diversi mondi. Per anni mi divertii molto con lunghe conversazioni con un amico, il noto teorico di intelligenze artificiali Marvin Minsky, che vertevano sulle possibili linee evolutive di intelligenze puramente artificiali. Marvin vedeva il nostro punto di vista sulla mortalità e sull'individualismo come un prodotto di creature biologiche, assolutamente non necessario per le intelligenze che non dovranno mai passare attraverso il filtro evoluzionistico darwiniano.

Se potessimo copiare noi stessi più e più volte, perché ci dovremmo preoccupare di una certa particolare copia? Che tipo di società emergerebbe da origini di questo tipo? Perché dovrebbe pensare a noi - noi Naturali, ancora ancorati ad un destino biologico?

Nei libri 3, 4 e 5 avevo usato il punto di vista degli umani schiacciati da macchine superiori. Ciò mi portò al problema del tempo di vita di Walmsley, costringendomi a descrivere le persone come enormemente diverse da noi. Dovevano sembrare strane, anche se comprensibili - un classico dilemma della fantascienza.

Un tema emergente nei romanzi, quindi, fu in che modo l'intelligenza si sviluppasse dal "substrato", se portava cioé ad umani evoluti o a macchine adattabili - entrambi intelligenti, ma con stili estremamente diversi.

Quando raggiunsi l'ultimo libro della serie, nel 1992, avevo speso oltre vent'anni cercando di costruire le mie idee sulle macchine intelligenti, guidato da amici come Marvin. Avevo anche pubblicato parecchi lavori sul centro della galassia e letto avidamente ogni singolo numero dell' "Astrophysica Journal" alla ricerca di qualche spunto. Finii l'ultimo romanzo, Sailing Bright Eternity, nell'estate del 1994. Erano passati ormai 25 anni da quando avevo cominciato con In the Ocean of Night e le nostre idee sul centro della galassia erano enormemente cambiate. Parti dei primi due libri, in particolare, non sono in accordo con il modo di pensare attuale.

Avevo cercato di fare sforzi di fantasia per creare una specie di "ecologia" per il centro. Avevo incluso nuove idee, come costruzioni messe in opera forzando lo spazio-tempo in forme compresse, che si comportavano quindi come massa esse stesse: interpretando al contrario l'intuizione di Einstein, quella materia curva spazio-temporale.

Tutto ciò era stato molto divertente, e aveva richiesto molto tempo per pensare. Lasciai il mio subconscio fare la maggior parte del lavoro, se possibile - un modo più semplice per fare lo scrittore, che però portava a nuovi progetti.

Lettori affezionati e sofferenti cominciarono a scrivermi chiedendo quando sarebbe stato pubblicato il prossimo romanzo e io mi sentii in colpa, ma sapevo che non si può scrivere in fretta. Non avevo previsto che ciascun romanzo avrebbe richiesto così tanto tempo per pensare, e ancor meno che avrei avuto bisogno di un altro romanzo per finire il lavoro. Alla fine, tutti e sei I libri erano costituiti da circa tre quarti di milione di parole.

Il modello fisico del centro della galassia da me pubblicato è costituito da ciò che io chiamo una "approssimazione da cartoni animati" - sufficientemente accurata per un primo approccio, forse, ma destinata a fallire in qualche modo. La sf lavora con approssimazioni di questo tipo, necessariamente. Avevo raccontato un grande tema, come la Mente entra in contatto con la Natura. In ogni caso, I modelli sono come l'arte, questioni di gusto. Nessuno si aspetta che un dipinto di un impressionista francese somigli veramentad una vera mucca; invece, suggerisce un modo di guardare una mucca. La sf dovrebbe fare proprio questo.

Imparai un sacco di trucchi mentre scrivevo, molti ovviamente imbarazzanti. Nel 1969 non feci nessun riassunto della mia attività, anche se quell'anno avevo venduto il mio primo romanzo con una descrizione di tre pagine e un romanzo breve di 10000 parole. Ora del 1992 raccoglievo annotazioni per argomento - incidenti, conoscenze, tecnologia, tempo, personaggi, questioni di affari, ecc. - in un grande schedario e in un computer, in modo da poter scegliere e inserire.

Ancora più importante, avevo cercato disperatamente di fare in modo che i climax di ciascun libro fossero come una scala. Ognuno di essi doveva stare su di uno scalino più alto del precedente, senza toccare in alcun modo il finale dei romanzi precedenti. Ognuno doveva chiarire l'ordito filosofico almeno un poco, in particolare in una serie di romanzi galattici di hard sf come la mia. Ognuno di essi doveva spiegare elementi misteriosi dei romanzi precedenti, ma lasciare comunque una qualche ombra da svelare nel futuro. Ognuno doveva raccontare in maggiore dettaglio la figura del protagonista. Ogni figura doveva muoversi verso il momento supremo della propria vita.

Quest'ultimo punto poteva essere cruciale. Avevo usato due figure principali, Walmsley e Killeen, nessuno dei quali particolarmente piacevole. Questa poteva essere una mia peculiarità, ma non mi è mai piaciuto entrare nella testa di un ottimista perpetuo, dagli occhi limpidi; ciò può rivelare molte più cose riguardo al mio carattere di quante io vorrei, ma è così.

Ognuno di questi uomini doveva crescere e imparare, ma non abbandonarsi alla prospettiva cosmica. Come fece notare Gary Wolf nel recensire l'ultimo romanzo, "Questo è il classico problema della hard sf, ovviamente: la descrizione dell'azione e del dramma umano deve essere unito alla descrizione della scienza e della filosofia in modo che deve apparire poco probabile... (spesso) gli autori o ci propinano personaggi da manuale contro un ambiente ostile , oppure esagerano la parte scientifica in modo da far funzionare la trama...".

Sentii la pressione del cercare di mantenere questi personaggi umani sempre più, man mano che il romanzo progrediva. Così gli diedi vizi, abitudini disprezzabili, problemi con le donne, difetti - grossi, incluso un brutto carattere e un certo isolamento emozionale. (Anche Einstein si metteva le dita nel naso, ricordatevelo). In questo modo, ogni personaggio progrediva, o almeno veniva portato a conoscere meglio se stesso. Veramente tutto ciò non mi era affatto chiaro - infatti, alcuni dei precedenti paragrafi diventavano chiari solo nel momento in cui li scrivevo. (Questa è un'esperienza abbastanza comune per me. Non so cosa penso finché non lo esprimo. Quel vecchio e caro subconscio, ancora una volta.)

Avevo sempre pensato di scrivere la serie "Stapledonian", ma compressi I miei pensieri in un romanzo moderno e senza spigoli. Utilizzai dialoghi con gli alieni, con le macchine, con intelligenze prive di corpi intrappolate in configurazioni magnetiche, con I felici abitanti del lontano futuro - qualunque cosa, pur di evitare la voce del narratore; anche se a volte utilizzai anche quella.

Questa decisione - più estetica che dovuta alle esigenze dello scrittore, e presa inconsciamente oltretutto - mi procurò molto più lavoro di qualsiasi altra cosa. Questo è il mio metodo preferito, anche al di fuori della serie galattica, ma impone grosse limitazioni.

Ciò si accorda perfettamente con I miei sentimenti sulla hard sf - che funziona proprio a causa delle restrizioni che si autoimpone, nello stesso modo di un sonetto. Le limitazioni portano al miglioramento.

Scriverò un'altra serie? Forse.

Lo farò ancora in questo modo? Non credo - spero di poter evitare alcune della trappole in cui sono caduto. Più importante di tutto, ho capito quali sono le mie limitazioni, e quanto poco il mio subconscio possa essere comandato. è utile sapere chi veramente porta la maggior parte del peso.

Traduzione di Monica Dapiaggi.