Don DeLillo non è un autore nuovo alle contaminazioni con la fantascienza. In particolare rientra pienamente nel genere uno dei suoi primi romanzi, La stella di Ratner (1976) incentrato sulla decifrazione di un segnale alieno da parte di un enfant prodige: pubblicato da noi, come tutti i libri di DeLillo, da Einaudi, senza alcuna etichetta di genere.
Con Zero K, al momento suo ultimo romanzo, nel 2016 l'autore torna nuovamente ad affrontare una tematica fantascientifica, ma lo fa da una prospettiva anomala, più intimista, lasciando tutto sommato sullo sfondo il problema puramente scientifico (la criogenesi) per concentrarsi sui legami famigliari.
Congelare il tempo
Pensala in questo modo, mi ha detto. Pensa all’arco della tua esistenza misurato in anni e poi in secondi. Anni: ottanta. Niente male, per gli standard attuali. E poi in secondi, ha detto. La tua vita in secondi. Qual è l’equivalente di ottant’anni?
Si è interrotto, forse per passare in rassegna i numeri. Secondi, minuti, ore, giorni, settimane, mesi, anni, decenni.
Secondi, ha detto. Comincia a calcolare. La tua vita in secondi. Pensa all’età della Terra, le ere geologiche, gli oceani che compaiono e scompaiono. Pensa all’età della galassia, l’età dell’universo. Ai miliardi e miliardi di anni. E a noi, a me e a te. Che viviamo e moriamo in un lampo.
Secondi, ha detto. Possiamo misurare il nostro tempo in secondi.
(Zero K, Capitolo quarto)
La storia è narrata dal protagonista, Jeffry Lockhart, che per due volte segue il padre Ross in un misteriosa base nel deserto kazako: la prima per accompagnarlo nel percorso di criogenesi a cui si sottoporrà la sua matrigna, Artis, nella speranza di essere risvegliata quando esisterà una cura per la sua malattia; la seconda per stargli accanto mentre lo stesso Ross si sottopone al medesimo trattamento.
Su questa scarna vicenda, nettamente divisa in due blocchi (le due parti del romanzo: Nel tempo si Celjabinsk e Nel tempo di Kostjantinyvka) si innestano flashback, riflessioni, digressioni: sul rapporto padre-figlio, sulla vita e sulla morte, sul tempo, sui nomi.
Lo spunto fantascientifico consente a DeLillo di congelare – è il caso di dirlo – la vita dei pochi personaggi e muoversi avanti e indietro nel tempo per svolgere nella forma stessa del romanzo il suo tema fondamentale – il tempo, per l'appunto: il futuro imperscrutabile in cui investono il padre e la matrigna, il passato conflittuale di padre e figlio, il presente immobile nei corridoi della base di Convergence in cui sono conservati i corpi.
Ma anche il confronto tra passato e presente, le immagini delle catastrofi e le pose plastiche dei corpi come statue medievali: « Mi ha parlato di attrezzature all'avanguardia, di personale addestrato. Eppure, ha detto, quel posto gli faceva venire in mente la Gerusalemme del dodidesimo secolo, dove esisteva un ordine di cavalieri che si prendeva cura dei pellegrini. Ogni tanto immaginava di camminare tra lebbrosi e gli appestati, di vedere i visi macilenti di vecchi dipinti fiamminghi. » (Capitolo quinto)
Il futuro in fondo non è che una variazione del passato e Convergence non è tanto diverso da una fede millennaristica.
L'ossessione dei nomi
Altro tema che si intreccia al tempo è quello dell'identità: chi è l'individuo e dove risiede la sua essenza? Chi si risveglierà dopo secoli di sospensione non sarà un'altra persona? (Questa è la riflessione che più lo avvicina ad un romanzo di fantascienza, ma DeLillo la segue in altre direzioni).
Il protagonista la trova nei nomi, l'ossessione di dare un nome a chiunque incontri, un nome che significhi la persona: ma i nomi sono ingannevoli, persino il suo e quello del padre sono falsi. A Convergence al contrario tutto è anonimo, i corridoi si ripetono identici, come identici sono i corpi resi glabri e disposti in pose plastiche per il trattamento – alcuni privi di testa come statue greche ritrovate « reperti di un'archeologia futura ».
L'ansia di definizione è un leitmotiv del romanzo: « Definisci pelucco, dico a me stesso, definisci stampella » o ancora « Definisci persona, mi dico, definisci umano, definisci animale », « Definisci cappotto, definisci tempo, definisci spazio »; non solo i nomi di Jeffry, Ross, Artis sono inventati, ma lo sono anche quelli di tutte le persone incontrate a Convergence, come se i nomi reali non avessero la forza di definire chi è realmente la persona che li porta.
Un ritardo quarantennale
Nei suoi romanzi maggiori DeLillo costruisce trame complesse che intrecciano la vita di molti personaggi, mescola realtà e finzione con uno stile barocco sempre in bilico tra ironia e grottesco. Al contrario, Zero K è scritto in uno stile limpido (ma non algido come ho letto da molte parti, forse per suggestione con la tematica). Se c'è una difficoltà, è quella di tenere desta l'attenzione, questo sì; non è facile seguire una storia che per molti capitoli non ha sviluppo, speculazioni che non portano da nessuna parte (la maggior parte dei dialoghi filosofeggianti mi è parsa ironica). Eppure l'immobilità e la mancanza di trama sembra essere esattamente il tema del romanzo, la cui forma riflette il contenuto.
Quello che manca è la profondità data dall'ironia straniante, che fa di romanzi come Rumore bianco o Underworld un catalogo di immagini del repertorio pop di un'America che collassa sul suo stesso benessere.
Nel complesso Zero K è un libro interessante, che tuttavia può deludere il lettore di fantascienza per l'approccio quasi superficiale al tema della criogenesi. Se si pensa che un romanzo di genere come Bug Jack Barron di Norman Spinrad (in Italia Jack Barron Show, recentemente ristampato su Urania) tocca gli stessi temi già nel 1969, e lo fa con gli strumenti più consoni della fantascienza e l'ironia graffiante tipica dell'autore, viene da chiedersi cosa possa aggiungere quarant'anni dopo DeLillo: si ha l'impressione che il vero limite di Zero K sia quello di essere arrivato tardi, dimentico della storia quasi centenaria di una tematica sviscerata ampiamente dalla fantascienza (mi viene in mente, tra i tantissimi altri esempi, anche un bel racconto di Primo Levi in Storie naturali: La bella addormentata nel frigo).
Rispetto ad altri romanzi ben riusciti di cui ci siamo occupati (Non lasciarmi, Il racconto dell'ancella, Il complotto contro l'America) Zero K in fondo è l'esempio di come può fallire il romanziere mainstream quando approccia la fantascienza senza ben conoscere la storia del genere. Può darsi che queste considerazioni non interessino a un pubblico più vasto, ma a noi amanti della fantascienza lasciano l'amaro in bocca.
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